Due testi anti-Trimarchi rischiano l'arresto per falso

Due testi anti-Trimarchi rischiano l'arresto per falso Qualche delusione per Capanna e gli altri 16 imputati Due testi anti-Trimarchi rischiano l'arresto per falso Duramente richiamati dal presidente - Una deposizione in contrasto con la stessa ammissione di un accusato - Nel complesso i testimoni a difesa,hanno definito «assemblea» il sequestro in aula del professore e non hanno visto l'aggressione in via Albricci - Oggi parla il Pubblico Ministero (Dal nostro inviato speciale) Milano, 16 luglio. Chi, dopo le bordate dell'accusa, si aspettava un adeguato contro-tiro dei testi a difesa, è rimasto delusissimo di questa settima udienza del processo Trimarchì. Alle « cannonate » sparate, venerdì, dal professorino contestato e, ieri, dai vigili e dagli agenti di polizia coinvolti nell'aggressione di via Albricci, il pur nutrito schieramento difensivo oggi non è riuscito ad opporre che uno striminzito fuoco di fucileria. Una fucileria, per di più, disorganica, con le armi, qualche volta, inceppate e, spesso, così imprudente da marciare sul filo dell'arresto. Insomma, invece della tanto attesa battaglia campale, si è assistito soltanto ad una scaramuccia che deve aver lasciato la bocca amara a più di un imputato. Che cosa hanno detto questi testi? Cominciamo dall'episodio dell'aula 208, cioè da quello che l'accusa definisce il «sequestro» di Trimarchi, a Sequestro? — ha detto il primo dei testi, Giuseppe Sacchi, studente di Scienze politiche —. Non credo: Trimarchì non ha mai cercato di uscire dall'atrio dell'Università ». E' vero, ha aggiunto la seconda testimone, la dottoressa Renata Colorhi Pinchera, assistente di Storia della filosofìa medióevale: a Trimarchì non tentò mai di andarsene dall'aula 208, almeno fra le 13,30 e le 16. Escludo anche, nel modo più assoluto, che qualcuno degli studenti abbia urlato di chiudere le porte: è' una frase che non mi sarebbe sfuggita ». E la stessa cosa -sostiene il bidello Stefano Ferrara: «Sono sicuro che Trimarchì non tentò di uscire dall'atrio dell'Università ». La dottoressa Colorili — che è figlia della medaglia d'oro Eugenio Colorni, il direttore dell'Alanti! clandestino, ucciso dai tedeschi Ael '44 in Roma occupata — ha poi descritto quel che avveniva nell'aula 208 come una delle tante assemblee universitarie, né più né meno. Presidente — Ma com'era questa assemblea? Colorni — Mi sembrava una normale assemblea... Presidente (sorridendo) — Ma anche questa è una assemblea. Io, per esempio, dico a Capanna di non ridere, faccio cioè il moderatore... Quella dell'I 1 marzo, invece, lo fu, insiste la dottoressa Colorni: « La discussione che si accese era molto inteTe^sante: si parlò di politica universitaria, e si affrontarono i temi generali dell'esame, della riforma e dell'assetto dell'Università». Anche la giovane signora prese la parola e, tra l'altro, chiese a Trimarchi di spiegare perché non restituiva lo « statino ». Trimarchì rispose: « Quello che dovevo, l'ho già detto ». Anche un altro studente. Pasquale Guadagnolo, che rimase per 5 ore nell'aula de! presunto sequestro, insiste sul carattere pacifico di quella riunione. Ed ecco al secondo episodio, quello di via Albricci, con Trimarchì seguito da un corteo di studenti (« Un corteo spontaneo, non organiz¬ zato », ha sostenuto ima studentessa dì filosofia, Patrizia Arnaboldi), e poi il lancio delle monetine, gli insulti, gli sputi e tutto il restò. Qui le già radè schioppettate dei testi di difesa hanno mirato più volte a bersagli imprudenti, tanto che il presidente ha ritenuto di dover richiamare due testi e li ha minacciati di arresto. Il primo ad essere ammonito è stato uno studente di Scienze .politiche, Enrico Bono. Il giovane — questo il suo racconto — seguì il corteo in posizione appartata e quel che notò furono soprattutto delle « discussioni » fra gli studenti, gli agenti di polizia e i vigili. Presidente — Ma si rende conto che queste « discussioni» sono