Tra i partigiani neri del Sudan

Tra i partigiani neri del Sudan LA GUERRA CRUDELE E IGNORATA CHE DURA DA QUATTORDICI ANNI Tra i partigiani neri del Sudan Da quattordici anni si combatte nel Sudan una sanguinosa guerriglia, pressoché ignorata dal mondo, che ha già provocato oltre un milione di morti. Francesco Rosso è 11 primo giornalista che sia riuscito ad entrare nel Sudan attraverso la frontiera con l'Uganda. Pubblichiamo oggi il primo articolo del suo reportage. (Dal nostro inviato speciale) Kampala, luglio. Questo è il resoconto di un lungo soggiorno fra gli Anya-Nya, i guerriglieri del Sudan Meridionale che da quasi quattordici anni combattono una guerra sanguinosa, e pressoché ignorata dal mondo, contro i sudanesi del Nord. E' una guerra di secessione generata dagli interessi coloniali degli inglesi che dominarono il Sudan per oltre mezzo secolo. Finché furono i padroni, tennero separato il Nord dal Sud perché abitati da due popolazioni diversissime, senza nessuna affinità di lingua, razza e costume; alla fine del loro dominio decisero di unificare i due tronconi per far piacere all'Egitto, certi di poter conservare indefinitamente il controllo del Canale di Suez e dell'intero corso del Nilo. Poi tutto k andato diversamente; ma sono rimaste le conseguenze dei calcoli sbagliati dell'Inghilterra conservatrice: appunto questa guerra feroce, che vado a vedere correndo nella notte africana. Mi accompagna Karan, pseudonimo dì un capo Anya-Nya che mi fa da guida nell'avventura in cui mi sono gettato un po' alla leggera, e che ora dorme allungato sul sedile posteriore dell'automobile che sobbalza gemendo sulla strada sconnessa. Non so nemmeno dire da quante ore l'automobile rotoli cigolando sulla pista di polvere rossa; siamo partiti da Kampala poco dopo mezzanotte diretti a nord, e le tenebre sono ancora fìtte. Unico svago il mondo ignoto che entra nel fascio luminoso dei fari, bestie selvatiche striate che mi sembrano lucertoloni e sono invece scoiattoli, mi dice l'autista. I villaggi che attraversiamo, silenziosi e deserti, sono tutti uguali, con le capanne cii lindriche di fango secco ed i tetti conici di paglia. Intorno c'è la notte gonfia di squittii, grugniti, ululati che salgono dalla boscaglia. Improvvisamente, l'autista arresta la vettura; deve versare la benzina portata di riserva, perché nella .notte i po¬ chi distributori sono chiusi. Quando ripartiamo, a oriente, verso i confinì del Kehia, filtra una luce rosa-grigio sbiadita. Questo cielo, equatoriale non ha le albe'spettacolari, i tramonti sanguigni di altri paralleli; soltanto le tempestose nuvole diurne s'arruffano in fantastiche tumefazioni nerazzurre, quando rovesciano le cateratte di pioggia dei monsoni. La luce s'intensifica e rivela il paesaggio, d'un verde gonfio. Karan si è finalmente svegliato e mi dice che incontreremo la scorta Anya| Nya oltre la frontiera verso le dieci, dopo tre ore di mar■eia a piedi. Ancora mezz'oretta di automobile eppoi by foot, a piedi, soggiunge ridendo. Ai margini della strada, ad intervalli quasi regolari, donne col petto ignudo e succhiato da molte maternità, offrono caschi di banane per uno scellino, quasi cento banane per novanta lire. Improvviso scroscia il primo temporale della giornata, violento e rapido, con tuoni fragorosi e lampi che accecano. Scioltesi in pioggia, le nuvole si allontanano alleggerite incendiando cinque, sei arcobaleni che trasformano il cielo in una portentosa fantasia policroma. Attraversiamo un ennetimo villaggio identico agli altri; nei vani scuri delle capanne, donne quasi ignude .si strofinano i denti con un ramoscello verde. Bambini totalmente nudi sguazzano nella fanghiglia rossa. « Ci siamo quasi », dice Karan e parla con l'autista indicandogli i sentieri che deve seguire. La mia inquietudine sale. Sarà davvero tutto organizzato come assicu- IIMlllllllllllllillllIlKMIIIIIIIKIIIKIIllllllllllIlllin ra Karan? E se qualcosa non funzionasse, se qualcuno, all'ultimo moménto, per''un impedimento qualsiasi, non potesse venire all'appuntamento? Siamo in Africa, dove le sole cose certe sono le distanze; tutto il resto ' segue la logica dell'improvvisato e dell'approssimativo. Il primo appuntamento funziona, i portatori ci at» tendono poco fuori del villaggio, sotto- un grande albero ancora stillante di pioggia. Sono tutti nerissimi, il