Sulla città le mani della criminalità invisibile

Sulla città le mani della criminalità invisibile ECCO COME E' CAMBIATO L'AMBIENTE MALAVITOSO NELL' ULTIMO DECENNIO Sulla città le mani della criminalità invisibile Non c'è un capo riconosciuto, la ricchezza arriva dal gioco clandestino retroscèna Lodovico Poletto CI ERA una volta, a Torino, il clan dei catanesi. C'era la famiglia Miano con la sua violenza. C'erano gli omicidi per il controllo della città, le sparatorie in mezzo alla strada, in puro stile mafioso, c'era una criminalità così sfacciata da arrivare a colpire un procuratore della Repubblica, Bruno Caccia. Poi, i pentiti e le indagini della polizia hanno smontato tutto, pezzo per pezzo. Hanno cancellato e spedato in carcere una fetta di storia della Torino nera. Ma non sono riusciti ad annientare una volta per tutte la criminalità organizzata. L'inchiesta che «Nessuno» ha contribuito a far ripartire svela, in qualche modo, molti retroscena della nuova criminalità subalpina. Che controlla il gioco d'azzardo e le bische, il lotto clandestino e, un tempo, anche il racket delle macchinette da videopoker. Che fa soldi rapidamente e, altrettanto rapidamente, li sperpera. Cinque giugno del 2000. In via Barbania 6 viene ammmazzato Vincenzo Casucci, 60 anni, titolare del circolo Champagne. Visto da fuori questo locale sembra un modesto night di periferia. Ma dentro si cela una bisca clandestina. C'è gente, si dice, che s'è rovina tra quelle mura. C'è chi parla di fiumi di soldi, di puntate milionarie. Ma c'è anche chi racconta che lo Champagne era il diretto concorrente di un altro locale molto chiacchierato a Torino, un'altra bisca. E che Casucci era nel mirino della banda avversaria: portava via i clienti all'altro circolo, non pagava la «cagnotta». E allora qualcuno ha deciso di farlo fuori. Chi? La storia giudiziaria racconta che tutte le persone finite in carcere e sospettate dell'omicidio sono sempre state prosciolte. Gli ultimi, Carmelo Camuglia e Lorenzo Spampinato sono stati «salvati» dalla Corte Suprema. In galera, però, loro due erano finiti per un'altra storia dai contomi strani: la rapina miliardaria al deposito Bsk Securmark di via Gioberti nell'ottobre del 2002. Riuscirono a portare via un milione e 150 mila euro, ma pochi mesi dopo finirono in carcere. Per Spampinato e Camuglia le condanne in Appello variarono tra i 4 anni e i 4 anni e 2 mesi. Quel colpo doveva servire a finanziare il gruppo, a portare nuova liquidità nei portafogli ormai semivuoti di alcuni elementi «influenti» della banda. E i nomi di Camuglia e di Spampinato ritornano nelle indagini sull'omicidio di Pietro Fortunato. Ancora una volta il pm Onelio Dodero imbocca la pista della criminalità organizzata, di quel «giro» di malavitosi che stanno facendosi largo in città. Ma anche in questo caso l'inchiesta affonda: tutto deve ripartire da zero. E i faldoni con gU atti d'indagine di quel delitto tornano a prendere polvere negli archivi della Procura. E poi ci sono le indagini sui fratelli Salvatore, Francesco e Alessandro Magnis e Domenico Linguaglossa. Ed è, anche in questo caso, il pm Dodero a condurre le danze. Finiscono tutti in carcere per la vicenda Casucci. Il tribunale del Riesame, però, li fa tornare in libertà. Restano indagati per una complicala vicenda di estorsioni e racket dei videopoker. E una delle loro vittime era, guarda caso, proprio il gestore dello Champagne. Gestiscono, guarda caso, anche una bisca in via Monginevro: sono considerati elementi «emergenti» nel panorama torinese. Pochi mesi fa, proprio per questi reati, sono stati condannati in primo grado quasi tutti gli indagati. Le pene variano dai 10 ai 4 anni e mezzo. Unico assolto Domenico Linguaglossa. In questo ambiente criminale - «la nuova mafia» come la definì lo stesso Dodero - non ci sono bande il cui organigramma è stabile e preciso. C'è, piuttosto, una nebulosa di malavitosi e criminali che difendono interessi più o meno comuni. Che perseguono gli stessi obiettivi. Un capo vero, inutile cercarlo, non esiste. O, comunque, non ne è mai stata trovata traccia. In questa galassia si commettono rapine quando in tasca non ci sono più soldi. Si ammazza se è il caso di ammazzare, ma senza una strategia precisa. E si continua a lucrare sul gioco clandestino: dal lotto alle macchinette mangiasoldi che, per un certo periodo di tempo, avevano invaso bar e locali notturni della città. Una criminalità «invisibile» , verrebbe da dire, ma pericolosissima, che ha marchiato gli ultimi dieci anni della malavita sotto la Mole. Dalla violenza del clan dei catanesi alla lotta per gestire videopoker e locali per bische

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