Non ci sono «cinesi» in Russia di Alberto Ronchey

Non ci sono «cinesi» in Russia Più nazionalistico che dottrinario il conflitto cino-russo Non ci sono «cinesi» in Russia L'ideologia maoista non esercita il minimo fascino nell'Urss, nemmeno fra gli intellettuali ed i gruppi clandestini d'opposizione I sovietici hanno conosciuto per quasi mezzo secolo il collettivismo, le privazioni, il culto del capo; non sono attratti da una "eresia" comunista che esalta la povertà e nega i problemi dell'economia moderna - La rottura con la Cina ha suscitato ormai una vera psicosi di massa - Dopo aver sconfitto in Occidente l'espansionismo tedesco, i russi sentono premere alle spalle un popolo sterminato e di scarse risorse che rivendica uno "spazio vitale" - La stampa già accusa Mao di volere un "Reich razzista" (Dal nostro Inviato speciale) Khabarovsk, maggio. La piccola Enciclopedia sovietica, la più aggiornata, volume secondo, pagina 977, alla voce Gheopolitika dice: « Dottrina reazionaria borghese... »; seguono alcuni accenni a vecchi personaggi come il tedesco Ratzel, l'inglese McKinder, lo svedese Kjellen. Manca un nome: Mao Tse-tung. Infatti l'edizione è del '58; la prossima dovrà essere largamente riscritta alla voce Gheopolitika. Questo nome è il simbolo della nuova angoscia sovietica. I russi credevano di aver debellato all'Ovest la vecchia concezione nazionalistica, anzitutto tedesca, che fu alla radice delle teorie sullo « spazio vitale »; ma oggi, per molti segni, le idee tradizionali della rivista ZeitschriftfurGeopolltik, se non quelle più esplicite dell'ultimo Reich, rispuntano all'Est, alle spalle dell'Urss. La Pravda del 2 settembre 1964 segnalò per la prima volta il fenomeno con queste parole: «Le considerazioni di Mao Tse-tung sulla " ingiusta distribuzione dei territori " non sono poi tanto nuove. Egli ha predecessori, di cui difficilmente potrebbe sentirsi orgoglioso... ». Per la verità, solo una volta Mao parlò in quei termini generali, con la famosa intervista ai socialisti giapponesi; ma nell'Urss la gente crede ormai che la dottrina maoista sia fondata sullo « spazio vitale ». Incredibile poi è la raccolta delle mappe e dei trattati che vengono citati da una parte e dall'altra: essa eguaglia ormai, o supera, la stessa letteratura sul dissidio ideologico. Dopo il primo messaggio del partito cinese a quello sovietico sulla questione dei confini (29 febbraio 1964), solo in tre anni e mezzo la polemica dei dotti geografi e storici chiamati a difesa dell'Urss s'è trasfusa nel sentimento popolare. Spesso i russi raccontano i fatti a loro modo, disputando sui trascorsi della Zabaikhalia o dell'Asia Centrale. Per debito di cronaca, finora ho citato i loro discorsi con tutte le confusioni di date, le reticenze, le distorsioni e le forzature. 1 documenti cinesi, poi, sono colmi di furore partigiano. Ma l'analisi può esser lasciata agli specialisti. Il dato conclusivo è l'urto dei nazionalismi: non sembra più lecito sottostimarlo per puntiglio ideologico, secondo il costume di chi tende a idealizzare ad ogni costo tutto ciò ohe accade a sinistra. « E' passato da molto il tempo — ha scritto la Pravda del 16 febbraio '67 — in cui la iiolitica del gruppo di Mao Tse-tung poteva sembrare espressione di discordanze ideologiche, controversie nell'ambito del movimento comunista... Questo gruppo s'è dedicato ad una lotta politica aperta contro il nostro paese, il nostro partito, il nostro popolo ». E ora il Komrnunist pubblica lunghi saggi siili' oppressione delle minoranze nazionali in Cina. La Literaturnaja Gazeta del 5 aprile, con uno scritto di Ernst Ghenri, è giunta