Nella terra di Fanfani di Amintore Fanfani

Nella terra di Fanfani CHE ABBIAMO CAPITO DI QUESTA CRISI? Nella terra di Fanfani Era come oggi fin da bambino, dicono a Pieve Santo Stefano: « Intelligente, dinamico, ambizioso ma onesto; l'età gli ha dato soltanto un po' di pacatezza » - Un cugino racconta: « All'asilo gli diedi una bottiglia in testa; lui non si fece nulla, la bottiglia invece si stroncò » - L'ammirazione per il concittadino (« gigante in mezzo a tanti nani ») complica i giudizi sulla crisi: si è capito solo che il governo si è fatto « dopo quattro parole di Fanfani» - Per il resto sfiducia e noia, tra i vecchi militanti de e psi come tra i calciatori dell'Arezzo in ritiro a Pieve (Dal nostro Inviato speciale) Pieve S. Stefano, agosto. « Angiolino, dillo, dillo te...». Angiolino Fanfani, un ometto arguto ormai ài di là della sessantina, fabbricante di casse da morto e « biscugino» del presidente del Senato (erano cugini i babbi) non si fa pregare. « Da bambino, all'asilo, mica per malizia, sa, si giocava, all'Amintore gli ruppi una bottiglia in testa'. Ebbene: lui non si fece nulla, la bottiglia invece si stroncò... Non ridete, grulli. Non è che avesse la testa dura, eil'è che fin da piccino è stato sempre bravo e pieno di buona volontà... ». «Dai, Odo, adesso parla te». E «Cicio», cioè Umberto Simoncelli, 64 anni (tre piii di Fanfani), venditore ambulante, magrissimo e con una faccia tutta puntuta, attacca: « S'era ragazzi, e un giorno lui mi corbellava dalla finestra: "Cicio, o Cicio! " mi gridava. " O sta zitto che te meno", risposi e gli tirai un bastoncino in faccia. Lo colsi e l'Amintore si infuriò. Scese in strada con un martello, me lo scagliò, ma colpì la vetrina del bar dello Svizzero, spaccandola. Lo riempirono di busse, però non pianse... ». « Certo — spiega un altro coetaneo dell'onorevole — l'Amintore è sempre stato orgoglioso ». «E pieno di ambizione » aggiunge un quarto. «Lo chieda al canonico don Pietro Casclanlni — mi suggerisce l'Ortolani, il macellaio della Pieve, quello di piazza della Collegiata dove sta, ricostruita, la casa natale di Fanfani —, anche da piccolo don Cascianini voleva comandare e diceva a tutti: " da grande io farò il prete". E Fanfani, pronto, gli replicava: " io, allora, farò il ^vescovo j| || gj -, Come un vulcano * TI Ferragosto impazzala' Pieve Santo Stefano, in, alta Val Tiberina, il. paese più a sud dell'Appennino tosco-romagnolo e patria del presidente del Senato. Villeggianti non ce n'è, ma è bastato il ritiro collegiale dell'«Arezzo», neo-promossa in serie 3, a fare il pieno negli alberghi. Poi sono tornati tutti gli emigrati e alla Pieve, come ha scritto Fanfani, sono molti quelli che la vita ha costretto ad andare lungo il mondo « per acciuffare un più sicuro avvenire ». Anche in loro onore si stanno facendo grandi cose: una gara musicale, una partita fra l'« Arezzo» e la «Polisportiva Sulpizia »:jn un paese accanto pare ci sia la Sagra del pecorino. Per i più snob a Sansepolcro, dove abita il fratello di Amintore, l'avvocato Amelio, è perfino arrivata Ornella Vanoni. Dal Passo Via Maggio si sente un'aria fresca e dolce; il forestiero sollecita i ricordi e quelli della Pieve rispondono cordiali. Sono cordiali anche con Fanfani come di solito non accade in Toscana, e per di più in un posto piccolo verso chi è diventato grande. «Perché? Perché Fanfani qui ha tanti: amici, e 11 ha perché è simpatico, intelligente, dinamico, la sua testa deve essere un vulcano in quanto si ricorda di tutto e di tutti »' mi spiega con trasporto la signorina Anna Maria Mencherini, mereiaio: della Pieve, già delegata femminile della de e da anni capogruppo democristiano al Comune. Se ci fosse alla Pieve il «Club degli amici di Fanfani» come a Milano c'è il « Club degli amici di Herrera», la presidenza non potrebbe toccare che a lei. La signorina Anna Maria ride e si schermisce: « Chissà, forse perché ogni volta che hanno una piccola questione vengono da me. Ho una corrispondenza fittissima con la segreteria del presidente