Assolti per insufficienza di prove gli accusati d'aver ucciso il benzinaio

Assolti per insufficienza di prove gli accusati d'aver ucciso il benzinaio Assolti per insufficienza di prove gli accusati d'aver ucciso il benzinaio La decisione dei giudici della Corte d'Assise di Ivrea ieri sera alle 19, dopo due ore di riunione -. II P.M. aveva chiesto 26 anni per Romano Gioberto e 18 per Giacomo Franchino - Gli imputati sono stati immediatamente posti in libertà - Hanno detto: « Eravamo tranquilli e sicuri di essere prosciolti » - Il Pubblico Ministero si è subito appellato contro la sentenza delle Assise - Il delitto, a scopo di rapina, avvenne nell'ottobre '55 (Dal nostro inviato speciale) Ivrea, 8 maggio. La Corte d'Assise di Ivrea, dopo due ore di camera di consiglio, ha assolto per insufficlenza di prove Romano Gioberto e Giacomo Franchino, accusati di aver ucciso il benzinaio Mario Tansini, di Palazzo Canavese. Con la stessa formula dubitativa 1 due sono stati anche prosciolti dall'accusa di rapina dell'incasso e con formula piena, per non aver commesso il fatto, dall'imputazione di aver rapinato un t quantitativo imprecisata di benzina». Quando il presidente dottor Guglielmi, alle 19,10, ha letto la sentenza, Gioberto e Franchino non hanno saputo frenare la loro gioia. Hanno ringraziato commossi, ad alta voce, 9 si sono chinati per abbracciare i loro difensori, gli avvocati Walter De Filippi, Leonardo Musumeci e Domenico Forchino. La Corte non si è convinta della loro colpevolezza. Il delitto fu commesso 12 anni fa il 12 ottobre 1955, in ima sera di nebbia e molte cose non hanno avuto una spiegazione. Il dubbio maggiore, forse, va ricorcato nelle profonde differenze tra le «confessioni» del Franchino e la testimonianza di Luciana Tansini, la figlia dell'ucciso. Secondo l'accusa, l'assassinio sarebbe stato commesso a causa di un litigio sorto tra il benzinaio ed il Gioberto per dieci litri di benzina. Ma Luciana Tansini ha dichiarato, con lodevole onestà, che nessuna auto, quella sera, nel momento in cui fu ucciso suo padre, era ferma vicino ai distributori. Il P. M., durante il processo, si è reso conto che in tal modo, il tragico episodio mancava di qualsiasi movente ed ha contestato il c tentati vo di rapina dell'incasso». La Corte, evidentemente, ha ritenuto che si trattava d'un ripiego tardivo e comunque non provato. In queste condizioni, infatti, bisognerebbe di mostrare che Gioberto, Franchino e Girardi (ir terzo pre; sunto complice morto in manicomio) siano partiti da Al ba in una buia sera di autunno con l'intenzione di andare a commettere una rapina proprio nel Canavese, in un paese dove non erano mai stati La vicenda, comunque, non è chiusa. La Corte ha ordina to la scarcerazione ' dei due imputati e il P. M. ha imme diatamente firmato i relativi ordini. Ma nello stesso momento ha annunciato che do mani ricorrerà in appello. L'ultima udienza si è aperta con l'arringa dell'avv. Musumeci. « L'accusa — ha osservato il penalista — si fonda sti quattro elementi: 1) le dichiarazioni di Carlo Suppo, zio del Gioberto, al quale il maresciallo Corradino giunse attraverso un confidente; 2) la confessione del Franchino, in seguito ritrattata; S) la confessione del Girardi, prima ritrattata e poi riconfermata; !,) le affermazioni del detenuto Magnanco, compagno di cella del Franchino nel carcere di Ivrea. «I protagonisti di questa allucinante vicenda sono pertanto Carlo Suppo, un suicida; Felice Girardi, morto pazzo in manicomio criminale; due confidenti e due imputati che noi riteniamo innocenti. «Non dimentichiamo che Carlo Suppo, nel 1953, era socio di fatto del nipote Romano Gioberto, al quale aveva prestato 2 milioni e 600 mila lire. Nel 195.'i Suppo, per colpa del nipote, fu dichiarato fallito, perse i suoi risparmi e finì sul banco degli imputati. Fu giudicato e condannato per bancarotta semplice. E' quindi umano che Carlo Suppo nutrisse rancore verso il nipote, che riteneva responsabile della stia rovina, ed è naturale che si sia sfogato con qualcuno, giungendo al punto di sospettare che Gioberto fosse capace anche di un delitto. L'avv. Musumeci ha poi esaminato le confessioni del Franchino, e di riflesso quelle del Girardi, per dichiarare che furono estorte « per suggestione ». Nell'accennare al Magnaneo, il difensore lo ha definito «un millantatore ed un esibizionista: la sera prima di sfregiare l'amica ne diede l'annuncio ad un giornalista, lasciandogli la sua fotografia e ciucila della donna nella buca delle lettere». Prima di ritirarsi, 11 presidente dott. Guglielmi ha chiesto agli imputati se avevano ancora qualcosa da aggiungere. Gioberto, con voce rotta dall'emozione, ha detto: « Mi sono presentato davanti a que sta Corte con il cuore tran quilla perché non ho ucciso nessuno. Davanti a Dio e a mio figlio vi ghiro che sono innocente. Non chiedo pietà alla giustizia, chiedo soltanto giustizia». Franchino, con voce spenta, ha riecheggiato: «Sono innocente» Gino Apostolo Giacomo Franchino e Romano Gioberto, che abbraccia il suo difensore, dopo la lettura della sentenza ad Ivrea Ripiomba nel mistero il delitto di Palazzo Canavese

Luoghi citati: Ivrea, Palazzo Canavese