La strada di don Chisciotte di Carlo Casalegno

La strada di don Chisciotte PAESI E PERSONAGGI DEL CERVANTES La strada di don Chisciotte (Dal nostro inviato speciale) Madrid, maggio. Ogni venerdì parte da Madrid il pullman di un'agenzia americana, che per tre giorni conduce i turisti attraverso la Mancia sulla « strada di don Chisciotte »; ma è probabile che qualcuno torni deluso dal viaggio, pur nutrito di soste in castelli, santuari e cantine. Tutto sommato, non c'è molto da vedere: per buon gusto o per trascuratezza, gli spagnoli non hanno ancora provveduto a sfruttare come risorsa turistica l'eroe più famoso della loro letteratura, e ne hanno lasciato il paese in silenzioso abbandono, limitandosi a restaurare pochi mulini a vento. Né, forse, la visita in comitiva è il metodo più adatto per godere un viaggio fra le memorie della poesia; ma chi percorra quella regione da solo, ed abbia appena familiare il mondo del romanzo, ha la felice sorpresa di ritrovare intatta la Mancia del Cervantes, di scoprirne i desolati e fantastici incanti, e di capire meglio il Don Chisciotte. Quest'umida primavera che ha coperto di un'erba leggera i magri pascoli ed i campi d'un grano ancor verde, luminoso e tenero, non è la stagione più adatta a percorrere l'itinerario del Cervantes. Sarebbe meglio partire, come don Chisciotte, all'alba « d'uno dei giorni più caldi del mese di luglio », quando tutto l'altopiano spagnolo si distende giallo, polveroso e sterminato sotto un sole abbacinante, propizio ai deliri della fantasia: senza l'estate della Mancia (il nome, in arabo, vuol dire terra arida) non si capirebbero le allucinazioni eroiche ed i sogni d'assoluto del Cavaliere dalla trista figura. Ma anche nella dolcezza del maggio questa terra ed i suoi paesi ci accostano alle avventure ed allo spirito del grande romanzo. La Mancia non è pittoresca: è una pianura nuda, ondulata da un lento movimento di colline, qua e là rotta da alture pietrose; però la chiudono gli aspri rilievi di Toledo e le tormentate catene della Sierra Nevada. Argamasilla de Alba, il paese di don Chisciotte, è immerso in una vasta campagna monotona, povera d'alberi, che ispira ancor oggi desideri d'evasione; ma ad una giornata di cavallo, o poco più, incomincia una montagna vuota d'uomini e fitta di boschi, di forre, di pascoli silenziosi, di vallette segrete, di rocce strane: nei suoi sogni, don Chisciotte poteva popolarla senza sforzo di pastorelle, di amanti disperati, di perfidi giganti, di cavalieri vendicatori. Cervantes ha scelto con un gusto preciso della verità paesistica psicologica il teatro per le avventure grottesche dei suoi eroi, e per le meravigliose favole d'amore che vi si intrecciano. Si direbbe che il decollo industriale, il boom disordinato, le profonde trasformazioni che scuotono la Spagna, non abbiano toccato il cuore della Mancia. Forse l'emigrazione ha spopolato alcuni paesi: così ci appaiono anche più immobili ed antichi. Come in certi nostri villaggi del Mezzogiorno, sono arrivate le motorette, la nuova moda femminile, la pia stica; rimangono la povertà un senso di isolamento ed un modo di vita che sembra anteriore alla civiltà delle macchine. I mulini a vento dalle grandi ali di legno servono ancora a macinare il grano, lungo le strade asfaltate pascolano gli armenti, cavalli più magri di Ronzinante sono aggiogati all'aratro ed ai carretti. E l'asino è ancora il compagno del contadino "povero: come per Sancio Panza, che non fa ridere affatto quando nel romanzo abbraccia il somaro e lo chiama «luce dei miei occhi »: era tutto il suo capitale di bracciante senza terra. Anche don Chisciotte è povero; di una povertà diversa ma più amara, perché meno rassegnata e più inerte. Dopo quattro secoli, camminando per le strade bianche e addormentate di Argamasilla, tra la grande chiesa in rovina, le facciate segrete e misere delle case « nobili *, la piazzetta dove tutto il paese si ritrova per il passeggio, abbiamo ancora una immagine immediata dell'est stenza in cui intristiva qui un anziano gentiluomo di pochi Sdgvmsnlcsc mezzi, costretto all'ozio dal suo orgoglio di hidalgo, perduto in sogni inappagati di gloria. Se Miguel de Cervantes abitò davvero qualche tempo ad Argamasilla, potè facilmente trovare fra i suoi vicini il primo modello del suo eroe. Don Chisciotte difendeva il suo « decoro » di cavaliere tenendo ila lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da cacciai), ed astenendosi da ogni lavoro mercantile o manuale, solo a prezzo di severe economie. Della rendita che gli davano « quattro ceppi di vite e quattro jugeri di terra », due terzi se ne andavano nel vitto, quantunque mangiasse carne di vacca piuttosto che di castrato; ed i calzoni di velluto li portava soltanto la domenica. Era un uomo solo, costretto ad una vita vuota, arrivato troppo tardi per partecipare all'epoca della «reconquista»; ma aveva quasi sotto gli occhi le affascinanti testimonianze delle glorie passate: il castello dell'Ordine di Calatrava, che difese la Spagna contro i mori, le torri dei cavalieri di San Giovanni, il superbo castello che il marchese di Santa Cruz, l'ammiraglio di Lepanto e di Tunisi, aveva costruito nell'arida Mmcia circondandolo di opulenti giardini, « perché posso e voglio ». E' indubbio che don Chisciotte, Sancio, Dulcinea, come tutti i grandi personaggi della poesia, vivono d'una vita autonoma, più autentica ed eterna della realtà; e nell'intrecciarsi continuo di una doppia verità, fra le cose concrete ed il sogno, sta l'incanto irrepetibile del romanzo. Tuttavia le fantastiche avventure dell'hidalgo sono costruite su dati di un realismo quasi fotografico. La Dulcinea di don Chisciotte non è mai vissuta al Toboso, né in alcun luogo della terra: è la donna ideale per ammissione dello stesso cavaliere « La dipinsi nella mia immaginazione come la desidero, così nella bellezza come nella nobiltà... Dio sa se esiste o no al mondo... queste sono cose che non vanno appurate fino in fondo ». Ma Dulcinea come la vede Sancio, solida contadina con un'abilità senza eguali nel salare i porci, muscoli capaci di scagliare una sbarra di. ferro meglio d'un giovanotto, una voce che faceva tremare i garzoni ed un sano « odore di agli crudi », sembra il ritratto di certe con tadine che s'incontrano ancor oggi al lavoro. Ed il Toboso è rimasto quale lo descrive il Cervantes, con la grande, rozza mole della chiesa che sgomenta don Chisciotte e Sancio nella loro incursione notturna, un silenzio rotto soltanto dalle voci della campagna, e la « casa di Dulcinea» all'ingresso del paese, piuttosto cascina che palazzotto, ma con una torretta orgogliosa sulla porta carraia. Qui potè abitare davvero Aldonza Lorenzo, la ricca contadina « di molto buon aspetto », che il giovane don Chisciotte aveva segretamente amato, prima di trasfigurarla nei suoi sogni. Il segretario della Società cervantina del Toboso mi ha detto che la « casa di Dulcinea », acquistata dallo Stato ed in corso di restauro, dovrà ospitare un Museo dell'amore; purtroppo — ammette — non mancano le difficoltà e le incertezze sul materiale da raccogliere. Dobbiamo sperare che l'infelice progetto non sia mai realizzato: un museo delle cere dedicato alle eroine dell'amore, sarebbe il peggior servizio alla poesia ed al Cervantes. Un museo cervantino, al Toboso, ce già: è tutto il paese, immutato nei secoli, con la sua grande e nuda piazza sabbiosa, un disadorno pozzo biblico dove le donne si raccolgono con le anfore, le capre che brucano per le strade, ed all'entrata del paese il muro bianco e la piccola torre della casa di Dulcinea: per don Chisciotte, l'incantato e irraggiungibile castello dell'amore. Carlo Casalegno

Luoghi citati: Argamasilla, Madrid, Nevada, Spagna, Toledo, Tunisi