In Italia i giudici dicono: «Eluana deve vivere» di Massimo Numa

In Italia i giudici dicono: «Eluana deve vivere» LA CORTE DI CASSAZIONE RESPINGE IL RICORSO DELLA FAMIGLIA ENGLARO In Italia i giudici dicono: «Eluana deve vivere» genitori della ragazza in coma di Lecco chiedevano di staccare la spina Massimo Numa Satuma Minuti, la mamma di Eluana Englaro, la giovana donna di Lecco in stato di coma dal 18 gennaio 2002, è un po' frastornata, adesso. Il telefono della sua casa a Lecco suona incessante. Terri Schiavo è morta dopo le decisioni della magistratura USA; Eluana, per ora, è «salva» grazie ai ripetuti interventi dei giudici italiani. L'ultimo da parte della Corte di Cassazione. «Sì, io sono la mamma...e perfettamente d'accordo con mio marito. Noi vogliamo che a Eluana vengano sospese le terapie». Concetti ribaditi con forza dal padre-tutore Beppino Englaro, impegnato da giorni in un massacrante tour de force da uno studio tv all'altro. In decine di interviste (assistito dagli avvocati Vittorio Angiolini di Milano e Sergio Vacirca di Roma, preceduti dalla collega Maria Cristina Morelli) e di dibattiti in cui, talvolta in modo reciso, ha ribadito lo stesso, martellante concetto: «Eluana deve uscire dallo stato vegetativo, deve essere liberata dalla schiavitù delle macchine». E' un uomo provato, molto combattivo, Beppino Englaro. E' di ieri la notizia che la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso contro la decisione della corte d'appello di Milano che risaliva nientemeno che al 19 dicembre 2003. Allora, i giudici Ruggero Pesce, Augusta Tognoni e Gloria Servetti, avevano detto «no» alla richiesta di sospendere l'alimentazione forzata. Ma avevano manifestato i loro dubbi: «Questa Corte è perplessa - scrissero i giudici - Considerata l'importanza e la delicatezza della questione auspica che il legislatore individui e predisponga gli strumenti adeguati per l'efficace protezione della persona e il rispetto del suo diritto di autodeterminazione». Il legislatore, nel frattempo, è rimasto inerte. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso per due ragioni. Avrebbe ravvisato la mancanza di una notifica alla Procura della Corte di Appello di Milano che, con decreto del 2003, aveva già bocciato la richiesta del padre di Eluana. Il secondo aspet¬ to riguarda invece il «cuore» stesso della vicenda: il decreto della Corte di Appello è un atto di ((volontaria giurisdizione», non impugnabile in Cassazione ma solo innanzi ai giudici di merito, in quanto ha per oggetto una situazione, cioè le condizioni di salute della ragazza, che «sono sempre modificabili e sulle quali non si può formare il cosiddetto "giudicato", ossia una sentenza di grado definitivo». In altre parole, lo stato neuro vegetativo appare ancora un inesplicabile mistero, in parte anche per la scienza, e non si può emettere un giudizio assoluto, che sia proiettato nel tempo, anche per i prossimi anni. O decenni. Eppure i legali di Beppino Englaro avevano fatto precedere le 26 pagine del ricorso da un semphce quesito: «Si garantisce la dignità umana mantenendo in stato vegetativo Eluana Englaro?». Evidentemente, la risposta, sia pure indiretta, è sì. I genitori speravano in un esito diverso. Beppino Englaro ci tiene da sempre a precisare che, «questo non è un caso di eutanasia». La famiglia di Eluana sente di non essere stata capita. Mamma Satuma non vuole entrare nel merito delle decisioni della Cassazione: ((Abbiamo bisogno di tempo per riflettere, vedremo cosa fare, nelle prossime ore». Il ricorso presentato alla Corte di Cassazione spiegavano gli avvocati - è nettamente diverso dai precedenti. Al centro, la dignità di una persona. Ai giudici della Cassazione si chiedeva «se era lecito proseguire in queste condizioni». Inutili anche i riferimenti alle conclusioni del gruppo di studio Oleari, costituito dall'ex ministro della Salute Umberto Veronesi, e a quelle della commissione bioetica europea, sostanzialmente «favorevoli alla sospensione dell'accanimento terapeutico». Se in passato i ricorsi partivano dalla richiesta d'interruzione delle cure, questa volta, sottolineava l'avvocato Angiolini, «si faceva riferimento alla dignità umana, e quindi sui diritti fondamentali della persona». «L'istanza alla Cassazione - ha detto il padre di Eluana - riguardava solo la sospensione di un accanimento terapeutico». «Nostra figlia è costretta a una non-vita dalle istituzioni e dai medici - è la sintesi estrema dei genitori - e faremo di tutto per sbloccare questa vicenda». La battaglia per spegnere le macchine che tengono in vita Eluana, dunque, continuerà. Questo è certo. Il padre: continuerò a combattere, mia figlia deve venire liberata dai macchinari

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