fino a sostenere che « Mao vuole creare in Asia un Reich razzista ». E' difficile dire quali pregiudizi potranno essere risvegliati nel popolo russo e in quello cinese. Il reciproco isolamento, in cui vivono ormai da anni, e la diversità crescente fra loro esaltano ogni psicosi. «Ho viaggiato per tutta l'Europa, sono stato in Asia e in America — osservò una volta llja Ehrenburg — e ho finito per concludere che niente è difficile come comprendere la vita altrui... ». E lo scrittore russo indicava l'eccitante della xenofobia nei discorsi di questo tipo: « Guarda che lui non vive come te, è inferiore ma non vuole riconoscerlo, dice di vivere meglio di te, di esserti superiore; se non lo ucciderai, ti costringerà a vivere alla sua maniera ». Non sia¬ mo ancora a questo. Ma ci si domanda se l'odierna psicologia di massa, in Russia e in Cina, non inclini al modello tradizionale. Bene inteso, come non si può escludere il nazionalismo dal contenzioso russocinese, così è irragionevole escluderne gli altri motivi, dalla frattura ideologica al divario di sviluppo economico. Quale parte ha l'ideologia in questo dissidio? Venendo dall'Europa, colpisce anzitutto la totale assenza di fermenti ideologici «cinesi» nell'Urss. Fra popolo minuto e apparateiki di partito, economisti e letterati, non ho colto il minimo segno di simpatia o perplessità verso il maoismo. Vi è un culto maoista persino in America, fra certe sette dell' Università californiana di Berkeley; ma non all'Università Lomonosov di Mosca o in Akademgorodak, e neppure nelle riviste russe clandestine (quelle del nichilismo al ciclostile). La Cina, come «società, di contestazione» che volge le spalle persino allo sviluppo economico, avrà fascino per quei letterati europei che l'Humanité ha definito «les guardes roses »; e invece ho trovato gli scrittori russi, da Nekrassov a Voznesenskij, furibondi contro simili miti. L'iihmagine d'un popolo cinese votato all'eticità apocalittica viene smentita poi dai russi di frontiera. «La rivoluzione culturale — mi dicono qui — è estranea alle vere masse contadine e operaie... Il maoismo non sa nulla sul mondo moderno... Come disse Lenin, chi va troppo a sinistra si trova a destra :». /.russi non hanno un'idea romantica del maoismo perché vissero già esperienze simili, anche se non uguali. Per qualche tempo ebbero anch'essi le «Comuni», l'esaltazione della povertà come superiorità morale. Essi, prima dei maoisti, immaginarono di ricostruire l'indole umana dalle fondamenta e con un moto d'urto, ad ogni costo. In cinquantanni, i russi hanno imparato a capire in senso profondo quel personaggio del Duello di Cechov, il quale asseriva che il despotismo opera sempre a nome d'una schiatta ideale di uomini, l'umanità, le future generazioni: ma non « per me e per te », gli uomini come sono. Essi conobbero fino alle conseguenze estreme il Vozhdizm, il culto del capo carismatico, già definito da Massimo Gorki « malattia del secolo », e le sue illusorie motivazioni. « Mettetevi in fila, si sta combattendo per il futuro della razza umana! »: cosi disse Radek nel '34, e tutti ricordano che cosa accadde proprio dal 1934. Invece il disegno dell'* uomo nuovo » non ha avuto applicazioni recenti nell'Occidente liberale. L'evoluzione effettiva dell'uomo « vecchio» ma reale è lenta, a paragone col boom scientifico-tecnologico del mondo moderno; e quando sorge un fenomeno di rottura, ci si domanda se non sia l'ora della verità. E' sempre stato così: Shaw e Gide, Malraux e Dreiser videro una possibile ora della verità nello stalinismo (e Shaw in un certo momento la vide finanche nel fascismo). Il fatto