Fanfani. Guardi, sei lettere soltanto negli ultimi due giorni». Pesco le buste fra bottoni, nastri, cerniere, rocchetti di filo e pesca soprattutto i libri che ha preparato per me affinché mi documenti: una pila di volumi così, tutti gli scritti di Fanfani, e pacchi e pacchi di fotografie, un film interminabile dei rapporti fra il senatore e la sua Pieve. Signorina, qual è il difetto più grave di Fanfani? « Oh, Dio mio, chi lo sa? For¬ se la sincerità. E' poco diplomatico, ma con gli anni ha acquistato un po' più di pacatezza ». All'estremo opposto, Fabio Pam, 42 anni.i&ndacalista della Cgìl, dice: «Fanfani? E' ambizioso ». Ma aggiùnge: «Tuttavia è onesto ». Un altro insinua: « Un po' altezzoso, però forse è il timbro di famiglia...». Non si va oltre. Consulto trenta- due pievigiani, ma il risultato è scarso: « Un grand'uomo », « Uno dei migliori », « Vede lontano », « Potrebbe fare qualcosa ma cozaa contro i grandi, quelli che maneggiano il dollaro, il denaro », « Andrebbe bene, ma non va bene alla de». Non si sbottona neppure Alfredo Ricci. 47 anni, industriale di vernici e poeta maledetto della Pieve. Gli chiedo un mottetto, un po' di versi politici, lui ci pensa su, poi mi consegna un foglio che comincia: « Noi siam del paese di Fanfani - che appar gigante in mezzo a tanti nani... ». Un affetto senza ombre apparenti, dunque. Ma anche un affetto che ha contribuito a ■ complicare notevolmente nei cervelli dei pievigiani le idee sulla crisi politica da cui stiamo uscendo. Come a Bacali e a Formia, anche qui, dove pure c'è tantissima gente sveglia ed arguta, la crisi è un argomento pieno di polvere, che fa arricciare il naso: «Un tappeto un po' difficile per camminarci sopra senza cadere», una vicenda che appare piena di misteri. Primo mistero: perché ridare l'incarico a Rumor? «Se ima ditta fallisce, te incarichi ancora chi la dirigeva mentre è colata a picco? ». E Luigi Bonìni, 58 anni, mas¬ saggiatore: « Io, in questo modo, non ce la vedo la chiarificazione, anzi: ci vedo più confusione che mai». «Rumor? -^('dice-run^tifoso dei senatore' Amintore — l'hanno incaricato perché piaceva a Fanoni ». Ma perché SP lora non mandare al governo Fanfani? «Meglio di no — dice timorosa la signorina Anna Maria — lo sa anche la mia nipote che questo è un governo di passaggio ». «Fanfani sarebbe stato su poco — aggiunge Luigi Collacchioni, 41 anni, pubblicista sportivo — ; nella de ci sono troppe correnti che spingono: quando una cosa •va bene, la buttano giù ». Talpa e speleologo Secondo mistero: il brevissimo mandato esplorativo a Fanfani. «Il mandato di fare che?... » chiede stupito un avventore del bar delle autolinee. «Fu mandato da talpa, da speleologo » spiega al popolo ignaro Alberto Gennaioli, detto «Cillo», 33 anni, infermiere all'ospedale della Pieve. « Già, quando la faccenda si fa scura, chiamano sempre l'Amintore a sistemare le cose » osserva un altro. « Si — replica il " Cillo " — però non capisco come abbia fatto Fanfani a mettere tutto a posto in un giorno». «E' stata una cri¬ si stranissima — incalza Vincenzo Baldi, 29 anni, anche lui infermiere —. Prima non andava bene niente, nessuno si metteva d'accordo. Poi entra in scena l'Amintore, quattro parole e il governo Rumor è combinato. Ci dovrebbero proprio insegnare — conclude ghignando — come ha fatto ». Terzo mistero, le cause della crisi di governo. « Ce le spieghi lei... » mi aggrediscono in piazza della Repubblica, al bar dello Sport, appena faccio la domanda. Azzardo: forse la scissióne socialista. « Bravo, la scissione perché l'hanno fatta? ». « Perché — dice un bassetto — i socialisti sono come una coniglia che ogni mese partorisce tredici figlioli ». « Ma taci. Dillo te, invece, Walter, che sei un tesserato ». E Walter Rustici, 44 anni, un artigiano emigrato nello smog milanese, iscritto al psi dal 1946, sbotta: « L'hanno fatta perché noi della base non si conta più niente. Siamo solo scalini, anzi sgabellini, perché scalini è troppo nobile. In pochi anni, noi socialisti s'è creato tanti partiti da confonderci