Rubli e dollari nel cosmo

Rubli e dollari nel cosmo CHE COSA DIREBBE OGGI KRUSCEV ? Rubli e dollari nel cosmo Nell'autunno del 1961, dopo i voli di Gagàrin e Titov, il primo ministro russo definiva i lanci americani «salti di rana in uno stagno» - E' l'arroganza del potere: tentazione dei grandi Paesi anche nelle imprese spaziali, che pure dovrebbero suggerire l'abbandono del nazionalismo In questi giorni, mentre due uomini si preparano a passeggiare sul suolo lunare, e sono americani, spesso una curiosità s'insinua tra tanti pensieri e mi conduce alla dacia presso Mosca dove vive un vecchio pensionato, già molto loquace e ora abituatosi al silenzio. Mi dico: chi sa che ne pensa Nikita Kruscev? Ricorda le sue spavalderie d'un tempo, quando l'Unione Sovietica si trovava largamente in vantaggio sull'America nella gara spaziale, e lui era al Cremlino? E che sentimenti prova adesso? Si dice, forse ché['se lui non fosse..statò, messo' da parte, i primi a, passeggiare sulla Luna sarebbero stati astronauti sovietici? Chi sa, chi sa... E dove, in quale occasione, Kruscev si fece beffa di noi giornalisti occidentali la volta che gli domandammo se non vedeva il futuro nello spazio come una conquista da compiersi accomunando le risorse, scientifiche ed economiche, 'di tutte le nazioni, principalmente quella sovietica e americana? Dove, quando fu? Certamente dove essere nell'autunno 1961. Perché mai. ci rispose Kruscev, noi sovietici dovremmo rinunciare alle nostre conquiste spaziali mettendoci in società con quei poveretti degli americani? I nostri astronauti vanno e vengono nello spazio, vi restano tutto il tempo che vogliono... E invece che cosa sono in grado di fare gli americani? Salti di rana: già, proprio così, salti.di' rana in uno stagno! Ed è già molto se cadendo giù non annegano. Un giorno d'agosto Con i suoi modi di contadino scaltro e con la sua mimica di attore popolare, Kruscev nel parlare si gonfiava tutto, anche nel viso, alzava e allargava le braccia in alto, come a ribadire che il cielo era di proprietà sua, dei sovietici, e poi all'istante si faceva piccolo piccolo.meschinello, per alludere agli americani. Non era un modo di esprimersi diplomatico, ma efficacissimo, e molto vicino alla realtà del momento. Mentre i russi, Gagàrin prima e Titov in seguito, avevano suscitato lo stupore del morido con i loro voli orbitali, gli americani, Sh,epard prima e Grissom in seguito, avevano in paragone fatto ben magre figure: il primo aveva compiuto un voto di appena 15 minuti raggiungendo un'altezza- di';-meno ' dì -290' chilometri, e il secondo lo avevano salvato a stento quando la sua navicella era piombata a precipizio nelle acque dell'Atlantico. Ricordo quelle cose di otto anni fa e torno a domandarmi: che pensa ora Kruscev? Quali commenti fa atta moglie mentre siede all'ombra tremula di una be- tùlla bianca o zappetta e guarda il cielo? Chi sa, chi sa... E Breznev a sua volta che pensa, che dice agli intimi, che medita? E quali sono le reazioni segrete dei russi anonimi, operai e contadini, studenti e impiegati? Chi sa, chi sa... E di nuovo la memoria torna indietro, a un giorno d'agosto sempre di otto anni fa, quando una mattina a Mosca, uscendo dall'Hotel National, proprio di fronte alle cupole dorate di San Basilio e ai muri del Cremlino, venni investito da voci urlate dagli altoparlanti a ogni angolo di strada* Era domenica, e io forestiero supposi che fosse solo propaganda, una specie di comizi imposti per le strade a cura del partito. In questa supposizione mi induceva4 soprattutto l'atteggiamento dei passanti; più gli altoparlanti apparivano in preda a eccitazione, e tanto meno la gente stava a badargli. Entravo nei giardinetti e sempre mi inseguivano quelle voci convulse, ma intanto i fidanzati continuavano tranquillamente a sorridersi, e le madri tenevano d'occhio i figli e ricamavano, discorrevano quiete tra loro. Tutto normale, una giornata caldissima, e sempre quelle urla incalzanti, incessanti. Solo verso mezzogiorno mi accostai per caso a una comitiva di turisti francesi e udii la guida spiegare che da diverse ore un maggiore sovietico, Titov, stava roteando intorno alla Terra, Non so quante orbite aveva già compiuto; ma moltissime rispetto all'unica riuscita al primo astronauta, Gagàrin. Un'impresa davvero eccezione, un argomento che l'indomani avrebbe