irrazionale, o incomprensibile, affascina nella misura in cui è distante e diverso. Ma i russi no, essi non sono più attratti dall'incomprensibile. Sanno poco sulla Cina, ma sanno che le virtù prestate a quella « società di contestazione » meritano diffidenza, e comunque non sono una risposta ai problemi del mondo moderno, che ha già da gran tempo dietro di sé l'esperienza di protocristiani e giacobini, utopisti e puritani, anarchici e bolscevichi. E molti russi almeno sanno quanto sia terribile per le masse cinesi la rinuncia del 7naoismo alla politica, la « fuga in avanti » verso un'utopia che rifiuta l'esperienza del mondo intero. I russi tengono un conto impietoso di questi spasmi ideologici. Nel '37, Mao scriveva, che « la contraddizione fra la società e la natura si risolve col metodo dello sviluppo delle forze produttive ». Oggi proclama che « la povertà è un bene ». Nel 7/9, Mao ammoniva: « Avere le cifre nella mente... Ci sono molti compagni, i quali non capiscono che devono badare all'aspetto quantitativo delle cose, alle statistiche fondamentali... ». Ma dal '59 ormai non si pubblicano statistiche sulla produzione in Cina. Nel '42 Mao aveva detto: « Il marxismo insegna che quando affrontiamo un problema non dobbiamo partire da definizioni astratte, ma dal fatti obbiettivi,.. ». Oggi tutta la predicazione maoista è soggettiva e volontaristica. Nel '57 Mao condannò con aspre parole chi considerava il marxismo « da un punto di vista - metafisico *. Oggi egli si esprime in termini quasi metafisici, a nome d'un socialismo e persino d'un comunismo privo d'ogni «base materiale e tecnica ». Per i sovietici, vissuti collettivamente in povertà fino a ieri, non può avere fascino questa svolta del comunismo maoista. I russi concludono (proprio come il sinologo americano Richard Lowenthal) che la « rivoluzione culturale » respinge ormai l'altra rivoluzione, quella moderna dell'homo oeconomicus, che viene identificata poi con l'Occidente (Urss compresa). E' una sfida volontaria o il risultato d'un fallimento? «Non hanno trovato niente di meglio — ha scritto la Pravda — che cercare di trasformare la necessità in virtù *. La Cina tentò in effetti la via della rivoluzione industriale; ma ora, a 18 anni dalla fine della guerra civile, è remota da tutti i traguardi che l'Urss aveva già superato 18 anni dopo la fine della sua guerra civile. Il maoismo non sa affrontare il problema della produzione; il regime monastico-militare può solo contenere il problema della sussistenza, che tuttavia s'annuncia sempre più grave in prospettiva, poiché la popolazione aumenta ogni anno di 18 milioni. Come si spiega questo fallimento! Gli americani osservano che la Cina «non può fare da sé » con l'esplosione demografica in cui vive: ma è governata da un gruppo dirigente non pragmatico, incapace di trattare col mondo esterno. I sovietici imputano il fallimento alla rottura con l'Urss e agli errori commessi dopo il 1957, quando « furono violate le regole essenziali dell'economia socialista »: così m'ha detto a Mosca, per esempio, l'accademico Nikolai Inosemtsiev, presidente dell'Istituto di economia mondiale. Ma resta vero, al di là degli errori del maoismo, che la Cina è afflitta da un tragico rapporto fra popolazione, risorse e spazio: lo sviluppo dell'Urss fu di gran lunga più facile a causa delle possibilità d'accumulazione dell'immenso impero sovietico. Questo divario, al limite, può fornire la controprova che il fattore primario del « miracolo russo » non fu la dittatura di piano, ma la ricchezza eccezìo naie (unica al mondo) del paese che s'estende da Brest alla Ciukotka. Alberto Ronchey