Cannibali e nazisti nel "Porcile''

Cannibali e nazisti nel "Porcile'' L'atteso film di Pasolini alla Mostra di Venezia Cannibali e nazisti nel "Porcile'' Il tema della pellicola è la società che divora sé stessa: la simboleggiano un gruppo di antropof agi e un ragazzo succubo dei suini, ricattato da un industriale tedesco - Il film cubano La prima carica al machete narra l'eroica ribellione dei contadini dell'isola nel secolo scorso (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 30 agosto.' Sua maestà Pasolini è alla Versailles di Grado con tutto il mazzo di chiavi occorrenti a disserrare il suo ultimo film; e noi qui al Lido, dove il' film si dà in « contemporanea», dobbiamo arrangiarci. Vero è che l'autore ci ha fatto avere ieri un dispaccio esplicativo assai pregnante (come tutto quello che esce dalla sua penna), e che a riportarlo per intero farebbe l'articolo in vece nostra. Resta che parlare a botta calda, su due piedi, di Porcile (regia soggetto e sceneggiatura, non si dice neanche, dello stesso Pasolini) è un affatacelo, forse il più spinoso dei molti già incontrati in questa rassegna. Tutti sanno che all'interno dei film pasoliniani c'è sempre una forza (il famoso pathos) che abbatte gli ostacoli di specie più ingrata per insediàrvisi sopra spesso trionfalmente. In Teorema la natura dell'ostacolo era quella che ognuno ricorda; nel film odierno è l'antropofagia esercitata in due forme, dall'uomo sull'uomo e dall'animale sull'uomo. Nell'ordine delle difficoltà è poi da mettere il titolo stesso: perché le parole sono fatti, e quella di Porcile pesa. Ma non pesa più dopo che si è visto il film: anzi risulta piana e calzante. Abbiamo ricordato Teorema, ma ci pare che, Porcile, prescindendo dall'elemento comune del colore, se la dica più con Uccellacci e uccellini, cioè che la componente razionale-ideologica dell'ispirazione pasoliniana vi abbia maggior risalto che non la lirica e figurativa. In altre parole la visione è meno bella, o bella soltanto in una delle due « parabole » dal cui fitto intreccio esce il film: la arcaica. In questa vediamo un Pierre Clementi pallido e rifinito come soltanto lui sa essere, trascinarsi famelico su per le falde d'un vulcano e cibarsi prima d'una farfalla, poi d'un serpente e quindi con rapida scalata di un uomo, un uomo ucciso in combattimento: ma non senza, quanto a quest'ultimo, essersi fatto il segno della croce (antropofagia sacrale). Altri^sbandati, tra cui Franco Cittì,,si aggiungono' a lui, e. abbiaino una1 piccola comunità primitiva 1 cui stupefatti erram'ehtì sopra le pendici del vulcano ricordano le migliori pagine di Edipo re. Quindi tutti quanti sono arrestati da ferrigni guerrieri, processati e messi a morte. Ma prima del supplizio Clementi, porgendosi nudo in figura di « ecce homo », dice alto per quattro volte: «Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, e tremo di gioia».- In questo versante del film Pasolini ha espresso la condanna della società «storica» e la correlativa esaltazione dell'umanità vergine, eterno amore dei decadenti. Nell'altra parabola che sta a specchio di questa e porta moito più dialogo (dialogo di tragedia sconsacrata, ' bilanciato in couplets spesso rimati), siamo in una sontuosa villa della Germania di Bonn dove due carognoni di industriali si affrontano sopra un terreno ricattatorio: l'uno ha scoperto che l'altro è un vecchio criminale di guerra, sterminatore di ebrei, che si è cambiato nome e faccia, questo ha scoperto che il figliuolo del rivale (Jean-Pierre Léaud), fidanzato a sua figlia (Anne Wiasemsky, nilas signora Godard), coltiva un amore immondo, quello per i maiali. Combinati da un detective faccendiere (Marco Perreri, il regista) i due lavativi neo-capitalistici giungono presto a un compromesso, isolando in luce amletica: la figura del ragazzo (il pendant del cannibale), che sentendosi disadatto cosi all'ubbidienza come alla contestazione, chiuso nella sua « trepida adolescenza », irraggiungibile dalla sua Ofelia, non solo non si vergogna dei suoi amori.suini ma se ne esalta, rovesciandovisi dentro fino a rimanerne fisicamente annullato Ccome ci farà sapere Ninetto Davoli, il solito testimone e procaccino delle vicende pasoliniane). In questa seconda parte è più visibilmente colpita l'aborrita borghesia, e anche vi è adombrata la tematica e la difesa dei « diversi », ampiamente sviluppate nel lavoro teatrale Orgia. Abbiamo detto che in essa abbondano i dialoghi e quindi le « idee », i sarcasmi i paradossi del più ideologicamente impegnato Pasolini: ne concrescono anche le difficoltà d'intelligenza per lo spettatore, colto pure dal sospetto di trovarsi in mezzo a una materia non più tanto fresca nell'invenzione, ma un po' ribadita. Non c'è forse film pasoliniano che abbia bisogno di tanti puntelli esplicativi quanto questo: segno d'una sempre più fiorente, scaltrita intellettualità di contenuto, ma anche d'una cerca sfiducia nella presa diretta della poesia. In molte pagine di Porcile, ben recitato dagli attori, e ben servito dalla fotografia di Dell! Colli e Nannuzzi, dai costumi di Donati e dalle musiche di Chiglia, non se n'è affatto scordato; e sugli altri autori oscuri o piovosi di questa mostra e del cinema in generale ha sempre l'enorme vantaggio di rompere le tenebre con vividi, lunghi baleni di commozione lirica. Anche la sua più arcigna polemica, non pub mai esimersi dalla tenerezza. II gran merito del cubano La prima carica al machete (il «machete» è una specie di roncola, ma diritta, in uso presso 1 contadini di Cuba) è di essere cubano, e non. nel senso pedestre ch'esso ci viene di là, ma perché esprime, senza inquinamenti di comproduzione, l'energia selvaggia (in realtà tecnicamente scaltritissima d'un cinema sinceramente invasato di patriottismo. In un «bianco e nero » dove 11 contrasto dei due colori non potrebbe essere più violento (effetto sapiente di sovraesposizione), il film diretto da M. O. Gomez rievoca un episodio della rivolta ottocentesca del contadini cubani, mutatisi in guerriglieri, contro 1 dominatori spagnoli: e la « Carica al machete» ne è la gemma stilistica. Un caloroso successo. Molto pubblico anche alla « Sala Volpi » dove si spiegano le « tendenze del cinema italiano '69», por vedere l'opera prima del giornalista e critico cinematografico Maurizio Liverani, Sai cosa faceva Stalin alle donne?, vivace satira, in chiave di « commedia dell'arte », con molto di fescennino e di sexy, del conformismo giovanile di sinistra. Interpreti Helmut Berger, Margaret Lee, Silvia Monti, B. Benedetti e altri. Ma per questo film, e c'era da pensarlo, le accoglienze sono state contrastanti: l'insolenza, specie nel cinema che tocca la politica, ha vita difficile. Leo Pestelli Venezia. Gli « ambasciatori » di Pasolini al Palazzo del cinema: da uuistra, Laura Betti, Pierre Clementi, Bulle Orge e i produttori Madia Meri! e Gian Vittorio Baldi (Tel. A.P.)

Luoghi citati: Bonn, Cuba, Germania, Grado, Venezia