Quella notte a Praga di Gianfranco Piazzesi

Quella notte a Praga UN ANNO FA L'INVASIONE DELLA CECOSLOVACCHIA Quella notte a Praga Solo alcuni capi della polizia segreta cèca furono avvertiti dell'attacco: occuparono l'aeroporto della capitale dove sarebbero scesf gli apparecchi russi - All'alba del 21 agosto, il paese si trovò invaso da quattro eserciti; gli uomini del «nuovo corso» furono sequestrati - Due mesi dopo Dubcek era costretto a firmare il trattato che consente un'indefinita occupazione militare Un anno fa, nella notte tra il 20. ed il 21 agosto, truppe della Germania orientale, della Polonia, della Bulgaria e dell'Unione Sovietica varcarono ì confini cecoslovaccÀi. In poche ore seicentomila soldati occuparono un Paese di quattordici milioni di abitanti che non opposero resistenza armata. Il mondo assistè stupito e sconvolto a un'invasione condotta con una. brutalità politica pari soltanto all'efficienza militare. Un anno dopo resta ancora impossibile individuare i veri motivi che sospinsero i sovietici all'invasione; ancor oggi siamo dinanzi a una catena di avvenimenti crudeli quanto assurdi, che ripugnano alla nostra ragione come alla nostra coscienza. Fu un'aggressione proditoria. Le truppe sovietiche non varcarono i confini in seguito al precipitare di una crisi politica, ma tre . settimane dopo che era stato raggiunto un accordo fra i rappresentanti dei governi di Praga e di Mosca. Svoboda scavalcato Il presidente della Repubblica. Svoboda, fu avvertito dell'invasione mezz'ora dopo che le colonne corazzate avevano varcato la frontiera. Il presidium del partito, in un appello alla popolazione, rivelò che i carri armati erano sopraggiunti « senza che il presidente della Repubblica, il presidente dell'Assemblea nazionale, il capo del governo e il segretario del partito ne fossero a conoscenza». Dubcek, l'uomo che aveva partecipato a tutte le conversazioni con i russi, esclamò: « Sul mio onore di comunista dichiaro che non avevo né un presentimento, né un indizio qualsiasi, che qualcuno volesse compiere un atto così grave contro di noi ». I sovietici avevano messo al corrente delle loro intenzioni soltanto alcuni elementi della polizia politica cecoslovacca; quegli uomini, condotti dal colonnello Saigovic, che alle undici e mezzo di martedì 20 agosto occuparono l'aeroporto di Praga dove, dalla mezzanotte in poi, sarebbero giunti gli aerei militari russi. I dirigenti del Cremlino non si preoccuparono dì trovare una base legale, che giustificasse la clamorosa violazione dei diritti di uno Stato indipendente e sovrano. Alle quattro del mattino del 21 agosto una stazione radio già occupata dai paracadutisti affermò che « alcune personalità del partito comunista cecoslovacco » si erano rivolte all'Unione Sovietica « con la preghiera di fornire un aiuto militare per la difesa della Repubblica minacciata dalla controrivoluzione e da elementi antisocialisti ». Le stesse parole vennero ripetute il giorno dopo dalla Pravda. Già con tali argomenti sarebbe stato arduo giustificare un'invasione: comunque i russi non poterono insistere troppo a lungo neppure su questi pretesti. Nessun dirigente comunista (nem- meno Novotny, nemmeno i capi della polizia politica) si assunse pubblicamente la responsabilità di aver invocato l'intervento militale. Seicentomila soldati sopraggiunseró a schiacciare una « controrivoluzione» senza trovare, fra quattordici milioni di cecoslovacchi, una sola persona che osasse rivelare il nome di un solo controrivoluzionario. I sovietici, almeno iniziaimente, non intendevano accontentarsi di porre fine alla « primavera di Praga ». Era loro fermo proposito rimettere al potere i dirigenti dell'antico regime, già sconfessati dalla grande maggioranza degli stessi comunisti cechi. Alle sei del mattino di mercoledì 21 agosto aerei russi lasciarono cadere su Praga dei volantini in cui si affermava che Novotny, il presidente della Repubblica che gli stessi comunisti avevano