Mao consolida il suo potere ma rischia la «guerra civile»

Mao consolida il suo potere ma rischia la «guerra civile» La «rivoluzione culturale» progredisce inesorabilmente Mao consolida il suo potere ma rischia la «guerra civile» I nemici del dittatore sono allontanati dal governo, coperti di ingiurie e di ridicolo -1 maoisti non ricorrono alla violenza per evitare gravi ripercussioni nel Paese - Cercano anzi di favorire il «ritorno all'ovile» di chi ha errato seguendo la « via revisionista » - Ma l'opposizione è tenace : i fedeli di Liu Sciao-ci provocano disordini, cercano di tenere occupate le «forze rivoluzionarie» con la costante minaccia della guerra popolare (Dal nostro corrispondente) Pechino, 9 maggio. A piccoli passi, ma inesorabili — e sia pure rotti di quando in quando da drammatici arresti — gli artefici e gli esecutori della «grande rivoluzione proletaria culturale» di Mao avanzano consolidando la loro posizione e gettando il discredito sui nemici del dittatore, per allontanarli dal potere senza provocare gravi ripercussioni nel paese. La campagna maoista presenta diverse facce: subdola e sottile quand'è necessario che così sia, apertamente violenta quando nessun altro sistema sembra avere successo. Va dal vituperio alla denuncia infamante dei manifesti murali e dei giornaletti delle « guardie rosse », alle migliaia di disegni satirici che ora pendono, legati a corde come biancheria, dai lampioni stradali perché sui muri non c'è più posto. Il gruppo di dirigenti o ex dirigenti, un tempo potentissimi in seno al partito comunista ed ora accusati di avere seguito la « via del capitalismo » fin dalla fondazione della Repubblica, è piuttosto ristretto e ben identificato. Comprende il capo dello Stato Liu Sciao-ci (definito il « Kruscev cinese»), sua moglie Wang Kuang-mei, l'ex segretario generale del partito Teng Hsiao-ping, l'ex sindaco di Pechino Peng Chen, l'ex capo della propaganda Tao Cin ed altri altissimi' funzionari od esponenti della cultura e persino dell'esercito. L'apparizione pubblica, ai primi di maggio, di quasi tutti i massimi leaders — compresi alcuni già attaccati duramente, fino ad essere bollati da controrivoluzionari — può essere intesa come una dimostrazione dell'isolamento in cui sono precipitati i nemici di Mao, e dell'inutilità di resistere alla linea politica del capo del partito, basata sulla tesi che la « lotta permanente » è una caratteristica indispensabile della « via al comunismo ». Ma può anche avere avuto lo scopo di dimostrare ai quadri del partito più bassi, raggiunti dai fulmini delle « guardie rosse », che la redenzione ed il ritorno all'ovile sono possibili qualora essi seguano le direttive di Mao, ammettano i loro errori e ne facciano ammenda. E' un fatto che, senza l'apporto attivo di tutti, gli obbiettivi della rivoluzione culturale potrebbero essere mancati anche se gli oppositori al vertice fossero completamente sconfitti ed epurati. Affermando che una «grande alleanza» può essere formata al più alto livello, chi ha in mano le leve del partito tenta di scuotere gli indecisi incoraggiandoli ad unirsi al « gruppo rivoluzionario» per strappare il potere ai rappresentanti della « linea borghese e reazionaria » che prendono l'imbeccata dal « Kruscev cinese ». Se il piano fallisce, non è da escludere che unità dell'esercito fedeli a Mao costituiscano dei comitati di controllo militare, com'è già stato fatto nella provincia meridionale del Kwangtung. Questi comitati, che le pubblicazioni ufficiali presentano ed osannano come uno sviluppo ed un arricchimento della « teoria marxista per il socialismo scientifico», sostituirebbero l'apparato del partito creato da Liu Sciao-ci e da Teng Hsiaoping e sarebbero costituiti da elementi delle forze armate, delle « masse rivoluzionarie » e dei « quadri rivoluzionari ». Il comitato rivoluzionario del comune di Pechino, fondato alla fine dello scorso mese, è uno di questi organismi provvisori di potere. Il suo capo è Hsieh Fu-ci, vice Primo Ministro e ministro della sicurezza pubblica, la cui stella è salita rapidamente negli ultimi tempi. LValleanza» di cui Hsieh è la guida comprende 24 lavoratori, 17 militari, 14 studenti universitari, 13 conladini, 13 delegati del governo, 6 studenti delle scuole medie, 6 esponenti della cultura, dell'educazione e della sanità, 4 cittadini. « La fon- Un gruppo di attori inneggia alla «rivoluzione culturale». La scena si svolge in un edificio pubblico di Pechino. Sulle colonne scritte inneggianti a Mao Tse-tung ed al partito comunista cinese (Telefoto di David Oancia) dazione del Comitato di Pechino — dice un rapporto ufficiale — ha portato la grande rivoluzioìie culturale ad uno stadio di sviluppo completamente nuovo e costituisce un esempio luminoso per il popolo in tutto il paese. Dimostra che la rivoluzione culturale ha risolto i più importanti problemi della rivoluzione proletaria della nostra èra; ed è*un'esperienza nuova nella lotta contro la restaurazione capitalista, dopo la presa del potere da parte del proletariato e per condurre a fondo la rivoluzione socialista». I problemi tuttavia rimangono, come riconoscono sia giornali del partito sia delle « guardie rosse ». Gli scontri ed i veri e propri combattimenti nelle province indicano che non tutto fila liscio. Spesso i seguaci della linea che si dice sostenuta dal « Kruscev cinese » sono duramente attaccati per i disordini che provocano. « Essi spostano la lotta su obbiettivi secondari — ha scritto il giornale del Comitato di Pechino — cercando di tenere occupate le organizzazioni rivoluzionarie con la guerra civile ». David Oancia Copyright «The Globo and Mail», Toronto o per l'Italia de aLa Stampa» IIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

Luoghi citati: Italia, Liu Sciao-ci, Pechino