Lukács a Damasco di Remo Cantoni

Lukács a Damasco La crisi di un filosofo Lukács a Damasco D mondo attraversa Una tempesta ideologica. Per un curioso paradosso l'ideologismo si- radicalizza mentre, ovunque, si discute della erosione e della senescenza dei sistemi ideologici. Mentre infuria il bizantinismo ideologico, le ideologie, distaccatesi dalla realtà di un mondo in costante metamorfosi, rischiano di franare. Con una operazione di retroguardia culturale si riesumano teorie sociali- invecchiate, le si irrigidisce, e non si tien conto del novum negli eventi umani, che mutano con un ritmo che non è l'« adagio > ma il « prestissimo >. I coefficienti ideologici sono ineludibili dal discorso umano ed è ingenuo pensare a una loro sparizione. Ma è certo che nessuna ideologia può sopravvivere se si accampa sulle posizioni indifendibili della apologetica. Quale burrasca abbia investito la filosofia marxista risulta evidente quando si considerino le amare vicende di pensatori ben noti e rinnovatori come il tedesco Ernst Bloch, il polacco Adam Schaff, il cèco Karel Kosìk, sempre in lotta, nei loro paesi, con le accuse di « revisionismo >, « idealismo >, eresia, quando, addirittura non si ricorra all'imputazione di tradimento. Alcuni libri recènti, come Arte e coesistenza dell'austriaco Ernst Fischer (Il Mulino, 1969), // marxismo nella coesistenza di Gyòrgy Lukàcs (Editori Riuniti, 1968) o Conversazioni con Lu\àcs (De Donato, 1968), ci mostrano l'inquieto marxismo mitteleuropeo sempre in bilico tra scrupoli ortodossi e impeti di ribellione. Non parlerò oggi del brillante libro di Fischer, che è una polemica contro lo zdanoyismo culturale, e una proposta di una nuova estetica .marxista. Fermerò piuttosto la mja attenzione su Gyòrgy Lukàcs, che molti considerano la figura più rappresentativa della moderna cultura marxista. Una radicale rottura con il dogmatismo zdànovista caratterizza anche il pensiero dell'ultimo Lukàcs. Nel suo itinerario politico e filosofico tormentato si riflettono le non pòche e drammatiche contraddizioni del pensiero marxista contemporaneo. * * Nato a Budapest da una agiata famiglia, borghese, Lukàcs studiò in Germania, fu allievo e amico di Max Weber, di Georg Simmel e legato da affettuosi vincoli con Thomas Mann. I suoi interessi giovanili sono rivolti soprattutto a problemi letterari e estetici. Le prime opere, oggi ripudiate dall'autore, sono L'anima e le forme, Teoria del romanzo e la contcstatissima Storia e coscienza di classe (1923), un libro di filosofia marxista che l'autore considera, ancora oggi, c un'opera intrinsecamente mancata», divenutagli del tutto estranea per i suoi residui idealistico-hegeliani, per i suoi sfondi utopistico-messianici, per alcune confusioni teoretiche subito condannate dell'Internazionale comunista per bocca di Zinoviev. Non sono pochi a considerare questo libro il contributo più originale di Lukàcs, l'opera che più ha influenzato filosofi come Mannheim, Marcuse, Adorno, Sartre, Merleau-Ponty. Esule dall'Ungheria per aver partecipato, come commissario all'istruzione nella Repubblica dei Consigli, al governo rivoluzionario di Béla Kun, Lukàcs emigrò a Vienna. Per lui, minacciato di espulsione, intervenne Thomas Mann, presso il Cancelliere Seipel. A Vienna Lukàcs rimane fino al 1929. Dal 1930-31 è a Mosca, collaboratore dell'Isti tuto Marx-Engels-Lenin. Trascorre' un certo tempo a Berlino, ma l'avvento del nazismo lo risospinge a Mosca Dopo la guerra rimpatria a Budapest e viene nominato professore universitario di Estetica e Filosofia. Nel 1956 Lukàcs si schiera con gli insorti ungheresi ed è ministro dell'ultimo governo Nagy. Con l'ascesa di Kadar