Il '900 di Segre, toccata e fuga

Il '900 di Segre, toccata e fuga Il '900 di Segre, toccata e fuga Renato Barìlli CESARE Segre occupa un posto di grande rilievo, nella critica letteraria del nostro Paese, sia per averla praticata coi rigori del filologo dandoci edizioni esemplari di alcuni classici, sia per avervi svolto negh Anni 60, in stretta congiunzione con Maria Corti e Silvio D'Arco Avalle, un fondamentale capitolo di aggiornamento metodologico proprio nell'ambito della critica facendole acquisire le nuove frontiere della semiotica. Fu la stagione della rivista Strumenti critici, che contribuì, accanto ai portati della linea fenomenologica impostata da Banfi-Anceschi e confluita nel Gruppo 63, a un incisivo svecchiamento del nostro clima, fin lì attardato sotto il predominio dell'accoppiata crocianesimo-marxismo, concordi nel valutare con sospetto i prodotti più significativi del Novecento. E dunque, giunto a un'età di ultrasettuagenario, Segre appare davvero figura indicata ad affrontare un Tempo di bilanci, come suona il titolo della sua recente raccolta di saggi, con un ulteriore sottotitolo stimolante dedicato a La fine del Novecento. Ma in definitiva in questo caso il sostantivo, quel vago e indeterminato «tempo», va preso davvero alla lettera, nel senso che l'illustre critico è giunto certo a una fase del genere, e ha tutti i mezzi e la statura che ci vogliono per affrontarla nel modo più pieno ed esauriente, ma al momento si è arrestato, diciamo così, a una tappa preparatoria, di un primo accumulo di materiali. Forse nuoce alla presente raccolta il carattere di recupero un po' troppo esoso del «già fatto» con cui è stata condotta. Avrebbe giovato aU'autore rifondere i vari saggi e documenti in una trattazione più continua, riempiendo i vuoti che per il momento costellano la trama rendendola molto parziale. Lo si vede perfino ad occhio nudo, in quanto la prima parte della raccolta, riferita a «un bilancio del Novecento», occupa appena una sessantina di pagine sull'intero ammontare di trecento, e infatti scopriamo che è ripresa tale e quale da un'occasione precedente, commissionata in termini ristretti ed economici. Peccato, perché gh snodi ci sono tutti, ma all'insegna di una certa rapidità di un «toccato e fuga», con dilemmi di grande momento appena aperti e subito richiusi. Stupisce fra l'altro vedere che uno studioso attentissimo come il Nostro imposti già per parte sua un'accoppiata che pure sembrerebbe non reggere proprio su basi storiche e filologiche, la «strana coppia» Verga e Svevo, posti a capo di due linee rispettive che avrebbero percorso il secolo appena trascorso, nonostante quei vent'anni che li separarono all'atto di nascita. Ma dove, come quando il Verga ha fatto davvero «linea» nel Novecento, o comunque un suo eventuale influsso è pareggiabile a quello ben più capillare e sottile esercitato da Svevo, magari rafforzato dall'apporto parallelo, oggi pienamente rilanciato, di Pirandello, e a contrastare l'unica altra «linea» che tutti sarebbero d'accordo, compreso lo stesso Segre, a contrapporre a quella, facendo pernio su Gadda? L'accenno a Verga vuole forse significare una strategia d'attenzione verso l'Ottocento, a diminuire la presunta frattura tra i due ultimi secoli? Potrebbe essere un indirizzo critico assai utiie, ma allora, come è possibile liquidare «en passant» Fogazzaro col sommario epiteto di «bozzettista»? E caso mai, non ci sarebbe proprio da ridurre il culto di Verga per una più equa considerazione dell'intero capitolo del nostro grande verismo? Naturalmente Segre è atteso al varco della seconda metà del Novecento, su cui fissa senza dubbio vahdi flashes, parlandoci di Pavese, Bassani, Meneghello. Consolo, Pontiggia, ma appunto in questa zona occhieggiano i vuoti: come non dedicare un medaglione a Volponi, o ad Arbasino? E venendo in su, il critico dedica una giusta attenzione ai protagonisti post-68 sul tipo di Orengo, Tabucchi, Del Giudice, però come è possibile evitare di pronunciarsi sulle affocate cronache di Busi, o sul tono iperoggettivo di De Carlo, o sullo scintillante humor di Benni? E ancora più su. Segre ha senza dubbio dei meriti da rivendicare, visto che si è occupato tempestivamente di alcuni «cannibali» come Nove e Ammanniti, ma l'analisi, per un «bilancio» di qualche completezza, dovrebbe estendersi a Mozzi, Scarpa, Voltolini, fra gli altri; e sul versante femminile, ben vengano la Tamaro e Silvana Grasso, ma perché non accennare anche a giovani narratrici così valide in territorio «cannibalesco» quali Ballestra, Campo, Santacroce, Vinci? Buchi, caselle vuote, che Segre potrà riempire, se in futuro vorrà tracciare un bilancio più completo. «Tempo di bilanci»: la prima metà del secolo nel segno della «strana coppia» Verga-Svevo, circa la seconda risaltano non pochi vuoti (da Volponi ad Arbasino, a Benni) Cesare Segre, decano della nostra critica letteraria 0 Cesare Segre Tempo di bilanci La fine del Novecento Einaudi, pp. 322,6 22 S A G G