Uniti e diversi anzi incompatibili

Uniti e diversi anzi incompatibili I PARTITI COMUNISTI Uniti e diversi anzi incompatibili Per 229 memorabili giorni la Cecoslovacchia di Aleksandr Dubcek, di Ota Sik, di Eduard Goldstucker s'era data d'un colpo, libertà di stampa, di discussione, di passaporto: era stata l'euforica «primavera di Praga». Non c'era un altro esempio nel mondo orientale, per la prima volta un esperimento simile s'era iniziato in un Paese che definiva sé stesso come parte del «campo socialista ». La Cecoslovacchia dello Student, di Literarni Listy, del Reporter, di Pavel Kohout e Karel Kosik, di Ludvik Vaculik e Ladislav Mnacko, aveva, fatto proprie le antiche paróle dell'eretico boemo Jan Hùs: « Un teologo mi ha dettò che le cose andranno bene per me e tutto mi sarà permesso all'unica condizione che mi sottometta al Concilio, ed ha aggiunto: "Se il Concilio stabilisse che hai soltanto un occhio, anche se tu ne avessi due, sarebbe tuo dovere convenire con il Concilio e ammettere che è effettivamente così". Ma io gli ho risposto: "Anche se .fosse il mondo intero a iostenerlo, io, essendo dotato di ragione, non potrei ammettere una cosa simile sema che la coscienza mi rimordesse"». Ma alla Riforma comunista . rispose la Controriforma a nome della stabilità d'un sistema continentale di potere, con mezzi tanto più massicci in quanto l'eresia cèca riassumeva là forza cumulativa d'ogni precedente revisionismo. Nel giugno del '68, la celebre lettera delle «Duemila parole7» degli intellettuali cèchi. risuonò . come un presentimentQ: « La primavera è appena finita e non tornerà mai più. Al prossimo inverno, sapremo tutto ». Il castigo del più audace revisionismo comunista .sopraggiunse con l'invasione prima dell'inverno, il 21 agosto 1968. La crisi cecoslovacca è in realtà crisi della società sovietica. Quella società non sa uscire dal sistema autoritario arcaico, che è l'eredità non solo di.Stalin, ma dello stesso leninismo e di tutta la storia russa. Da dodici anni cerca una via di uscita, che non comprometta l'unità d'un impero così vasto. Da mezzo secolo non sa procedere oltre la nozione di socialismo come capitalismo di Stato. L'oligarchia, dinanzi al rischio di ogni alternativa, s'è irrigidita nel timore di qualsiasi fatto nuovo che accada non solo nell'Urss, ma ai margini dellUrss: é ha vestito la corazza della sua ragion di Stato. * * In Italia, subito dopo l'invasione, il 23 agosto 1968 la direzione del pei approvò una risoluzione, in cui dichiarava « indispensabile e urgente » che il Patto di Varsavia accogliesse le richieste avanzate dal governo e dal partito comunista della Cecoslovacchia, ritirando le truppe d'occupazione. Il 29 agosto, nella replica conclusiva al Comitato centrale del pei, Luigi Longo ripeteva: « Si proceda ài ritiro delle truppe ». E ai primi di settembre, in un'intervista al settimanale Astrolabio, egli affermava che sino a quando non fosse stata raggiunta «una definitiva e soddisfacente normalizzazione» in Cecoslovacchia, non sarebbe stato «né opportuno, né uti-le e forse nemmeno possibile» portare a termine la preparazione della conferenza internazionale comunista, che doveva svolgersi a Mosca. Ma dopo qualche mese, il pei cambiò atteggiamento. Ai primi di dicembre l'on. Enrico Berlinguer, in una propria intervista al settimanale Astrolabio, dichiarava che sarebbe stata più utile una «politica di presenza» a Mosca, mentre una «politica di assenza e di rottura» non avrebbe giovato ai cecoslovacchi. In seguito, a giugno, il pei partecipò 'Ula conferenza di Mosca. I comunisti italiani rinunciarono alla loro pregiudiziale. Intanto, in aprile, Husak aveva preso il posto di Dubcek. In tutta la Ceco¬ ssdpmLncmnvgdodccpam a , o ¬ slovacchia continuava l'escalation della repressione. Condannare il principio dell'intervento militare. ma subire il fatto compiuto andando a Mosca, non votare per le specifiche tesi del pcus sulla Cecoslovacchia ma