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Il tifoso non sa ridere di Giovanni Arpino
Il tifoso non sa ridere IN CAMPO Il tifoso non sa ridere Un mito creato intorno ai campioni - Si interpretano le gare con troppa rabbia Non'ho mai ricevuto tanti consigli in vita mia come in questi giorni. Consigli riguardanti lo sport e la critica 1 sportiva, beninteso. Sport e annessa critica costituiscono per tutti un campo più che accessibile, un territorio di caccia assolutamente libero ad ogni fucile, ogni cartuccia e ogni cane da riporto. Si va dal bigliettino anonimo, oppure cori troppe firme, fino alla lunga missiva che discute minuziosamente di tattiche calcistiche, di errori commessi da Heriberto, Gimondi e numerosi altri personaggi. Mi interpella al telefono o per strada o al caffè un numero imprecisato di individui: dal giovanetto troppo tifoso e che vorrebbe vedermi difendere di più la sua squadra preferita, alla signora anziana che si è affezionata ai fatti sportivi per via della televisione e del giornale del lunedì. Intendiamoci: i consigli sono tutti beneamati, rispettabili, talora commoventi. Però non tengono conto di un fatto: che i grandi sport spettacolari assai raramente costituiscono un argomento opinabile. Solo la passióne sportiva li traduce in temi fluttuanti, irrazionali, privi di logica. Ma queste cose è difficile metterle avanti quando l'interlocutore ragiona solo attraverso gli schemi dettatigli dall'affetto per una squadra, per un campione. Da sempre, chi scrive lo fa da solo: un minimo di solitudine è componente essenziale per mettere quattro righe su un pezzo di carta. Il romanziere, il poeta, l'articolista politico, persino chi descrive un fatto di cronaca nera, a un certo punto si trova solo davanti all'argomento e deve affrontarlo secondo un suo personale diagramma. A chi scrive di sport questo non è concesso dal pubblico ohe lo segue, anche se il fatto sportivo commentato è lì davanti, esaminabile sotto tutte le luci e non lascia più adito a discussioni. In un certo senso, insomma, lo sport spettacolare è un qualcosa di mitico, in cui il devoto crede e col quale vuole corrispondere attraverso mediazioni critiche molto complici, molto parziali. Il tifoso teme la critica troppo logica perché incrina la sua fede. Per questo si rivolge al commentatore sportivo con appelli, implorazioni, ingiunzioni, consigli. Spera cosi di farne una propaggine di sé stesso, e attraverso lui raggiungere, medicare, esaltare, modificare la squadra o il campione che gli stanno a cuore. Una partita di calcio è un teorema, anche se spesso brutto, ma ciascuno intende risolverlo secondo la sua testa, e forse in questa assurda interpretazione personale del risultato sportivo risiede il fascino del gioco. La corsa di Merckx in Francia è stata la dimostrazione ferrea e matematica di un campione: nossignore, c'è gente che continua a frugare negli ammuffiti ripostigli delle scusanti e dei misteri infantili per, interpretare Merckx come un fatto magico e non atletico. Il tifoso, inoltre, sa seni pre meno ridere: un certo fair play ancora riscontrabile qualche anno fa, oggi e quasi del tutto sparito. Si sparano mortaretti, si assaltano recinti, si invadono le strade dove un ciclista rischia la pelle correndo in pochi centimetri di spazio. L'ironia con cui si giudicavano certe stanche fasi di partita e certi bolsi atteggiamenti di campioni è praticamente scomparsa: ci si arrabbia e basta. Il mito deve funzionare sempre e scardinare i miti altrui, altrimenti la delusione si fa furiosa e sleale. Tuttavia, non giudichiamo con troppa severità questa « rabbia in corpo » del tifoso, questa sua fede, grazie alle quali invia messaggi nella bottiglia a destra e a sinistra: anche esse costi tuiscono il sale di tante competizioni, che in caso contrario sarebbero svuota te di interesse. Forse è tempo di coniare un nuovo proverbio: lo sport (al contrario del gioco) è bello perché non dura poco. Giovanni Arpino
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