Silenzio nella provincia sovietica di Arrigo Levi

Silenzio nella provincia sovietica COME L'URSS HA SEGUITO L'IMPRESA SPAZIALE AMERICANA Silenzio nella provincia sovietica Ho trascorso le giornate dell'allunaggio e del ritorno ad Akademgorodok, la «città della scienza» in Siberia, con alcuni insigni studiosi - Sembrava di essere tagliati dal mondo: nessun televisore funzionava, per avere qualche notizia occorreva ascoltare la « Voce dell'America » - Solo i grandi giornali di Mosca davano informazioni puntuali, ma laconiche, in penultima pagina (Dal nostro inviato speciale) Mosca, 24 luglio. Nelle giornate cruciali del viaggio alla Luna dett'tt Apollo 11» io ero a Novosibirsk, o meglio ad Akademgorodok, la «cittadina accademica» che si trova a una trentina di chilometri da Novostbirsk, nella Siberia occidentale, e che molti qui chiamano «la Cambridge sovietica ». Akademgorodok esìste appena da una decina d'anni, ma ha già quasi 50 mila abitanti (Novosibirsk più di un milione), ed è sede di molti istituti della sezione siberiana dell'Accademia delle Scienze. Vi lavorano migliaia di scienziati e ricercatori, fisici, biologi, economisti, ingegneri elettronici, matematici. Questo è il maggiore laboratorio del pensiero, o « think tank », dell'Unione Sovietica e uno dei grandi centri della scienza mondiale. Vi è anche una Università, relativamente piccola: gli studenti sono 4500, selezionati con rigorosissimi esami in tutta la Siberia per consentire soltanto ai più brillanti il privilegio della vicinanza coi « cervelli » dell'Accademia. Non pochi fra loro — dice Mikhail Lavrentev, « padre » di Akademgorodok e presidente della sezione siberiana dell'Accademia delle Scienze — «si sono rivelati dei veri Lomonossov » (Mikhail Vassilievic Lomonossov fu un celebre scienziato russo del Settecento, che fondò l'Università dì Mosca). Lunedì, giorno dell'atterraggio di Armstrong e Aldrin sulla Luna, io ero con Lavrentev a fare il bagno nel « Mare di Ob »: un lago artificiale immenso, formato da una grande diga sul corso dell'Ob, lungo ben 200 chilometri. Il bagno, per meglio dire, lo facevano Lavrentev, che è un vigorósissimo settantenne, i suoi quattro nipotini e altri due ragazzetti, figli di accademici amici, che si era portato dietro nella sua grossa « Zim » grigia, vecchia forse di quindici o vent'anni, ma ancora valida: qualche farmer americano ha anziane Packard simili a questa. Ad Akademgorodok questo è tempo di esami per alcuni studenti, ma di kanikuli, cioè di vacanze, per la maggior parte degli studiosi. Così Lavrentev approfitta del bel tempo, che qui dura un paio di mesi, per andare ogni mattina a fare il bagno. Riempie la macchinona di nipotini e di ospiti di passaggio, e li porta all'«Obskoe More ». Quel giorno, nella grande automobile, c'ero dunque anch'io, ed il figlio di Lavrentev, che è già membro corrispondente dell'Accademia ed uno dei grandi esperti del centro di calcolo elettronico. Lavrentev padre, naturalmente accademico anche lui, è un esperto di idrodinamica; si sente un po' padrone di Akademgorodok, e forse in modo particolare del grande lago artificiale che si trova ad appena un chilometro o due dalla citta¬ dina degli scienziati. E' una cara persona, cordiale, semplice e la mattinata trascorsa con luì ed i suoi bei nipotini fu deliziosa. Io ero arrivato lì il giorno prima, domenica mattina, dopo tre ore e mezzo di volo notturno da Mosca: notturno per modo di dire, perché si era partiti alle tre del mattino, quando c'era già luce, e arrivando alle sei e mezzo si erano spostati gli orologi avanti di ben quattro ore: tanti fusi orari avevamo valicato durante il volo del nostro " TU 104 ". Prima di partire da Mosca, dal gigantesco e splendido aeroporto di Domodedovo, una telefonata a Ennio Coretto meno una settimana mi aveva rassicurato sull'andamento dell'impresa spaziale fino a quel momento..Ma mancava l'allunaggio, cioè