viene arre¬ stato e confinato per alcuni mesi in Romania. Torna in patria nel 1957, e solo dopo dieci anni, nell'estate del 1967, chiede e ottiene la riammissione al partito comunista ungherese. Più che ottantenne, è ancora in piena operosità intellettuale. Ha pubblicato un grosso libro di estetica e sta lavorando a una monumentale etica oltre che a una ontologia sociale. * * Nei due piccoli e agili libri, apparsi di recente in traduzione italiana, il motivo di fondo' è una polemica acre e intransigente contro il periodo staliniano. L'attacco è, insieme, politico è culturale.. Politicamente, Lukàcs, accusa Stalin di aver trasformato i metodi della guerra civile in base « normale * d'amministrazione. « In questo modo, i mali inevitabili della guerra civile, il dominio soverchiarne del potere centrale e la sospensione di ogni auton'omia e democrazia, si mutarono in una forma permanente di vita ». Un trauma furono per lo scrittore «» grandi processi e le successive massicce deportazioni nei campi di concentramento ». Per Stalin; scrive ancora Lukàcs, «la pietra di paragone era sempre il provvedimento tattico necessario al momento. Su questo poi veniva costruita "logicamente" und corrispondente pseudostrategia e un altrettale sistema di princìpi, che poi naturalmente mutavano a ogni mutamento di tattica*. Il Leitmotiv antistaliniano è l'imputazione di aver trasformato il marxismo in opportunismo, obbedendo a scelte tattiche che sacrificavano la strategia e la teoria. I tasti su cui Lukàcs più batte sono la denuncia. di una- concezione burocratica che controlla minuziosamente ogni' piccola cosa, l'appello alla libertà e alla discussione, l'auspicio di una vera democrazia socialista. In sede più specificamente culturale, Lukàcs respinge il « naturalismo erariale, guarnito di romanticismo cosiddetto rivoluzionario » che avrebbe dominato per troppi anni l'estetica marxista. Egli, invita a non sovrapporre o confondere i momenti differenziati, anche se non contrapposti, della cultura e della politica. Si preoccupa di « risvegliare la vera autonomia della personalità », invoca « l'allargamento delle ricerche scientifiche* e sottolinea, non senza candore, « l'importanza delle decisioni individuali* erroneamente svalutata dai marxisti. * * Provoca un certo stupore questa demolizione spietata dello stalinismo, nella politica e nella cultura, perché è risaputo che molti libri di Lukàcs sono, in fondo, ramificazioni dell'albero stalinista. Oggi egli dice che « non si può polemizzare né. con l'esistenzialismo, né con il neopositivismo dando ad essi il titolo di idiozia variopinta o di controrivoluzione*. Ma nella Distruzione della ragione, il suo libro più fortunato, Lukàcs liquidava sommariamente come irrazionale e « prefascista » quasi tutta la filosofìa e la sociologia europee da Schelling a Kierkegaard, da Schopenhauer a Jaspers, da Max Weber a Simmel. Certi suoi giudizi ferocemente stroncatori hanno, malgrè lui, un sapore zdanovista. La via di Damasco che egli °gg> percorre è un onesto caso di coscienza. Ma non era zdanovista la .liquidazione fallimentare di tutta la sociologia come un maldestro e reazionario tentativo borghese di contrapporsi a Marx? Molti libri di Lukàcs sono tribunali in cui si pronunciano sentenze capitali. Sul banco degli imputati sfilano, via via, l'esistenzialismo, il neo-positivismo, Franz .Kafka, la letteratura d'avanguardia e molte di quelle cose che oggi, egli difende. Oggi egli si lamenta iche il giovanotto ungherese si rifugia dal marxismo presso Heidegger e Sartre*. Ma non fu il suo furor ideologico impietoso a provocare, almeno in parte, certe svolte imprevedibili? Remo Cantoni