Senza l'immigrazione sarebbe una città di 400 mila persone
Senza l'immigrazione sarebbe una città di 400 mila persone Una metropoli di un milione 165 mila abitanti Senza l'immigrazione sarebbe una città di 400 mila persone 60 mila traslochi all'anno: una mobilità che contribuisce ad amalgamare la popolazione - Gli inconvenienti dei trasferimenti in massa (via Artom) - Non ci sono barriere tra i giovani: divide di più la passione sportiva che la parlata di provenienza Senza l'apporto dell'immigrazione Torino avrebbe oggi circa 400 mila abitanti, come all'inizio del secolo. Invece è una città di un milione 165 mila persone e continua a crescere. Nel corso del '68 vi hanno preso residenza 19 mila nuovi cittadini. Negli ultimi vent'anni sono giunte oltre mezzo milione di persone. Una cifra imponente, pari a una decina di città come Asti. La causa prima dell'immigrazione è intuitiva: ricerca di un posto di lavoro stabile. Il forte sviluppo delle industrie torinesi ha consentito di accogliere masse di braccianti, provenienti da tutta . Italia. E l'immigrazione non ba mai provocato — tranne che nei periodi di crisi generale — l'aumento dei disoccupati iscritti nelle liste di collocamento. C'è stato anzi un riassorbimento. Nel corso degli armi i disoccupati torinesi sono diminuiti. Oggi oscillano intorno agli 11 mila in città. Il fatto che la cifra dei senza lavoro sia relativamente modesta non deve indurre a facili ottimismi. «Gli operai specializzati e qualificati — avvertono gli esperti — sono gli unici che trovino lavoro con una certa facilità. 1 giovani in età di leva, se restano disoccupati, faticano a reinserirsi prima del servizio militare. Per le persone senza un mestiere sovente il traguardo dei 45-50 anni rappresenta un ostacolo grave nella ricerca di un posto di lavoro ». Qua! è il vero volto di Torino? Fino al 1960 le più forti correnti di Immigrazione provenivano dal Piemonte: l'agricoltura cercava una soluzione dei suoi problemi cedendo -braccia all'industria. Per la prima volta nel '60 i 1 meridionali superarono Jàrgamente gli Immigrati ' ple- letto astigiano o vercellese, all'orecchio del torinese, è meno sonante della parlata siciliana o pugliese. Da ciò l'errore di identificare l'immigrato nel meridionale. Ma la città è un grande crogiuolo nel quale persone delle più svariate provenienze si amalgamano e convivono, a uscio a uscio, anche se il lavoro organizzato in « turni», la motorizzazione e la « riservatezza » torinese, inducono a una vita familiare, più che all'associazione conviviale. In rapporto alla popolazione, Torino è la città italiana che ha il più elevato numero di traslochi: circa 60 mila all'anno. Arrivando, parecchi immigrati trovano la prima sistemazione nei vecchi casamenti del centro e nei quartieri meno fortunati. Alloggi malsani e senza luce, con servizi insufficienti; soffitte sovraffollate, spesso con affittì esorbitanti, costituiscono purtroppo una realtà. Appena le condizioni economiche lo consentono, l'immigrato si trasferisce nei cmartieri moderni della periferia. Nell'antica casa subentreranno nuovi immigrati: il ciclo continua, il problema resta e si mrifinraontesi. Senza dubbiosi dià^i PedncznVdtLrrnm. (aggrava perché SI tratta di | edifici con una manutenzione scarsa o inesistente. Per contro, nell'area del comune sono state eliminate da tempo le baracche e 1 casermoni. L'elevato numero di traslochi ha effetti positivi. A parte il fatto che si cambia quasi sempre per migliorare, c'è da considerare che questa mobilità contribuisce ad amalgamare la popolazione. I trasferimenti singoli rendono più facile l'inserimento nel tes- suto della vita cittadina. Un esperimento di trasloco in massa, dalle Casermette di Borgo San Paolo alle nuove case municipali di via Artom, ha fatto sorgere problemi spinosi che sono ancora aperti L'integrazione di questo forte nucleo è diventata difficile. Episodi analoghi, anche se meno appariscenti e ormai superati, si sono verificati nei grandi quartieri realizzati dall'edilizia pubblica: Istituto delle case popolari e Gescal. L'assegnazione degli appartamenti, in base alle condizioni di bisogno e al numero dei componenti il nucleo familiare, portò fatalmente alla creazione di grosse concentrazioni di immigrati con il pericolo che diventassero « isole » estranee all'esterno. Ma si può dire che Torino non ha isole etniche. I « paesani » che si incontrano nel caffè del Borgo o che vanno a ballare ih comitiva, non sono un'isola, nel senso sociale. Come non sono isole la « Fa- mija Turineisa» o l'Associazione pugliesi. Nelle fabbriche non esistono barriere tra vecchi e nuovi cittadini. Tra i giovani il problema non si pone. Nel 1968 solo un quarto dei matrimoni celebrati a Torino, 2 mila su 8 mila, sono avvenuti tra persone con lo stesso luogo di nascita: torinesi con torinesi, veneti con venete, siciliani con siciliane, ecc.. Il vecchio proverbio « moglie e buoi dei paesi tuoi » è una battuta priva di significato. In un anno su 1800 giovani torinesi ben xlOO hanno sposato ragazze nate altrove. Su 600 ragazze siciliane sposate l'anno scorso oltre 400 erano al braccio di mariti veneti, piemontesi, lombardi o sardi. Su 500 giovani veneti 400 hanno preso una moglie che parlava un altro dialetto. E' un segno di maturità. Vecchi residenti e nuovi arrivati si sentono soltanto cittadini torinesi. Divide di più la passione sportiva che la parlata di provenienza.
Luoghi citati: Borgo San Paolo, Italia, Piemonte, Torino
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