Graziano Mesina e il suo legale compaiono domani in Corte d'Assise

Graziano Mesina e il suo legale compaiono domani in Corte d'Assise Rievocata a Sassari una pagina nera della Sardegna Graziano Mesina e il suo legale compaiono domani in Corte d'Assise Altri dieci imputati - Devono rispondere tutti del clamoroso sequestro di un commerciante di Nuoro - Il bandito è anche accusato dell'uccisione di due «baschi blu» (Dal nostro corrispondente) Sassari, 5 luglio. Graziano Mesina, ex latitante numero 1 della Sardegna, e Baingio Piras, procuratore legale: questi i personaggi centrali del processo che avrà inizio lunedì alla Corte d'Assise di Sassari. Sono entrambi imputati del sequestro del commerciante nuorese Peppino Capelli; in più, Mesina deve rispondere dell'uccisione dei due « baschi blu » Pietro "'avola e Antonio Grassia, uccisi durante un conflitto a fuoco a «Tumba Turaba», nel Supramonte orgolese. Accanto ai due, altri dieci imputati: Antonio Ballore, di 42 anni, da Mamoiada, Luigi Biancu, di 29 anni. Mauro Mesina, di 40 anni, Pasquale Mesina, di 38 anni, Fedele Castangia, di 27 anni, Niccolò Mesina, di 37 anni, Francesco Grissantu, di 38 anni, Niccolò Mesina fu Pasquale, di 53 anni, Francesco Biancu, di 25 anni, e Giuseppe Maggianu, di 28 anni, tutti da Orgosolo. I quattro Mesina sono parenti di Graziano. Devono tutti rispondere del più audace e clamoroso sequestro di persona che sia stato compiuto in Sardegna. La sera dell'I 1 maggio '67, alla periferia di Nuoro, vestiti delle tute mimetiche che pullulavano nelle strade dell'isola, e soprattutto in quelle del Nuorese, indosso ai tutori dell'ordine, tre malviventi bloccarono due automobili: sulla prima viaggiava Francesco Capelli, sulla seconda Peppino Capelli con l'autista Giovanni Redento Soro. La prima macchina venne fatta proseguire, la seconda fu fermata. Francesco Capelli, fratello di Peppino, allontanandosi si accorse che non si trattava precisamente di un controllo di documenti: l'armeggiare che i tre falsi poliziotti facevano attorno alla macchina non lasciava adito a dubbi, si trattava di un sequestro bello e buono. Corse pertanto in città. Arrivò dopo pochissimi minuti in commissariato e diede l'allarme. La polizia arrivò sul posto a sirene spiegate. Rapitori e rapiti si erano però nascosti. Hanno raccontato, prima il Soro, che venne rilasciato due giorni dopo, con la richiesta del riscatto (cento milioni, cifra poi abbondantemente ridotta), e poi il Capelli, che ritornò a casa dopo diciassette giorni di prigionia, che il comportamento dei rapitori fu di estrema freddezza, al punto che, incappati nell'ovile di un pastore che si trovava sulla loro strada, presero anche lui come ostaggio e se lo portarono dietro. Ancora Capelli ha raccontato delle lunghe marce compiute sugli impervi costoni del Supramonte e di come più volte le forze dell'ordine fossero ad un passo da Mesina e dagli altri che lo custodivano; mai il bandito perse la calma, riuscì sempre a sganciarsi dall'accerchiamento, mai volle — è sempre Capelli che racconta — eliminare l'ingombrante ostaggio come dai compagni di custodia gli veniva suggerito per assicurarsi una facile ritirata. E mai volle ancora uccidere Capelli quando le trattative per il pagamento della cifra richiesta si fecero difficili Mesina stesso raccontò, subito dopo la sua cattura, di aver saputo resistere a queste « tentazioni »; il vanto suo — nell'intento di passare per un « gentiluomo » del banditismo sardo — era di portare a termine l'operazione come era stata programmata: solo estorsione, niente omicidio. Di quel sequestro a Mesina rimase un ricordo, una pistola Browning, che Capelli teneva per difesa personale. Gli fu trovata addosso il 27 marzo 1968, al momento della cattura. E fu l'atto di accusa principale per il sequestro, del quale tuttavia egli 'ammette la responsabilità, non coinvolgendo però alcuno de gli altri imputati. Mesina ammette anche la responsabilità in ordine al duplice omicidio dei « baschi blu ». I due caddero durante una terribile giornata di scontri a fuoco che impegnarono da una parte l'orgolese ed il suo compagno di latitanza Miguel Alberto Atienza (un giovane spagnolo arruolatosi nella Legione straniera francese e scappato dalla Corsica in Sar¬ dcbmflmgdsinfsdcpr degna) e dall'altra parte alcune . tughe di «baschi blu ». Vi furono diversi agganciamenti e sganciamenti e conflitti, il più grave avvenne a metà pomeriggio del 17 giugno. Caddero, sotto il fuoco dei banditi, Ciavola e Grassia, e fu gravemente ferito il legionario spagnolo. Mesina se lo trascinò dietro per forre e costoni, lo mise in salvo, chiamò anche un medico per curarlo, ma prima che costui raggiungesse il Supramonte, Atienza era spirato. La partecipazione di Bain¬ gio Piras al sequestro Capelli è documentata, secondo il giudice che lo ha rinviato a giudizio, dalla forte somma trovatagli addosso, o da lui versata in banca, proveniente dal riscatto pagato per la liberazione del sequestrato. Sono 3 milioni e 50 mila lire in biglietti da diecimila i cui numeri di serie corrispondono appunto a quelli versati dalla famiglia Capelli. Il Piras non ha negato di averli ricevuti da Mesina; ha detto che una parte era per prestazioni legali essendo difensore del latitante e l'altra parte per l'acquisto di armi, incom- benza che gli era stata data dal Mesina stesso. Mesina e Piras, a quanto si sa, intenderebbero non presenziare al processo, ma il presidente della Corte d'Assise è certo che li farà tradurre in aula quando la loro presenza sarà necessaria. Antonio Pinna II bandito sardo Graziano Mesina