certamente occupato tutte le prime pagine dei giornali nel mondo intero con grandi titoli e grandi fotografie. Trionfo e saggezza Mi toccò subito mettermi al lavoro senza sapere una parola di russo. Trovai un interprete, in mio aiuto subito accorsero due colleghi, Arrigo Levi e Alfonso Sterpellone, l'uno e l'altro espertissimi di cose russe, e dotati di radio, televisori, giornali, interpreti. A un certo momento nel pomeriggio Sterpellone mi disse: «Andiamo a vedere che succede nelle strade». Con la sua vettura per due ore andammo dappertutto per Mosca, percorremmo una settantina di chilometri. Niente, proprio niente. Una calma domenicale, nessun capannello, nessuna dimostrazione di gioia. Con quel loro atteggiamento così imbronciato i moscoviti sembrava volessero dire che il volo di Titov non era una faccenda che li riguardasse, essi volevano più patate, più grassi, meno privazioni; perciò gli alto parlanti non li stessero a seccare. Ora eccomi a domandarmi: quali esiti avrebbe avuto la conquista dello spazio, se fin da allora i russi e gli americani avessero deciso di collaborare insieme? E la storia del mondo, specialmente nel bene, in quel caso non sarebbe stata diversa? Per esempio, quella loro assidua collaborazione in un campo così immenso, così impegnativo, non avrebbe evìtato guerre, invasioni, carestie? F fatti di ieri suggeriscono che il nazionalismo, l'orgoglio di chi vince, il gusto dell'egemonìa accecano gli uomini e li spingono verso sconfitte e umiliazioni. Tutti gli osanna che da ogni parte si levavano un tempo • versa le vittorie spaziali dei russi sugli americani, oggi hanno un suono amaro, quasi di scherno. E vediamo tanti che ieri inneggiavano fervorosamente alla supremazia tecnico-scientifica dei russi, ora fare capriole per criticare quel che l'America sta facendo nel campo spaziale, a scapito di altri settori. Per costoro i rubli spesi per lo spazio erano santi, i dollari invece sono maledetti. Ora mi domando: sapranno gli americani evitare gli errori nazionalistici commessi dai russi? Vorranno cercare in tutti i modi, senza mai stancarsi, con vera sincerità, la collaborazione degli altri Paesi, cominciando dall'Unione Sovietica, nelle future imprese cosmonautiche? Avranno l'umiltà di non arrendersi alle altrui ripulse, ma sempre tornare a cercare vie d'intesa? Si ricorderanno che nell'ora del trionfo la saggezza vuole più che mai come sue compagne la prudenza e la modestia? Potenza e virtù Chi può dirlo? Torniamo allora a guardare ai fatti. Nel 1966, parlando all'Università di Baltimora, il senatore Fulbright, il più tenace oppositore del presidente Johnson per la guerra nel Vietnam, ebbe a dire: «Una grande nazione e incline all'idea che la sua potenza sia un segno del favore di Dio... La potenza confonde sé stessa con la virtù... Fu per una simile infatuazione che gli ateniesi aggredirono Siracusa, Napoleone e Hitler invasero la Russia... Gradualmente, ma ineluttabilmente, noi americani stiamo soccombendo all'arroganza del potere... ». Fu l'arroganza, del potere che aggravò per l'America le complicazioni del ginepraio vietnamita, e la trascinò in altre avventure sconsiderate; e anche a sconfitte, umiliazioni, conflitti interni. Oggi la sua arroganza del potere è in declino. Una più caparbia, cinica arroganza del potere ha spinto l'Unione Sovietica all'intervento in Cecoslovacchia. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti; basti osservare quel che sta avvenendo all'interno di molti partiti comunisti, che fino a non molto fa non mettevano neppure lontanamente in dubbio il diritto di Mosca all'egemonia assoluta. Dalle punizioni che le due maggiori potenze del mondo hanno subito negli ultimi anni può dunque risultare un. ben&per l'umanità: potréb- ■ tm bero domani essere indotte a invertire la rotta e a proporsi come meta non-più la prepotenza nazionale, ma un mondo più unito e pacifico, un avvenire migliore per tutta quanta la famiglia umana. Mai l'umanità ebbe davanti a sé una meta più bella, e forse mai le condizioni storiche furono più favorevoli a una siffatta presa di coscienza. L'arrivo dei primi uomini sulla Luna e la successiva collaborazione tra i popoli tutti nelle conquiste dello spazio potrebbero, perciò, segnare l'inizio di una nuova storia- Nicola Adelfi Mosca, 12 aprile 1961: Yuri Gagàrin, «dalle betulle al cosmo »