vasto naso schiacciato, le spesse labbra semiaperte su denti d'un biancore feroce. Scaricano dall'automobile il nostro materiale, due valigie con l'essenziale per dormire, la cassetta con gli apparecchi fotografici, quella con le gallette, i bldoncini con l'acqua potabile. Karan dà le ultime istruzioni all'autista perché ci venga a prendere al ritorno. I portatori si caricano sul capo il materiale e partiamo in fila indiana. Abbiamo abbandonato le piste principali e camminiamo attraverso la savana, sepolti fra l'alta erba elefante che la pioggia dei monsoni ha fatto crescere a dismisura; se ne rallegrano gli AnyaNya, perché possono spostarsi, tendere agguati ed imboscate senza essere visti dagli arabi del Nord. Guado difficile La fila che si snoda nella savana mi richiama alla memoria le spedizioni degli esploratori che andavano alla ricerca delle sorgenti del Nilo; ma c'è una differenza sostanziale: io devo evitare con gran cura il fiume perché, dice Karan, c'è pericolo di finire in braccio agli arabi che si sono attestati sul Nilo alla frontiera con l'Uganda dov'è accaduto qualche incidente. Dovremo, perciò, fare una deviazione che allungherà non poco la nostra strada. Ci arrestiamo per un piccolo fiume che guadiamo facilmente levando le scarpe e rimboccando i calzoni fino al ginocchio. Giungiamo ad un secondo fiumiciattolo, e lo guadiamo allo stesso modo. Un terzo, più vasto e profondo, costrìnge i portatori a denudarsi completamente. Trasportato il materiale sulla riva opposta, tornano per prendere a cavalluccio sulle spalle me e Karan. Peccato non poter fotografare questo guado a cavallo di un portatore sudanese. Domando a Karan se la frontiera sia ancora lontana. « Non molto, mi risponde, e bisogna andare cauti ». Attendiamo che i portatori si Oberino delle sanguisughe che gli si sono incollate alle gambe, al ventre, al petto, e ripartiamo. La mìa inquietudine sale, diventa simile alla paura. E se sopraggiungesse una pattuglia dì frontiera ugandese? Per i portatori sarebbe facile scomparire nella savana, ma per me sarebbe diverso. E se inciampassimo in una pattuglia di sudanesi nordisti? Continuiamo la marcia sempre più nascosti dall'erba elefante, ed io sento il cuore che mi sì sfascia dentro, non solo per la fatica. Finalmente, la pattuglia armata l'incontriamo, ed è quella che ci è venuta incontro per scortarci al campo Anya-Nya. I soldati abbracciano Karan ed i portatori, che si sono fermati e si sono liberati del pesante fardello. « Siamo nel Sudan meridionale, la nostra patria», dice Karan, ed il gesto che fa di baciarsi la mano dopo aver toccato la terra non ha nulla di rettorico. Se non me l'avessero detto loro, non mi sarei accorto di aver attraversato una frontiera. « Non c'è differenza tra qui e l'Uganda — dice Karan —; la gente, gli usi, la lingua, la terra sono uguali qui e di là. Gli inglesi non hanno tracciato la frontiera seguendo differenze etniche o geografiche, ma secondo i loro interessi coloniali». Anche questo è uno dei motivi per cui i quattro milioni di negri del Sudan meridionale, animisti ed in buon numero cristiani, combattono da quasi quattordici anni contro gli otto milioni di sudanesi del Nord, neri anch'essi ma affini ai nubiani, arabìzzati e musulmani. Non esiste alcuna affinità fra i sudanesi del Nord e gli abitanti delle tre province meridionali (vaste due volte l'Italia) dell'Equatoria, Bahr el Ghazal e Nilo Superiore. « Siamo sempre stati le mandrie dei nordisti — dice Karan —. Nel secolo scorso scendevano a rubarci l'avorio dei nostri elefanti e a razziare uomini da vendere come schiavi sui mercati di Zanzibar. Con l'indipendenza venivano a razziare i frutti tropicali, il papiro per fare la cellulosa nelle fabbriche di Kartum, e uomini da impiegare come schiavi al Nord. Catturano i nostri bambini e li portano a Nord, dove crescono in schiavitù. E quando' ci siamo ribellati chiedendo l'autonomia, hanno mandato soldati, carri armati ed aerei a massacrare la nostra gente, a incendiare 1 nostri villaggi». La marcia continua, sempre più faticosa. Karan mi fa promettere che non citerò nomi dì villaggi per non dare indicazioni agli arabi nordisti; dirò soltanto che abbiamo attraversato una zona indicata col nome convenzionale di Vietnam. Posso dire, inoltre, che sono il primo giornalista ad entrare nel Sudan meridionale