arrivate al punto che un vigile riportò lesioni? Lei deve riferirci quello che che ha visto. Attento: è una domanda-limite, e lei è sul filo... Ha visto Fallisi sul cofano della «zebra»? Ha visto che i vigili si dimenavano? Bono — Fallisi sul cofano non l'ho visto, e per quel che mi risulta lo escludo. Quanto ai vigili, non ho visto che si dimenavano. Presidente — Allora erano fermi? Vede, Enrico, lei deve uscire da questo equivoco. Deve dirci come le cose sono avvenute. Bono — Finora ho detto le cose cóme sono avvenute, o meglio, come le ho viste. Comunque non ho seguito ì vigili per tutto il tempo dell'episodio. Bono se la cava così ma subito dopo un altro suo collega, lo studente Alberto Bottani, incappa negli stessi guai. Il pomeriggio dell'aggressione, il giovane era con Laurini che gli disse: « Non sono d'accordo su quest'azione, perché è un'azione che politicamente non dà frutto ». E Bottani oggi aggiunge: « lo i non gridavo e neppure Laurini gridava.». Presidente — Ma allora chi urlava questi slogan? Bottani — Non lo so, sono una matricola e conosco poca gente. Ho visto solo Ergas ma distante dal vigile, sul marciapiede. Presidente — Non vada con tanta sicumera, guardi che Ergas lo ha ammesso... E Laurini? Guardi che Laurini ha detto di aver fatto qualcosa. Laurini ha detto che raccoglieva le monetine lanciate contro il prof. Trimarchi. Guardi che io la metto dentro... Bottani allora dice che sì, Laurini raccoglieva le monetine, ma nell'atrio dell'Università. Un atto, in fondo, innocente. Anche Banfi — sostengono i testi Sacchi e Bono — condivideva il giudizio di Laurini. « Banfi faceva il pompiere — ha affermato Sacchi — e diceva che quel che stava avvenendo era un errore politico: qui si scade nella goliardia, aggiungeva Banfi, qui bisogna tornare dentro l'Università per dimostrare che non ce l'abbiamo con Trimarchì personalmente ma con l'autoritarismo ». Fu comunque Trimarchi, simbolo o no, a prendersi personalmente gli sputi in faccia, sostiene l'accusa. Questi sputi, però, a differenza dei vigili, non li hanno visti né il Sacchi, né lo studente Niki Stefi, né Mirella Miotti. Il fuoco di fucileria della difesa si è concluso qui. Non l'udienza, invece, che ha avuto una coda imprevista e, manco a dirlo, piena, se non di veleno, certo di sorprese poco gradite per gli accusati. Prima sorpresa: una studentessa di 21 anni, Paola Frigerio, si è presentata a deporre spontaneamente accompagnata da papà, e ha dipinto l'aula 208 come una bolgia, con Ca- panna che urlava al microfo- no: « Trimarchi, tu di qui non uscirai! », con Banfi e Cappelli che bloccavano^'ty prefe fessoré. Seconda sorpresa: una lettera del giudice istruttore Amati smentisce un'afférmazione del « confederato » pentito, Augusto Colucci. Il gio vanotto aveva detto: « Volevo ritrattare, andai dal giudice Amati, ma egli mi disse che era troppo tardi ». Oggi Amati gli risponde: « La circostanza è del tutto falsa». Terza sorpresa: con un esposto al procuratore della Repubblica, il presidente della «Confederazione studentesca» Michele Astore, smentisce an- ch'egli 11 Colucci a proposito delle riunioni che sarebbero state fatte per concordare l'accusa. Dice Astore: « Non ci sono mai stati accordi né pressioni per indurre a testimoniare persone non presenti al fatto ». A queste lettere e documenti si aggiunge una missiva inviata al Tribunale dal presidente dell'Associazione nazionale docenti universitari, prof. Gianfranco Ghiara. Egli si lamenta che il 13 marzo l'Anpur (l'Associazione nazionale professori universitari di ruolo) abbia mandato un telegramma di solidarietà nei confronti di Trimarchi: « E' un'inammissibile forma dì pressione verso la magistratura ed un indiscriminato avallo dell'operato del prof. Trimarchi, per di più esercitati da un'associazione non rappresentativa di tutti i docenti universitari». Oggi parla il p. m. Giampaolo Pansa Enrico Bono Milano. Paola Frigerio durante la sua deposizione (Teleioto Ansa)

Luoghi citati: Milano, Roma