Chi è lo "squartatore,, ? di Igor Man

Chi è lo "squartatore,, ? UNO SCONCERTANTE PERSONAGGIO DI ROMA NERA Chi è lo "squartatore,, ? Vincenzo Teti ha ucciso due persone e le ha gettate a pezzi nel Tevere - Il padrone di casa, i compagni di partita a carte lo conoscevano come un ladro ma «discreto, a modo» - Gli piaceva leggere e dipingere; la sua compagna, che attende un figlio, lo giudica «distinto e istruito» - Ora, in carcere, scrive rabbiosamente la sua autobiografia di «lupo solitario» (Dal nostro Inviato speciale) Roma, agosto. Lo « squartatore del Tevere» dipìngeva. Non c'è da sorprendersi, visto che oramai dipingono un po' tutti, statisti e bambini, pazzi e scienziati, attori, operai. Sorprende se mai lo stile dei quadri: niente, affatto mitivi», sembrano mutuati, sia pure rozzamente, da uno ScUtian. Da chi Vincenzo Teti avesse imparato a dipingere, non si sa. Dì lui, del resto, s'è saputo assai poco, almeno ufficialmente. Freddo, cortese, efficiente. classico funzionario d'una polizia m< .srna che va affermandosi pure in Italia, Salvatore Palmeri, nuovo capo della Mobile romana, rifiuta di illustrare il «mostro del Tuscolano». Bisogna dunque .« andare di persona e npn stancarsi », come scriveva.nel 1872 Nicomede Bianchi: sobbarcarsi cioè a un lungo viaggio nella Roma sotterranea esplorata cent'anni fa da quel diplomatico-scrittore, e rimasta sostanzialmente immutata nei suoi costumi. Vincenzo Teti: trent'anni, ladro, di mestiere generico cinematografico a tempo perso dopo aver invano sperato di «sfondare» a Cinecittà. Biondo, il viso cordiale, gli occhi chiari, lo chiamano «er Calabrese »; ma è nato a Ro. ma, ■ da genitori venuti dal Sud. Si ignora chi fosse suo padre, della madre si conosce soltanto il nome. Maria Parisi, nessuno sa dove abiti. Lo « squartatore » non pare che avesse amici veri, ma in Campo dei Fiori lo conoscevano in parecchi. Il più popolare avvocato penalista di Roma mi ha fatto incontra- re un pregiudicato; parliamo sotto lo sguardo corrucciato dì Giordano Bruno, arso a fuoco lento in questa stessa piazza dove spicca il suo monumento, dal boja dì Papa Clemente Vili. «Che vuoi sapere di Vincenzo? Si faceva i fatti suoi, era un "gratta" (ladro), non un assassino, che noi si sappia. E nemmeno un "pappa" (sfruttatore), anzi è stato lui a levar dal marciapiede Anna Boccanera, la "Matta", la sua ragazza ». E' possibile parlarle? L'uomo mi precede in un bar, ordina due cappuccini e, mentre aspettiamo, scambia segni e mezze parole con due giovìnotti dall'aria addormentata. Poi mi dice: « Possiamo vederla fra due minuti». Anna Boccanera sembra uscita da un quadro del Michetti, bianca di pelle e nera di capelli com'è, e formosa. Solo gli occhi, scuriosimi, tradiscono la pena, bistrati come sono dall'insonnia. « L'altro giorno, un'amica m'ha detto "Annarè, quello te segava puro a te!"; invece Teti (lo chiama con il cognome) era tanto gentile, è l'unica persona al mondo che m'ha fatto sentire donna, non una cosa qualunque. Era buono, distinto, istruito. Lo sapete voialtri che aveva studiato fino al secondo anno per perito in agraria? Quella era la vita che sognava, all'aria aperta, e ora sta chiuso in galera. Certo se ha fatto quello che ha fatto è giusto che stia dentro, ma lo dovrebbero' curare per capire . come ha potuto commettere tanto scempio ». «Er Calabrese» dava diecimila lire al giorno alla sua ragazza, avevano deciso di vivere insieme, come marito e moglie; proprio il mattino dell'arresto avrebbero dovuto lasciare l'albergo per trasferirsi in un alloggio che lui aveva preso in affitto da un maresciallo dei carabinieri. « I mobili meli hanno ceduti due amici miei » (erano quelli delle due vittime), aveva detto Vincenzino. « Mi ha pure regalato ima borsetta... » (quella della donna fatta a pezzi). Anna Boccanera lesse sui giornali la notizia di « quei due disgraziati ammazzati come bestie». Ne parlò al Teti e lui, senza turbarsi, disse che sarebbe svenuto se si fosse trovato davanti ai resti dei cadaveri, come l'uomo che li