sostenere — come fa Luigi Longo — che « se oggi noi contiamo in Italia è perché siamo parte del movimento comunista internazionale» equivale a sottoscrivere un agreement to disagree con i russi, un «accordo di non essere d'accordo», ossia un disaccordo concordato, che tollera la più insidiosa contraddizione: che cosa accadrebbe il giorno in cui, giunto per avventura il poi al potere, i sovietici non approvassero il suo tipo di « socialismo »? À un anno dall'invasione, mentre in Cecoslovacchia si rinnovano le proteste di massa, ora i dirigenti del pei evitano di ripetere l'invito al ritiro delle truppe; ma sostengono che niente è cambiato nel loro atteggiamento e che non hanno nulla da aggiungere a quanto dissero già un anno fa. In verità non si tratta di aggiungere: essi dicono meno. Nel suo lunghissimo articolo di qualche giorno fa, Luigi Longo ha tentato il possibile- per sbiadire i termini-delia questione. Egli voleva conciliare il principio della libertà critica dei singoli partiti comunisti con la « unità del movimento comunista, internazionale » (e con l'appartenenza del pei a tale sistema) usando la semplice ■ e: vecchia formula: « Unità nella diversità». . Ung^simile^astrazione baie poteva essere tollerata quando certe dispute investivano solo questioni teoriche; ma non quando un evento concreto, come la distruzione sistematica d'un esperimento politico, • impone di scegliere tra sovietici e cecoslovacchi, ossia proprio fra «unità» e «diversità» come termini resi incompatibili dal dato di fatto. Anche i sovietici e i cèchi fanno parte di questa «unità: nella diversità »?. Sono uniti e insieme diversi anche gli eserciti invasori e i cittadini di Praga? Simili formule, del resto, vengono confutate ormai non solo dai fatti della Cecoslovacchia, ma dagli eventi non meno concreti che si ripetono alle frontiere fra sovietici e cinesi. Anche fra chi combatte battaglie campali si può applicare la formula «unità nella diversità»? In questo caso, sarebbe persino lecito sostenere che l'Oriente e l'Occidente, gli arabi e gli israeliani, gli induisti e i musulmani, i ciprioti greci e i ciprioti turchi, tutti possono formare l'unità nella diversità, dal momento che vivono nello stesso mondo anche se si combattono. ★ ★ Quando le formule verbali/ sono cosi elastiche da comprendere ogni" cosa, vuol dire che si vuole confondere ogni cosa. E quando esplodono contraddizioni come la crisi della Cecoslovacchia o le ostilità russo-cinesi, non è facile che le formule di me diazione verbale persuadano qualcuno. Ci si aspetta che un grande movimento politico sappia prendere atto di quanto accade, riesaminare la prò pria stessa ideologia e le proprie nozioni tradizionali. Non serve a molto, per esem pio, usare come prima la nozione leninista di «imperialismo fase suprema del capitalismo », quando i fatti invitano a meditare piuttosto su un imperialismo fase suprema del capitalismo di Stato. E allo stesso modo, non serve a molto continuare la polemica contro i blocchi militari, se non viene rivolta anzitutto contro l'Urss: poiché è l'Urss che per prima non vuole il superamento del suo blocco in Europa, e ha dimostrato di saper usare ogni mezzo per questo fine. Ci dicono che l'Est euro peo va visto come il teatro di un gigantesco e serio tra vaglio, che condurrà presto a qualche cosa di nuovo. In realtà si ricomincia sempre tutto da capo. Prima Gomulka in Polonia, poi Kadar in Ungheria, óra Husak in Cecoslovacchia: tutti tre, già imprigionati negli anni peggiori di. Stalin, han dovuto perseguitare a loro volta i revisionisti. E' un èircolo vizioso. Crii vi .è chiuso dentro non ha altra scelta che subirlo o esporsi alle più dure rappresaglie; ma chi per fortuna geografica e storica ne è fuori può dire qualche cosa di più:, e se non la dice, se insiste nel far credere che si possa essére insieme «diversi» e « uniti », rischia di non contare davvero né in Oriente né in Occidènte. Alberto Ronchcy