la cosa più importante. Rimanemmo tutta quella domenica in sospeso: i notiziari ritrasmessi da Mosca, che ascoltavo dall'altoparlante della mia stanza, parlavano nel loro stile solenne di messaggi ufficiali dei capì sovietici a quelli polacchi, di celebrazioni in Polonia, di anniversari della sovietizzazione dell'Estonia o della Lituania, di scoperte su nuovi metodi di lavorazione dell'acciaio, dell'andamento dei raccolti in questa o quella regione, della consegna di onorificenze a eroi del lavoro in Ucraina, di felicitazioni inviate da personaggi stranieri a personaggi sovietici o viceversa. Parlavano anche del tempo a Mosca, delle temperature medie registrate o previste, e dell'incontro di calcio del « Nacional » di Montevìdeo con lo « Spartak » dì Mosca: ma non parlavano, quasi mai, del volo spaziale americano, e nemmeno del « Luna 15 » sovietico. Almeno, a me non capitò mai la fortuna, in quei due giorni (e fino a un notiziario delle 12, ora di Mosca, del martedì) di sentire notizie spaziali, anche se mi dicono che qualche notiziario riferiva asciuttamente rapide informazioni. Comunque, io non ne sapevo nulla. Accanto all'albergo dell'Accademia delle Scienze, dove alloggiavo, c'è l'ufficio della Posta e dei telegrafi: un edificio nuovo e piuttosto bello, come il cinema, il granìe magazzino e la Casa degli scienziati. Akademgorodok è stata costruita con ca.;e in maggioranza prefabbricate, come in tutta l'Unione Sovietica, in mezzo a boschi di pini e di betulle, e in questa stagione la natura qui è bella e benigna; d'inverno si raggiungono i 50 gradi sotto zero, ma noi avevamo sole e caldo. E' una città salubre, e il fatto che la si gira sempre a piedi perché non ci sono taxi (per trovarne uno bisogna chiamarlo da Novosibirsk), fa bene alla salute. Per andare dall'albergo alla Posta, comunque, ci sono venti metri, e alla Posta mi recai frequentemente in quei giorni, perché c'è un chiosco di giornali che vende persino stampa straniera: ossia ì quotidiani ufficiali dei Paesi «socialisti», che sono però vecchi di alpur- troppo faticano ad arrivare anche i giornali di Mosca. La Pravda e le Izvestia, nelle tre giornate della mia permanenza, risultarono sempre introvabili; i giornali locali, dei quali sì trovava qualche copia (ma non sempre), portavano notizie vecchie di un paio di giorni, precedenti, alla, mia partenza da Mosca: al fine di seguire la prima discesa della specie umana sulla Luna non servivano affatto. Durante tutta la giornata di domenica non avevo avuto, dunque, nessuna notìzia. Fossi stato, anziché nella cittadina degli Accademici, in qualche villaggio sperduto nelle profondità della taiga siberiana, non mi sarei sentito più lontano dal resto del mondo. Il lunedì mattina soltanto, scendendo a colazione, appresi che l'allunaggio era avvenuto. C'era in quei giorni, ad Akademgorodok, un simposio, il quinto simposio sul tema: «Gli uccelli migratori e la diffusione degli arbovirus». Per discutere questo tema, molto importante per il futuro delle specie vegetali (gli arbovirus, mi hanno spiegato, sono i virus degli alberi) erano venuti scienziati da ogni parte del mondo: inglesi, indiani,, arabi, francesi e naturalmente anche americani. Uno di questi, che aveva portato con sé una radiolina a transistor, aveva ascoltato poco prima, dalla « Voce dell'America », l'annuncio del l'avvenuto allunaggio: era, come è ben comprensibile, fuori di sé dalla gioia, sicché tutti nella sala apprendemmo, bevendo tè nei bicchieri dì vetro, che le cose continuavano ad andare bene, e che un piede umano si era posato sulla crosta lunare. Che cosa fosse avvenuto successivamente, però, non sapevamo, perché l'americano con la radiolina non era più riuscito a captare la « Voice of America »: la remòta trasmissione era stata ingoiata da disturbi. Mentre poco dopo partivamo verso la spiaggia nella vecchia « Zim » grìgia di Lavrentev