aveva trovati sul greto del Tevere. La « Matta » aspetta un figlio, è sicura che il padre sia « er Calabrese ». Lo dice con tono di sfida. Prima che alla pensione « La Flora », lo « squartatore » aveva abitato r,l « Sole », l'albergo ch'ebbe fra i suoi clienti il cardinal Perettì, diventato Papa Sisto V. Dalla finestra della sua camera Vincenzo Teti abbracciava un panorama senza eguali: Palazzo Farnese, la cupola del Maderna in Sant'Andrea della Valle, il Gianicolo, San Pietro. Leggeva molto, dipingeva. Era taciturno ma sempre gentile, sorridente. Divideva la sua vita tra Campo dei Fiori e il quartiere del Pasticciaccio brutto di via Merulana, San Giovanni. Là ebbe una bottega di tappezziere che un giorno s'incendiò. C'è un misterioso fratello nella vita del «mostro »; lui era convinto che fosse stato proprio il fratello a dar fuoco alla bottega. Non sì sa.se avesse mai amato qualcuno, neanche la «Matta», non risulta che corresse appresso alle donne, ma di sicuro odiava il fratello. Perdutamente. Queste cose me le dicono al Circolo Ricreativo di piazza Imola, dove Vincenzo Teti passava lunghi pomeriggi giocando a «scala quaranta». I suoi compagni di gioco sono un impiegato statale, un professionista, un piccolo commerciante. Sapevano che campava rubando «ma era tanto discreto e corretto, davvero una persona a modo ». A Roma non è insolita questa commistione fra persone oneste e gente della malavita, tra signori e poveracci. Edmond About nel suo Rome contemporaine (1860) descrive un domestico che porgeva la sua tabacchiera a un cardinale «e il cardinale vi prendeva una presa di tabacco (...). Queste domestichezze si vedono tutti i giorni, in una città ove le condizioni sociali sono separate da abissi». Al Circolo raccontano ancora che Vincenzo Teti la prima volta che andò in galera fu perché il suo « palo » s'era addormentato; da allóra rubò sempre da solo: «Sono un lupo solitario, non mi prenderanno mai più». Rubava pressoché tutte le notti. Finita la partita, si accomiatava dagli altri giocatori dicendo: «Vado a lavorare. Ci vediamo domani». Anche quel Lovaglio, ladro e prosseneta, ch'egli ha de-, capitato, bazzicava lo stesso Circolo, ma i due non si parlavano quasi mai, sembrava- . no addirittura evitarsi e non si riesce a capire quale rapporto corresse tra lo « squartatore» e le sue vittime. Quelli che lo frequentavano dubitano che Vincenzino fosse uno sfruttatore: «I protettori gli facevano schifo, li avrebbe ammazzati tutti ». Non parlava mai di sua madre. Una sera offrì un gran pranzo e una rosa a una vecchia mendicante di piazza Re di Roma. «Quando la luna gli andava di traverso » gettava le carte e usciva per camminare lunghe ore, a piedi: « Cosi mi scarico e non faccio mali passi ». Dopo aver sezionato durante otto ore i cadaveri del Lovaglio e della moglie continua a frequentare il Circolo;'fra una partita di «scala quaranta » e l'altra va a gettarne i resti nel fiume. Arrestato, non batte ciglio, ma quando gli mostrano le fotografie a colori della testa di Graziano Lovaglio chiude gli occhi, grida, cade in deliquio. Schiacciato dalle contestazioni, ammette tanto quanto basta a incriminarlo, ma rifiuta di confessare, ostinatamente. Lasciando la questura per il carcere, ringrazia umile i poliziotti d'averlo « trattato bene » e assicura che « spiegherà tutto in una lettera ». Ora che non lo tormentano più con gli interrogatori ha smesso di piangere, di gridare. Mangia, dorme. E scrive: Gli hanno dato una biro e tanta carta protocollo e lo ■« squartatore » senza stancarsi calma i fogli della sua larga calligrafia infantile. Tutte le sere due guardie del carcere di Regina Coeli ritirano quanto ha scritto, lasciandogli altri fogli bianchi sui quali, il mattino dopo, si getterà per ricominciare a scrivere. E questo oramai da diversi giorni. Forse non finirà mai di raccontarsi. Igor Man 4 Roma. Vincenzo Teti, l'assassino « gentile ed istruito »: una personalità enigmatica (Telefoto Ansa e A. P.)

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