Gli italiani di Germania di Carlo Moriondo

Gli italiani di Germania FUORI DAI MONDIALI Gli italiani di Germania (Come vivono, come se la cavano) (Dal nostro invialo speciale) Francoforte, giugno. Lunghe, tristi e grigie sono le domeniche di Francoforte. La città è come stupita di vedersi silenziosa e deserta: chiuse le banche, chiusi gli uffici, chiusi i negozi, fuggiti verso la campagna i pochi abitanti del centro; il rombo che accompagna la vita cittadina di questa capitale del denaro si è spento. Le strade diritte, interminabili, sono lunghi canyon di solitudine; se incontrate qualcuno, è probabile che vi saluti come se incontrasse un amico. Per vedere gente bisogna andare sulle rive del Meno; l'attività dei battelli da carico non ha sosta lungo questa via d'acqua su cui scorre gran parte delle ricchezze d'Europa. Oppure alla stazione centrale e nelle vie che la attorniano. Quel treno Qui, la domenica mattina, per lunga consuetudine si riuniscono lavoratori turchi e jugoslavi, romeni e greci. Anche spagnoli, ma soprattutto balcanici: li riconoscete dai baffi alla mongola, dalle facce contadine solcate da rughe fitte, come polverose; dallo sguardo stanco, dal berretto a coppola come quello dei siciliani. Si ritrovano per nessun motivo: vanno a guardare i treni, osservano i binari, studiano gli orari delle loro partenze improbabili, che forse non verranno mai: ma quel treno, magari, parte per il lungo viaggio verso Belgrado; quei binari, forse, finiscono a Istanbul, e tanto basta alla loro nostalgia. Bevono la prima birra della giornata senza parlare, stando in piedi appoggiati a quegli scomodi tavolini tipici delle stazioni tedesche. Oppure si sdraiano lungo i muri della piazza davanti alla stazione, che in questi giorni è in subbuglio per la costruzione del metrò; sfogliano un giornale vecchio d'una settimana, stanno in crocchio: uno racconta con voce lenta e lenti gesti, tutti ascoltano, come se fossero ancora nel loro rione, nel loro villaggio. Così trascinano le loro domeniche nell'attesa di riprendere il lavoro. Raramente sentite la voce di un italiano. I nostri hanno già superato da un pezzo questa fase, sono stati fra i primi a venire, si sono dispersi fuori Francoforte, anche perché la vita costa assai meno in quei villaggi che essi stessi hanno costruito. Andiamo a Dietzenbach, dove vivono folti gruppi di connazionali: anzi la cittadina è quasi tutta loro, vent'anni fa c'erano quattro case, ora è un centro di diecimila abitanti, con la chiesa nuova, la zona residenziale; hanno fatto tutto loro. Nessuno come i nostri possiede l'innata abilità di costruire, conosce l'arte del mattone e del cemento. Costruiscono dighe in Rhodesia o case in Germania, non importa, purché si tratti di mettere pietra su pietra e veder crescere qualcosa che resterà. Quelli di Dietzenbach vengono in genere dalle Puglie: intere famiglie di Bari, di Barletta, di Andria. Per gli impianti tecnici, dei termosifoni e della luce elettrica, ci vogliono invece quelli di Udine; i gelatai sono di Pordenone e per antica consuetudine chiamano il loro bar, quando riescono ad aprirne uno, con il nome di Venezia. Nell'alloggio Entriamo nella casa di Mangione Vincenzo, vediamo come vive. E' di Corato. Finito il servizio di leva, venne a Francoforte, aveva un poco di esperienza come muratore, due giorni dopo trovava già lavoro. Niente racket delle braccia, come talvolta capita in Ita Ha: funziona il contratto collettivo, e soltanto quello. Per 180 ore mensili riceve una busta paga di 1871 marchi, su cui gravano diverse trattenute: un tanto per la Kranken Kasse, che è come la nostra mutua; un tanto anche per la Kirche, la chiesa (37 marchi al mese), un tanto per le imposte. Di netto in busta restano 1200 marchi. Al cambio libero, cioè con il marco a 290, fanno 350 mila lire mensili pulite. Un alloggio come quello di Mangione Vincenzo (soggiorno e stanza da letto con moquette, bagno, cucina con frigo, cantina, ascensore), riscaldamento compreso, luce elettrica esclusa, porta via 380 marchi al mese, cioè 110 mila lire: troppo per una sola persona. Ma i nostri non temono gli affollamenti: Mangione ha trovato due paesani, che son venuti a vivere con lui, vanno d'accordo, fanno a turno la cucina e le pulizie, poi dividono le spese. Alla fine del mese ci sono sempre 130-150 mila lire a testa da mandare alla famiglia. Non hanno macchina, si recano al lavoro in bicicletta, vanno a ballare dove sanno di trovare altri italiani, giocano a football nelle loro squadrette, di rado vanno al cinema del paese, dove si proiettano soltanto vecchi film con Franchi e Ingrassia o pellicole di gladiatori. Mettono qualche soldo in banca, soprattutto per averli pronti a Natale ed a Pasqua: nessuno resiste, anche se giura che sono denari sprecati, quando vengono le feste se ne parte per l'Italia, e Dietzenbach resta spopolato per una settimana. Di matrimoni con le ragazze tedesche, non se ne parla. I pochi casi si sono rivelati fallimenti clamorosi. E la crisi? La loro grande aspirazione è di diventare «chef», qualcosa come