L'associazione per l'eutanasia «Si deve decidere in antìcipo» di Daniela Daniele
L'associazione per l'eutanasia «Si deve decidere in antìcipo» PER «EXIT» LA BATTAGLIA PER LA DOLCE MORTE DA NOI E' AGLI INIZI L'associazione per l'eutanasia «Si deve decidere in antìcipo» Daniela Daniele ROMA Non chiamatela eutanasia. Lo dicono anche coloro che sono d'accordo nell'aiutare a morire chi si ritiene non possa più avere una vita dignitosa. «Quella di Terri Schiavo non è stata eutanasia. Gli stati vegetativi permanenti sono questioni che vanno risolte a monte, attraverso le dichiarazioni di ognuno di noi, con la sottoscrizione del testamento biologico, che se non altro solleva sia il medico sia il giudice nella risoluzione di una questione grave». Ne è convinto Emilio Coveri, presi¬ dente di Exit-Italia, la più nota associazione che si batte per il diritto alla morte dignitosa. Si è costituita a Torino, nel 1996 e da allora chiede l'introduzione del testamento biologico. «Noi siamo contrarissimi - spiega Coveri - al distacco della spina in casi come quelli di Terri Schiavo, perchè non ha senso vedere una persona soffrire oltre misura quando interviene una malattia allo stadio termiti ale. Riteniamo ' che sia una vigliaccata produrre una morte, anche se richiesta e voluta dalla persona, in un tempo così lungo e che produce una tale lenta agonia». Per Silvio Viale, medico e coordinatore del comitato scientifico di Exit, «Terri è finalmente libera e lo sono anche i suoi famihari», tuttavia la battaglia sull'eutanasia per Exit va al di là di questo caso e si articola su alcuni punti precisi: «Il testamento biologico, prima di tutto - dice Viale -. L'Italia deve adeguare la propria legislazione alla convenzione di Oviedo, firmata nel '97 e ratificata dal parlamento nel 2001». Il documento riguarda la possibilità di rifiutare terapie e di tener conto delle volontà precedentemente espresse dal paziente. Secondo punto: l'eutanasia volonta¬ ria. «Bisogna trovare il coraggio anche in Italia di affrontare la questione, visto che, oltretutto, c'è nel nostro Paese un'eutanasia clandestina». Terzo argomento: il problema delle persone che finiscono in stato vegetativo. «Occorre creare commissioni mediche, coadiuvate da giudici, che possano decidere il da farsi, su richiesta dei pai-enti e quando c'è evidenza che non esiste più speranza di ripresa per il paziente, dopo un lungo periodo di osservazione che duri anni». In Italia c'è un altro gruppo che persegue questi stessi scopi. Si chiama Libera Uscita ed è un'associazione laica e apolitica che si propone di promuovere il dibattito sulla dignità della vita e della morte e sulla possihibtà dell'individuo di scegliere, in piena responsabilità, in presenza di certe condizioni - come ad esempio una malattia insostenibile - se intende o no continuare a vivere. «Il nostro obiettivo - sostengono gli associati - è poter arrivare anche in Italia, come già è accadu- to in altri Paesi europei ed extraeuropei, all'approvazione di una legge che depenalizzi il ricorso all'eutanasia. A questo scopo abbiamo promosso la presentazione, da parte diparlamentari sensibili a questi temi, di due proposte di legge, una riguardante appunto la depenalizzazione dell'eutanasia, l'altra sulla legalizzazione del testamento biologico». Libera Uscita ha sede nella capitale. Nel prossimo ottobre, a Torino, si terrà un convegno di tutte le principali organizzazioni europee che si occupano di eutanasia. Daniele Capezzone, segretario di. Radicali italiani, da sempre convinto che sia la persona a dover decidere quando non sia più il caso di continuare a vivere e non lo Stato o un giudice, sottolinea: ((A proposito di dolce morte, voglio ricordare che l'Italia è al fondo della classifica tra i Paesi occidentali per la terapia del dolore». Che, tra l'altro, riourrebbe di molto, se applicata correttamente, la richiesta del ricorso al suicidio assistito.
Persone citate: Coveri, Daniele Capezzone, Emilio Coveri, Oviedo, Silvio Viale, Terri Schiavo
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