costretto alle dimissioni, era ancora il capo legittimo dello Stato. A quell'ora paracadutisti russi ed elementi della polizia politica ceca avevano già sequestrato Cernile, capo del governo. Dubcek, segretario del partito, Smrkowsky, presidente dell'Assemblea nazionale, Kriegel, capo del Fronte nazionale, e Cisar, dirigente del movimento giovanile comunista. Il giorno dopo il Rude Fravo, organo ufficiale del partito, annunciò che le truppe di occupazione avevano intimato di costituire un governo da cui dovevano essere esclusi ì leaders già in stato di arresto, e del quale dovevano invece far parte Bilak, Kolder, Indro e Lenart, i dirigenti più fedeli a Novotny e più risolutamente contrari al «nuovo corso». Ostaggi in Russia Si deve soltanto al presidente della Repubblica Svoboda se i russi rinunciarono all'ultimatum, forse spaventati dalla necessità di procedere all'occupazione militare permanente del Paese, senza poter disporre neppure di un simulacro di governo legale. Il coraggio dì Svoboda servì a evitare un bagno di sangue, ma ha soltanto ritardato e non certamente impedito la fine dell'indipendenza nazionale ceca. Non si sa quali minacce formularono i sovietici durante le « trattative » condotte a Mosca dal 23 al 27 agosto. A queste riunioni furono invitati i leaders comunisti cechi di tutte le tendenze: dai neostalinisti ai rappresentanti del « nuovo corso », liberati per l'occasione, a Svoboda e a Husak che fin da allora assunse il ruolo di mediatore. Ma al ritorno in patria, il presidente Svoboda si lasciò sfuggire un'ammissione significativa: « Come vecchio soldato — disse — so bene quale spargimento di sangue può provocare un conflitto fra semplici cittadini e un esercito modernamente armato». E Smrkowsky, che pure aveva trascorso sei anni nelle carceri staliniane, esclamò: « I quattro giorni trascorsi a Mosca sono stati i più duri della mia vita». Al ritorno in patria dei capi cecoslovacchi, Michel Tatù, corrispondente di Le Monde, scrìsse: « I risultati dei negoziati di Mosca sono stati definiti in Occidente un compromesso, ma a Praga si usa piuttosto la parola capitolazione. Mentre Dubcek parlava al popolo, l'atmosfera era quella di una nuova Monaco. Un rilievo si impone: le truppe di occupazione non lasciano il territorio cecoslovacco e nessuno dei dirigenti di Praga è in grado di dire in che momento esse procederanno allo sgombero ». La capitolazione Il tempo ha purtroppo dimostrato l'esattezza di questo giudìzio. Il 16 ottobre Dubcek fu costretto a firmare un trattato che consente la permanenza di un certo numero di truppe sovietiche in territorio ceco senza stabilire né la data della sca- . denza, né la possibilità di una revoca. E nell'aprile di quest'anno lo stesso Dubcek, simbolo del « nuovo corso », ha dovuto « spontaneamente » rinunciare alla segreteria del partito a favore di Husak. . Ancora non conosciamo gli argomenti con cui i sovietici hanno persuaso uomini del coraggio di Svobo- ' da, Dubcek e Smrkowsky a una così completa capitolazione. L'invasione della Cecoslovacchia resta il più angoscioso e il più buio episodio della storia recente. Soltanto un fatto può esse- ". re affermato con certezza: nel momento in cui i sovietici hanno voluto riaffermare la loro egemonìa sui paesi satelliti con la forza delle armi, hanno anche perduto ogni diritto morale a esercitare una funzione di guida sul movimento comunista. Dodici mesi dopo è ancora valido il giudizio del leader romeno Ceausescu il quale, all'indomani dell'invasione, affermò: «E' stato compiuto un grave errore e sono stati posti in pericolo tanto la pace europea che il destino del socialismo nel mondo ». Gli stessi sovietici dovrebbero meditare le parole di Tito, che a Belgrado parlò di «una storica frattura che avrà per lungo tempo conseguenze negative per tutte le forze rivoluzionarie e per tutti i movimenti socialisti». Gianfranco Piazzesi Praga. La mattina dopo, in piazza San Venceslao (Telefoto Ceteka)