Visita al fronte di Galilea

Visita al fronte di Galilea CON L'ESERCITO ISRAELIANO SUL CONFINE P1V PERICOLOSO Visita al fronte di Galilea Oltre l'evangelico lago di Tiberiade e le acque serene del Giordano, sono schierati i turbolenti siriani; di qui passano le incursioni dei terroristi - Il governo di Israele ha concentrato grandi forze: debbono difendere non solo una frontiera minacciata, ma le riserve dell'acqua indispensabile per coltivare il deserto - Il morale dei soldati è altissimo: la nomina a ministro della Difesa del generale Dayan, il vincitore del Sinai, ha portato una ventata di fiducia, d'entusiasmo eroico - Questi giovani nati in Israele, figli di questa terrà, più patrioti che pionieri, non disprezzano né sottovalutano il nemico; ma sanno di combattere per la vita del paese e sono pronti ad una resistenza disperata - Tanta fermezza è la miglior speranza di pace (Dal nostro inviato speciale) Tiberiarle, 2 giugno. Andiamo a Nord verso la frontiera siriana la più turbolenta, irresponsabile, attraverso la quale passano di notte i terroristi arabi per i loro abituali sabotaggi. Lungo la strada che percorriamo è esplosa una mina due giorni fa; potrebbero essercene altre, dice l'autista, e non è una prospettiva allegra. Ma proseguiamo perché bisogna arrivare al fronte a vedere questi soldati israeliani impegnati in una partita che ha per posta la sopravvivenza d'Israele e la loro, quella fisica di ogni singolo. Costeggiamo il lago di Tiberiade immerso in una chiara, soave luce evangelica. Al largo pescatori israeliani hanno gettato reti protetti da vedette armate. I siriani hanno l'abitudine di tirare al bersaglio su queste piccole barche. Attraversiamo Cafarnao ed aggiriamo il Monte delle Beatitudini. Beati i mansueti, disse Gesù da quella altura, ed è una voce che qui non ha più echi. Subito l'altopiano di Gali¬ lea si trasforma ed entriamo nella realtà attuale, cioè in una foresta di acciaio, cannoni, mitragliatrici, autoblindo, carri armati giganteschi orientati verso l'eventuale varco da cui potrebbe scattare l'aggressione siriana. Dove è la frontiera? In qualche punto a sette chilometri, in altri a due, in altri a cinquecento metri, oltre quei filari di pioppi tra cui limpido scorre il Giordano. Su questa frontiera i soldati israeliani difendono l'integrità del loro paese ed anche gli impianti che pompano l'acqua dal lago — su cui Gesù trasvolò senza bagnarsi — e la convogliano ìtel Neghcv, il deserto in gran parte redento. Gli arabi potrebbero dare battaglia in questo settore per tentare di tagliare il rifornimento idrico a Israele. Ma vi è uno schieramento di armi e di uomini che rende improbabile l'impresa. Armi e uomini: ma ci interessano soprattutto gli uomini, specialmente oggi. Siamo arrivati in questo fronte nel giorno giusto, Moshe Dayan è appena stato no¬ minato ministro della. Difesa. Una notizia che ha elettrizzato i soldati israeliani. Il generale dalla benda nera sull'occhio sinistro, colui che ha preparato l'epopea Sinai nel 1956. che ha inseguito quasi volando gli egiziani fino a Suez, fino in Ismailia (e gli sarebbero bastate altre ventiquattro ore per arrivare al Cairo, se gli americani e i russi non gli avessero imposto l'alt), è di nuovo comandante supremo dell'esercito israeliano. Ciò significa che Israele è pronto a passare all'azione, convinto che le trattative diplomatiche non daranno frutti? Non direi; la presenza del generale monocolo ha ridato fiducia al paese. E non è stato facile arrivarci, perché gli israeliani rispettano il gioco democratico anche nei momenti più gravi. Comunque ciò che conta è la. presenza di questo soldato che realizza tattiche di guerra, forse considerate poco ortodosse dai teorici dell'arte bellica, ma che possono dare frutti stupefacenti. E con lui torna in Israele lo spirito eroico degli anni difficili; ritorna lo spirito messianico in questo popolo perseguitato, percosso, quasi annientato nelle camere a gas e nei forni crematori di Hitler, che ha ritrovato una travolgente forza per rinascere. Tutti gli israeliani attendevano anche un altro ritorno, quello di Ben Gurìon, ma il vecchio patriarca ha preferito l'aspro ritiro in un kibbuz .sommerso dal giallo deserto del Neghev, dove alleva montoni. Un ritiro un po' sdegnato, perché al patriarca in cui si reincarna lo spirito mosaico, questo Israele immerso nella civiltà dei consumi non piaceva. Tuonava contro Tel Aviv, che egli definiva una. nuova Ninive; tuonava contro il suo popolo, tornato ad adorare il vitello d'oro — cioè automobile, frigorifero, televisore. « Per salvarsi, Israele deve tornare nel deserto, come ai tempi di Mose* gridava. E Israele è tornato nel deserto: nell'estremo Sud, lungo la frontiera col Sinai rfot;e premono SO mila soldati egiziani, e qui nell'aspra riarsa alta Galilea per fronteggiare i siriani. Giriamo