Nasser rifiuta di aprire Akaba e minaccia di bloccare anche Suez di Ferdinando Vegas

Nasser rifiuta di aprire Akaba e minaccia di bloccare anche Suez Incidente con tre morti tra Israele e Siria Nasser rifiuta di aprire Akaba e minaccia di bloccare anche Suez Dura dichiarazione del ministero degli Esteri: « Le Potenze marittime intendono ricorrere alla diplomazia delle cannoniere per appoggiare l'aggressione di Israele. Ma debbono rendersi conto che non possono imporre la propria tutela alle acque territoriali altrui, né interpretare il diritto internazionale in funzione dell'imperialismo. Non permetteremo mai a nessuno di violare la nostra sovranità » - "Al Ahram" (portavoce di Nasser) scrive che il tentativo di forzare il blocco di Akaba porterà alla chiusura di Suez Necessità di un compromesso A due settimane dall'inizio, la crisi del Medio Oriente non è più nella fase acuta, allorché, per dirla con Brown, « siamo stati sull'orlo d'una guerra che poteva sommergerci tutti ». Il pericolo del peggio, tuttavia, è sempre incombente; potremo veramente dircene del tutto fuori solo se e quando sarà stata trovata una composizione pacifica del conflitto tra arabi e israeliani. Chi può essere in grado di realizzare un compito tanto arduo? La risposta che si presenta subito, naturale, è: l'Orni. E infatti al Palazzo di vetro si è lavorato e si lavora; ma i risultati, purtroppo, non corrispondono alle fatiche spese, anzi sono finora completamente mancati. Al massimo il Consiglio di Sicurezza potrà approdare ad una risoluzione talmente generica e incolore che sarà accettabile da tutti i componenti, ma non risolverà nulla. Non potrebbe essere altrimenti, dato che le Grandi Potenze fruiscono del diritto di veto e quindi, se America e Russia sono in contrasto, come è appunto il caso, il Consiglio è bloccato. L'unico gesto compiuto dall'Onu è stato il ritiro dei « caschi blu » dal confine israelo-egiziano. La precipitosa adesione di Thant alla richiesta di Nasser suggella penosamente la confessione di impotenza dell'Onu. Quel che è peggio, se spingiamo lo sguardo al di là della crisi del Medio Oriente, è il fenomeno generale della crescente incapacità dell'Onu a intervenire efficacemente nella sempre più turbata situazione internazionale. Non può non venire alla mente il triste precedente della Società delle Nazioni degli « anni Trenta », dalla Manciuria all'Etiopia e via via, finché il tentativo di instaurare un'ordinata convivenza internazionale naufragò tragicamente nella tempesta della seconda guerra mondiale. Anche adesso, come allora, sembra riprendere il sopravvento il crudo realismo della politica di potenza. Il colpo di mano abilmente riuscito, il fatto compiuto, si impone, senza incontrare apprezzabile resistenza. Il blocco decretato dall'Egitto riguardo al Golfo di Akaba è precisamente l'ultimo e caratteristico esempio di questo pericoloso modo di procedere. E' vero che la questione è controversa sul piano del diritto internazio naie; ma allora Nasser doveva cercare di far valere le proprie ragioni per tutte le vie legittime che gli erano aperte, non commettere una aperta sopraffazione. Scegliendo la via del colpo di forza, egli si è fatto guidare dal mero calcolo politico; e bisogna riconoscere che non si è sbagliato, poiché ha preso ciò che voleva ed ha addossato agli altri l'onere di riprenderlo. Data l'incapacità dell'Onu, l'onere tocca agli Stati Uniti ed alle altre grandi potenze marittime, assertrici del principio della libertà dei mari. Queste stanno infatti studiando il modo di reagire all'iniziativa egiziana, ma l'impresa si presenta tutt'altro che facile, perché si restringe all'alternativa tra una dichiarazione, destinata a lasciare il tempo che trova, e il ricorso alla forza. A questo mezzo estremo riluttano quasi tutti ì paesi consultati da Washington e gli stessi Stati Uniti non paioao propen¬ i a far precipitare la si-si a far precipitare la si tuazione. A! contrario, hanno prodigato ad Israele consigli di prudenza e gli hanno anche offerto di sovvenire alle sue necessità, finché si trovi il modo di risolvere positivamente la questione dell'accesso al Golfo di Akaba. Israele potrebbe certamente ricevere per qualche tempo il petrolio dal Texas, ad Haifa, anziché ad Eilath dall'Iran. Ma il punto non sta in questo arrangiamento pratico, di carattere momentaneo, sta nel danno generale e permanente che Israele riceverebbe da una politica di acquiescenza. Danno economico gravissimo, che però non è ancora il peggio; e danno politico, irrimediabile questo, perché Israele perderebbe ogni credibilità » di fronte agli arabi. Questi si sentirebbero così invitati ad attuare qualche nuova mossa contro Israele e si incamminerebbero verso l'attuazione del loro programma finale, apertamente proclamato: la distruzione fisica di Israele. Se si deve stroncare sul nascere questa minaccia di- nascere questa minaccia di sumana e se, d'altra parte, non si deve neppure ricorrere alla forza, bisogna dunque raggiungere un compromesso che salvi la questione di principio, tuteli Israele e sia accettato dagli arabi. A questo punto il discorso torna a volgersi a Mosca, che appoggia Nasser. Ma per parlare efficacemente con Mosca il discorso va allargato dal Medio Oriente al Vietnam: questo sembra essere il significato dell'atteggiamento sovietico nella crisi araboisraeliana. La partita diviene cosi troppo grossa per poter essere affrontata seriamente in una situazione di emergenza come l'attuale. Le armi hanno cominciato a sparare, si contano già i primi morti; al secondo o al terzo incidente potrebbe essere la catastrofe. Se Russia e America non vogliono la terza guerra mondiale, come non la vogliono, è necessario pertanto che trovino tempestivamente un minimo terreno di intesa. Ferdinando Vegas '

Persone citate: Brown, Nasser, Thant