le idee. Ferri ha sbagliato. Anche lui è di qui, anzi del Casentino, e non si ricorda di quando andava a mettere le bandiere rosse nei pagliai... ». Scissione o no, resta l'ul- timo mistero della Pieve: la differenza fra il governo Rumor di oggi e il governo Rumor di ieri. «Sono uguali» dice uno. « No, la differenza è questa — spiega ironico Duilio Piccini, 39 anni, muratore —, i due partiti socialisti tengono su la de come prima, ma stavolta restando fuori.dalla porta. Se va bene è merito loro. Se va male, la colpa ce l'hai te, diranno alla de». «Io con la de ci avrei messo nel governo i comunisti — dice il fratello di Rustici, Eugenio, anche lui artigiano al Nord — così i compagni smetto- , no di criticare, e mostrano quello che sanno fare. Ma vuoi scommettere che non ci verrebbero, vuoi scommettere? ». Calcio e politica Prudentemente nessuno scommette, anche perché il discorso scivola su temi sempre più grossi e sempre più grigi. « Mai che una crisi avvenga per una ragione seria — commenta amaro il " Cillo " — che so, una posizione errata del governo, una discussione su cose economiche... ». « Potevano fare a meno di farla » dice Onelio Pisani, il veteriTiario comunale. E Ricci: «La crisi è un segno di debolezza. La gente è gonfia, stufa. Si può andare avanti così? Qui, se non si prendono provvedimenti seri, arriva il colonnello ». E un altro: « C'è una moltitudine partitesca ». E un altro ancora: «E tutto per il seggiolone ». • Anche, a Pieve Santo Stefano trovo incertezza, informazioni scarse e nebulose («Roma non vuol farsi capire — dice Piero Rìcci, 30 anni, assistente di filologia, romanza ad Urbino — pure Fanfani è diventato, nel linguaggio, un moroteo »), quel.po' di novi.e parecchia sfiducia. Tento ancora sul terreno vergine, con i calciatori dell'« Arezzo », che si stanno rilassando al bar delle autolinee. L'unico che all'inizio mi risponde è il portiere Rossi, 34 anni sulle spalle e onesta faccia da operaio del pallone: « Io sono come Bartali, in Italia è • tutto da rifare. Noi calciatori non si segue la politica, siamo staccati, siamo quasi dei privilegiati, anche se viviamo un po' alla giornata. Li guardi, li guardi, questi ragazzi ». Guardo i ragazzi in tuta azzurra e chiedo della crisi dì governo e della scissione socialista. «Lo domandi a Perego, che è un rosso ». « Io rosso? Sono mica matto, io... » si difende il centravanti Perego. « La crisi? Non so mente », confessa il centromedìano Parolini. E l'ala destra Pasqualini: « Un giocatore, ad occuparsi di politica ha tutto da rimetterci». Perego: «Perché?\». Pasqualini, aggressivo: «Lo so io il perché! Magari uno è pei e se il dirigente inveca è un de?». Perego: «Be', cosa vuol dire,. se sei bravo... ». La discussione s'accende. L'undici dell'« Arezzo» attacca con la crisi di governo, ma soprattutto con i problemi sindacali di chi sgobba nel calcio, la mutua, la pensione, l'avvenire incerto dopo i trenta, la differenza fra Riva, che si becca 70 milioni, e certi disperati che giocano nella « C »... Alla Pieve, in piazza Plinio Pellegrini, ore nove di sera, sta avvenendo il miracolo. Una squadra di calcio comincia a discutere di politica anche se non se ne accorge. Ma se ne accorgono i tifosi pievigiani che ascoltano prima delusi, poi allibiti, quindi esterrefatti, e infine furiosi. « Ma come — grida uno — non s'era qui in ritiro collegiale per riflettere sul campionato? O te, vai a staccare quel manifesto ». Il ragazzino corre, stacca e consegna al tifoso un grande foglio rosso che dice: « Benvenuti giocatori dell'Arezzo! Auguri! Siete in B e ci resterete! Gli sportivi di Pieve Santo Stefano ». « Altro che auguri... — grida inviperito il tifoso — accidenti alla politica e alla crisi! ». E fa mille pezzetti del manifesto mentre l'c'lenaiore Tognon, guancia piena e capelli candidi, guarda sornione da un'altra parte, in silenzio. Giampaolo Pania Pieve Santo Stefano. In piazza del Municipio: conterranei di Fanfani e giocatori dell'«Arezzo» discutono sulla crisi politica (Fóto Lucani) Amintore Fanfani