Non è più il mondo della fantasia vana di Primo Levi

Non è più il mondo della fantasia vana UNA SVOLTA NELLA STORIA, S'APRE L'ÈRA DELLA LUNA Non è più il mondo della fantasia vana Primo Levi, 11 chimico-scrittore, notissimo per due libri di ricordi sulla deportazione, Se questo è un uomo e La tregua, tradotti In decine di paesi, è anche autore di sottili ed originali racconti di fantascienza. Storie naturali, pubblicati con lo pseudonimo di Mala-balla. Alla vigilia dello sbarco lunare ha scritto per La Stampa questo articolo. Più complessa, più precisa e più costosa di un moderno esercito, la gran macchina di Cape Kennedy si avvia ponderosamente verso il momento decisivo. Entro otto giorni, in un istante ed in un luogo esattamente predeterminati, due uomini porranno piede sul suolo lunare, segnando ima data singolare nel calendario dell'umanità, e traducendo in realtà quanto in ogni secolo era stato considerato non solo impossibile, ma il paradigma, il sinonimo abituale dell'impossibilità. Occorrerà (o meglio occorrerebbe: il parlare comune è conservatore, si dice ancora < a quattro palmenti», «a tutto spiano», quando nessuno sa più raccogliere le antiche allusioni che queste metafore racchiudono), occorrerà dunque rinunciare al c mondo della Luna » inteso come simbolo di fantasie vane, come non-luogo; eppure è divertente ricordare come, solo vent'anni addietro, si parlasse dell'olirà faccia della Luna » come di un. esempio tipico di realtà inaccessibile, inosservabile per sua essenza. Discuterne, era pura futilità: come discutere del sesso degli angeli, o dell'uccello talmudico di cui parla Isaac Deutscher, che vola intorno alla Terra e vi sputa sopra ogni settant'anni. Stiamo dunque per fare un grande passo: se più lungo o no delle nostre gambe, per ora ci sfugge. Sappiamo che cosa stiamo facendo? Da molti segni è lecito dubitarne. Certo conosciamo, e ci raccontiamo l'un l'altro, il significato letterale, sto per dire sportivo, dell'impresa: è la più ardita, e ad un tempo la più meticolosa, che mai l'uomo abbia tentata; è il viaggio più lungo; è l'ambiente più straniero. Ma perché 10 facciamo, non sappiamo: i motivi che si citano sono troppi^ "intrecciati fra loro, ed insieme mutuamente esclusivi. Sotto a tutti, alla base di tutti, si intravede un archetipo; sotto l'intrico del calcolo, sta forse l'oscura obbedienza ad un impulso nato con la vita e ad essa necessario, lo stesso che spinge i semi dei pioppi ad avvolgersi di bambagia per volare lontani nel vento, e le rane dopo l'ultima metamorfosi a migrare ostinate di stagno in stagno, a rischio della vita: è la spinta a disseminarsi, a disperdersi su di un territorio vasto quanto è possibile; poiché, notoriamente, le caiuole» ci fanno feroci, e la vicinanza del nostro simile scatena anche in noi uomini, come in tutti gli animali, il meccanismo atavico dell'aggressione, della difesa e della fuga. Ancora meno, a dispetto della nuova orgogliosa scienza del « futurìbile », sappiamo dove questo passo ci porterà. Le grandi svolte tecnologiche dei due ultimi secoli (le nuove metallurgie, la macchina a vapore, l'energia elettrica, il motore a combustione interna) hanno provocato mutamenti sociologici profondi, ma non hanno scosso l'umanità sulle sue fondamenta; per contro, almeno tre grosse novità degli ultimi tpent'anni (l'energia nucleare, gli antiparassitari e i detersivi) hanno condotto a conseguenze di misura molto maggiore, e di natura molto diversa, rispetto a quanto chiunque avesse osato prevedere. Tutte c tre minacciano gravemente l'equilibrio vitale del pianeta, e ci stanno costringendo a frettolosi ripensamenti. Nonostante questi dubbi, e nonostante i disastrosi problemi che assillano il genere umano, due nom'"» calpesteranno 11 suolo della Luna. Noi molti, noi pubblico, siamo ormai assuefatti, come bambini viziati: 1 rapido susseguirsi dei portemi spaziali sta spegnendo in noi la facolt'i di meravigliarci, •he pure è propria dell'uomo, indispensabile per sentirci vivi. Pochi fra noi sapranno rivivere, nel volo di domani, l'impresa di Astolfo, o lo stupore teologale di Dante, quando sentì il suo corpo penetrare la diafana materia lunare, € lucida, spessa, solida e pulita ». E' peccato, ma questo nostro non è tempo di poesia: non la sappiamo più creare, non la sappiamo distillare dai favolosi eventi che si svolgono ai di sopra del nostro capo. Forse e presto, non c'è che aspettare, il poeta dello spazio verrà poi? Nulla ce lo assicura. L'aviazione, il penultimo grande balzo, i vecchia ormai di sessantanni, e non ci ha dato altri poeti se non Saint-Exupéry, ed uno scalino più in basso Lindberg e Hillary: tutti e tre hanno tratto ispirazione dalla, precarietà, dall'avventura, dall'imprevisto. La letteratura di mare è morta con la navigazione a vela; non è mai nata, né sembra pensabile, una poesia ferroviaria. Il volo di Collins, Armstrong ed Aldrin è troppo sicuro, troppo programmato, troppo poco « folle », perché un poeta vi trovi alimento. Certo è chiedere troppo, ma ci sentiamo defraudati. Più o meno consapevolmente, vorremmo che i nuovi nayigatori avessero anche questa virtù, oltre alle molte altre che li rendono egregi: che ci sapessero trasmettere, comunicare, cantare quanto vedranno e sperimenteranno. E' difficile che ciò avvenga, domani o poi. Dal nero alveo primigenie^ senz'alto né basso, senza principio e senza fine, dalla contrada de! Tohu e del Bohu, non ci sono giunte finora parole di poesia, eccettuate forse poche ingenue frasi del povero Gagàrin: null'altro se non i suoni nasali, disumanamente calmi e freddi, dei messaggi radio scambiati con la Terra, conformemente a un rigido programma. Non sembrano voci d'uomo: sono incomprensibili come lo spazio, il moto e l'eternità. Primo Levi Cape Kennedy. Armstrong si allena a raccogliere sassi

Persone citate: Aldrin, Armstrong, Cape, Isaac Deutscher, Kennedy, Lindberg, Primo Levi