da una all'altra postazione di artiglieria, da uno all'altro accantonamento fra selve di cannoni, mortai, mezzi blindati di ogni dimensione coi cannoni che brandeggiano minacciosi verso un obbiettivo ben definitivo, e conversiamo con i soldati. Oggi sono in festa, l'ho detto, perché hanno ritrovato un comandante in cui credono e non gli importa più la fatica dei lunghi turni di guardia, delle marce, delle esercitazioni, sotto il sole che folgora verticale sulla, ondulata pietraia dell'alta Galilea; hanno la certezza che finalmente il loro paese conquisterà una pace durevole e sicura. Sono tutti giovani con 'facce differenti: biondi e chiari giovanotti, che recano evidenti le tracce secolari della permanenza dei loro progenitori nell'Europa centroorientale; altri coi volti bruni e occhi nerissimi, che ricordano le segregazioni nello Yemen o nei ghetti del Marocco, Algeria, Tunisia. Ma le diversità somatiche non contano, sono tutti israeliani nati ad Israele, sono le generazioni nuove, quelle, che danno solidità e concretezza nazionale all'idea astratta di Stato. Formano un esercito diverso di quello che nel 19S6 conquistò il Sinai in due giorni, un esercito meno pionieristico e più autenticamente nazionale. Questa è la realtà cui deve adeguarsi anche Nasser, l'idea di aggredire e nuovamente, disperdere questo popolo è una pericolosa follìa. Per quanto sia sgradevole doverlo riconoscere, Nasser deve rendersi conto che Israele esiste come popolo e come nazione e non saranno le sue divisioni a mutare questa realtà etnico-politica. Prima di scomparire, gli israeliani sono determinati a farsi massacrare fino all'ultimo; ma è una eventualità molto improbabile, e lo comprendiamo conversando con questi soldati. Non sono smargiassi, non sottovalutano il nemico, nemmeno lo disprezzàno; però sono consci della propria forza, soprattutto oggi che hanno ritrovato un comandante in cui ripongono estrema fiducia. La nomina di Moshe Dayan a ministro della Difesa non è un semplice rimpasto ministeriale, ma ha un significato più vasto e preciso. Si è conclusa la fase delle alchimie politiche, incomincia quella delle decisioni. Con Moshe Dayan torna lo spirito tli Ben Gurion, di cui è umico e discepolo, però interpretato dai giovani ufficiali e soldati nati ad Israele con una più intensa carica nazionalistica. Ce ne rendiamo conto da come si esprimono questi soldati, tra cui è difficile distinguere gli ufficiali. Stesse uniformi, stesso rancio, stessa disciplina; gli ufficiali hanno gradi appena visibili sulla spallina, ma in combattimento li toglierebbero perché non deve esservi distinzione nella lotta per la difesa comune. In un accantonamento che disto sette chilometri dalla frontiera con la Siria, ci fanno vedere un massiccio concentramento di carri armati. In un accampamento mimetizzato con teli, circoliamo come in una foresta di cannoni piazzati entro profonde buche nella terra nera, in cui soldati e ufficiali vivono come talpe accanto al loro mezzo distruttore. In un folto bosco di eucalipti dove la frontiera corre a meno di due chilometri, altri massicci concentramenti di carri armati pachidermici pronti a muoversi. Gruppi di soldati si. addestrano alle armi, altri giocano al calcio, altri conversano. Sono giovani e parlano di ciò che hanno lasciato: la ragazza, il cinema, la sala di ballo; ne parlano- con nostalgia ed è comprensibile. « Ma ci rifaremo dopo », dicono convinti. Hanno scavato profonde buche entro cui si caleranno per manovrare le mitragliatrici, buche che hanno la sinistra dimensione di una fossa. «Può darsi che mi seppelliscano qui se combatteremo — mi dice un soldato — ma gli arabi sentiranno prima come canta questa». Batte con una mano sulla mitragliatrice, ma affettuosamente, quasi con tenerezza. Non è rettorica, mi si creda. Nel caso di Israele, dove è in .gioco l'esistenza di un popolo aggredito su quattro fronti, anche l'atroce prospettiva della guerra trova una sua giustificazione. Ma la determinazione irrevocabile degli israeliani a sopravvivere come popolo, potrebbe indurre gli arabi a più meditate decisioni ed a cercare l'accordo. Diversamente la guerra sarà inevitabile. Francesco Rosso ^ 0Pe"ah.Tiqua iè O i " l Jr * * o* «-^GERUSALEMME ^JDBetatiiuga On ,, OMadebs Betlemme Sf .Jf o 5 m GIORDANIA •* \^^^ « I a l AMMAN :Reho»otO -Migliai Ashqelon a Beit Guvnn (f) 'o O o Beersheba «* O Tamar N E G E V o El-Kerak 20 -40 60 SO 100 I primi volontari cominciano ad arrivare in Israele da molti Paesi: una hostess dell'aviazione riceve all'aeroporto di Tel Aviv un gruppo di americani giunti per arruolarsi nell'esercito israeliano (Telefoto « Ansa ») iiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiitiiiiiiiiiliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mimmi immimmtimimiimmmimiimiiimimiiimimmm mmimiimimmmmimimimmii miiimmmimii