in questo settore; altri — francesi, inglesi, tedeschi — sono entrati attraverso il Congo ed il Centr'Africa, dove le frontiere sono meno controllate. Durante una sosta allarghiamo una carta stradale e Karan mi ìndica le città ed i villaggi controllati dagli arabi nordisti. A causa del Nilo ci troviamo nella zona di più intenso controllo arabo; tutt'intorno, a distanza di pochi chilometri, vi sono accampamenti arabi. Notte insonne Attraversiamo villaggi desolati e miserabili. In uno di essi si svolge un mercato, e mi fermo a fotografare. La mercanzia è scarsissima, qualche patata, alcune pannocchie di granturco, un po' di miglio e di manioca. Gli scambi sono quasi inesistenti, e di denaro non ne cir¬ cola. Chi possiede qualche scellino dell'Uganda, o qualche lira del Sudan settentrionale, lì conserva per comperare un po' di sale e tabacco nei paesi vicini. Kar.an mi dice che un tempo queste zone erano fertilissime, sì coltivavano banane, papaie, ananas: ora non ci sono quasi segni di coltivazione, né di bestiame. Soltanto qualche magro pollo, legato ad una zampa e vigilato ferocemente dai proprietari, razzola dinanzi alle capanne di fango. In fazzoletti di terra appena grattata, crescono alcune piante dì pomodoro, di granturco, un po' di patate e di miglio. « Non coltivano la terra, non allevano 11 bestiame — dice Karan — perché domani potrebbero arrivare gli arabi, che distruggerebbero tutto ». Bambini ignudi giocano dinanzi alle capanne. Hanno ventri rigonfi su gombine rinsecchite. Malaria, tubercolosi, bilarzia, ma soprattutto Ut diarrea verde che li asciuga come canne, falciano migliaia di bambini. La mortalità infantile tocca vertici impressionanti: settanta bambini su cento muoiono di tutte le malattie tropicali perché non ci sono medici, né medicine, perché le madri hanno il seno esausto e non ci sono più mucche, né pecore o capre per l'alimentazione di adulti o bambini. A 'sera giungiamo in un grosso villaggio controllato da guerriglieri Anya-Nya. Ci dirigiamo ad una capanna che sembra più spaziosa delle altre. Il padrone di casa, un vecchio alto, di aspetto nobile, ci accoglie ospitale. Le sue donne, che poi mangeranno fuori della capanna, stendono un lembo d'incerata su un sacco di arachidi e pongono nel mezzo un tegame fumigante in cui tutti pescano con le dita i loro bocconi. E' carne di giraffa cotta con poco sale e molte spezie. Tento di masticare un pezzo di quella carne gommosa, ma la gola mi si chiude come m uno spasimo. Ripiego su una banana, un pomodoro ed una galletta. Il lucignolo che proietta ombre paurose sulle pareti della capanna sta per spegnersi, bisogna prepararsi per la notte. Stendo la brandirla affittata a Kampala e mi allungo per dormire. Sono stanco, ho le gambe gonfie, brucianti, ma il sonno non viene. Karan ed i portatori russano quieti, abbandonati sulla terra battuta del pavimento. Fuori si scatena un temporale fragoroso, i tuoni esplodono crepitanti; e se fossero le mitragliatrici degli arabi? I quattro Anya-Nya armati vigilano accanto all'uscio, ne sono certo, e tuttavia mi sento solo in un mondo ignoto, in mezzo ad una guerra feroce. Trascorro le ore fumando, cercando di allontanare l'incubo dagli arabi nordisti che attaccano il villaggio. Finirà mai questa notte? Francesco Rosso La spedizione del nostro inviato in marcia nella savana del Sudan meridionale, scortata dai guerriglieri Anya-Nya (Foto Francesco Rosso) li Sudan — già condominio anglo-egiziano dal 1899 — è diventato indipendente nel 19S6 con il ritiro degli inglesi. E' un enorme Paese sul corso medio del Nilo (oltre due milioni e mezzo di kmq), in gran parte desertico. La popolazione (13 milioni e 940 mila abitanti) è divisa in due gruppi distinti per razza e civiltà. Gli otto milioni delle province settentrionali, arabi, negri ed egiziani, da secoli sono in maggioranza musulmani. Le tre province meridionali, grandi due volte l'Italia, sono abitate da quattro milioni di negri, animisti o cristiani. Il governo di Khartoum volle l'egemonia dell'elemento arabo nordista sulle po¬ polazioni del Sud; questo tentativo ha provocato la resi' stenza dei sudisti. Così è nata la sanguinosa lotta partigiana Hllllllllllllllllllflllllllllllllllllllllltlllllllllllll ■■■lltlllIflIIIIIIIIIlKIII IlllIIIIItlillIIIIIII

Persone citate: Bahr, Francesco Rosso, Ghazal, Nilo Superiore