col suo festoso carico di bambini, la Luna e gli uomini posatisi su di lei ritornavano remoti. C'era, nel porticciuolo dell'Accademia, almeno un centinaio dì barche, molte a motore, di proprietà degli scienziati: forse erano anche duecento. C'era però poca gente, perché al lunedì molti lavoravano. Più lontano,, sulla spiaggia aperta che il pomeriggio prima avevo visto abbastanza popolata, s'intravedevano figurine di bagnanti. Lavrentev e i ragazzetti fecero il loro bacno, poi salimmo tutti sul poderoso motoscafo dell'Istituto di idrodinamica della sezione siberiana dell'Accademia del¬ le Scienze dell'Urss. Pilotava un motorista. Facemmo un ampio giro sul lago, andando fino a un'isola distante dalla nostra riva alcuni chilometri, aggirandola e tornando indietro. L'isola, mi dissero, l'avevano chiamata Taiwan (il nome cinese di Formosa), ma da qualche tempo i locali l'avevano ribattezzata «Tan' i Van'», che vuol dire l'isola delle Tanie e degli Ivani: un po' perché era meta di gite romantiche, e anche perché non venisse ire mente a Mao di avanzare qualche pretesa su questo lembo di terra. C'era durante la nostra gita in barca, sole, caldo, vento, si stava molto bene ed era difficile concentrare l'attenzione sugli uomini nella Luna. Più tardi andammo a casa di uno scienziato: una delle decine di dacie costruite per gli accademici in mezzo a un bosco. Borman, l'astronauta americano, c'era stato qualche settimana prima: mi mostrarono fotografie fatte in quell'occasione e mi parlarono di lui con grande simpatia. Conversavamo in inglese, in francese, in russo. La padrona di casa, un'anziana signora assai distinta, ci accolse parlando subito dell'« Apollo 11 »: ci disse che aveva appena sentito alla radio (penso dalla « Voce dell'America») che Armstrong aveva messo piede sulla Luna. C'erano varie persone nella stanza, e tutti erano molto interessati alle notizie spaziali (più tardi, nel corso di queste giornate, raccolsi altre manifestazioni di un interesse molto diffuso in tutti gli strati della popolazione). Qualcuno chiese se ci fossero notizie di « Lunik 15», di cui più nessuno parlava da un paio di giorni. Qualcun altro rispose di no, e poi osservò: « Vorrei proprio sapere perchè mai l'abbiamo mandato in orbita: si direbbe che l'abbiamo fatto col solo scopo di fare dispetto agli americani ». Parlammo di cooperazione spaziale. Qualcuno disse: « Cooperazione si, ma là sulla Luna non ne vale la pena, non c'è davvero mente che valga la pena di scoprire ». Rimasi a Novosibirsk tutta la domenica, il lunedì e il martedì fino a sera, quando ripresi l'aereo per Mosca, e poi nella nottata il vagone letto sulla « Freccia rossa » per Leningrado. Ritornato in zona coperta dai giornali nazionali, le notizie ricominciarono ad essere un po' più frequenti. La Pravda riservava ogni giorno all'ut Apollo » un titolo a tre o quattro colonne e un testo dì più o meno mille parole (questa sarà all'incirca la duemille¬ sima parola dell'articolo che state leggendo), nella penultima pagina, quella delle notizie dall'estero. I giornali pubblicavano anche qualche raro articolo sull'esplorazione della Luna, parlando delle imprese passate. Così ci si sentiva un po' meno lontani ed isolati dal resto del mondo, in attesa, ora per ora, degli avvenimenti spaziali. A Mosca avevano anche visto delle immagini lunari sui teleschermi, e so che sono state seguite con passione. Nel nostro albergo dell'Accademia delle Scienze di Novosibirsk, pieno di scienziati esperti di uccelli migratori e di arbovirus, non avevo scoperto un televisore funzionante, e quindi non so se le immagini dallo spazio fossero arrivate fino lì, nella cittadella siberiana della scienza sovietica, o negli altri innumerevoli piccoli centri della sterminata provincia sovietica. Arrigo Levi Mosca. Armstrong e Aldrin sui teleschermi sovietici. Ma sui giornali dispacci c commenti brevi (Telefoto A. P.)