capo-cantiere o capo-squadra: e qualcuno in effetti ci riesce, ma dev'essere realmente un tipo superiore. Allora anche i tedeschi cominciano a rispettarlo sul serio e ad ammettere che possa comandare ad altri tedeschi, il che è il vero segno di una raggiunta posizione di grande prestigio. Per tutti gli altri c'è la prospettiva di una vita di rude lavoro, ad un certo punto della quale — se uno ha messo da parte qualcosa — si potrebbe anche tornare in Italia per mettersi in proprio. Ma ora la preoccupazione si è insinuata tra i nostri uomini in Germania: qualcuno è abbonato ai giornali italiai, se li passano di mano in mano. Ed i giornali parlano di crisi economica, della lira che perde terreno. Ma che cosa succede, in Italia?, si domandano gli immigrati. Possiamo ancora pensare di tornarci, senza vedere i nostri faticati risparmi buttati al vento? Il timore è forte, ed è complicato dal fatto che anche nella Germania non tutto corre sicuro e veloce come sempre. L'inflazione striscia nella Repubblica federale, i prezzi puntano all'insù, l'edilizia non « tira » più come prima: nel solo Land dell'Assia ci sono quarantamila disoccupati nel settore dell'edilizia, e tra essi cominciano anche a trovarsi dei tedeschi, che pur godono evidentemente di un trattamento preferenziale da parte degli imprenditori. Per qualche tempo la disoccupazione può anche non essere un problema gravissimo: nei primi sei mesi chi è senza lavoro riceve una indennità netta pari a mille marchi. Ma poi la sovvenzione termina e bisogna arrangiarsi, magari accettando qualche lavoro senza contratto, come dipendente semiclandestino, dato che il racket delle braccia, prima sconosciuto, in questi ultimi tempi ha cominciato a stendere anche qui i suoi tentacoli. Chi non vuol subire deve sovente rassegnarsi a decadere, a scendere in competizione con turchi e romeni per un posto di semplice manovale. E il sogno di rientrare in Italia si allontana sempre più. Già adesso molti non ci contano: «Stiamo bene qua, ci siamo adattati, abbiamo imparato tante cose, perché cambiare di nuovo? ». E intanto guardano la cartolina con la veduta del lungomare di Bari appesa al muro, assieme al ritratto della ragazza sotto il ramo d'ulivo. E noi fingiamo di credere alle loro parole. Carlo Moriondo Gli italiani di Germania FUORI DAI MONDIALI Gli italiani di Germania (Come vivono, come se la cavano) (Dal nostro invialo speciale) Francoforte, giugno. Lunghe, tristi e grigie sono le domeniche di Francoforte. La città è come stupita di vedersi silenziosa e deserta: chiuse le banche, chiusi gli uffici, chiusi i negozi, fuggiti verso la campagna i pochi abitanti del centro; il rombo che accompagna la vita cittadina di questa capitale del denaro si è spento. Le strade diritte, interminabili, sono lunghi canyon di solitudine; se incontrate qualcuno, è probabile che vi saluti come se incontrasse un amico. Per vedere gente bisogna andare sulle rive del Meno; l'attività dei battelli da carico non ha sosta lungo questa via d'acqua su cui scorre gran parte delle ricchezze d'Europa. Oppure alla stazione centrale e nelle vie che la attorniano. Quel treno Qui, la domenica mattina, per lunga consuetudine si riuniscono lavoratori turchi e jugoslavi, romeni e greci. Anche spagnoli, ma soprattutto balcanici: li riconoscete dai baffi alla mongola, dalle facce contadine solcate da rughe fitte, come polverose; dallo sguardo stanco, dal berretto a coppola come quello dei siciliani. Si ritrovano per nessun motivo: vanno a guardare i treni, osservano i binari, studiano gli orari delle loro partenze improbabili, che forse non verranno mai: ma quel treno, magari, parte per il lungo viaggio verso Belgrado; quei binari, forse, finiscono a Istanbul, e tanto basta alla loro nostalgia. Bevono la prima birra della giornata senza parlare, stando in piedi appoggiati a quegli scomodi tavolini tipici delle stazioni tedesche. Oppure si sdraiano lungo i muri della piazza davanti alla stazione, che in questi giorni è in subbuglio per la costruzione del metrò; sfogliano un giornale vecchio d'una settimana, stanno in crocchio: uno racconta con voce lenta e lenti gesti, tutti ascoltano, come se fossero ancora nel loro rione, nel loro villaggio. Così trascinano le loro domeniche nell'attesa di riprendere il lavoro. Raramente sentite la voce di un italiano. I nostri hanno già superato da un pezzo questa fase, sono stati fra i primi a venire, si sono dispersi fuori Francoforte, anche perché la vita costa assai meno in quei villaggi che essi stessi hanno costruito. Andiamo a Dietzenbach, dove vivono folti gruppi di connazionali: anzi la cittadina è quasi tutta loro, vent'anni fa c'erano quattro case, ora è un centro di diecimila abitanti, con la chiesa nuova, la zona residenziale; hanno fatto tutto loro. Nessuno come i nostri possiede l'innata abilità di costruire, conosce l'arte del mattone e del cemento. Costruiscono dighe in Rhodesia o case in Germania, non importa, purché si tratti di mettere pietra su pietra e veder crescere qualcosa che resterà. Quelli di Dietzenbach vengono in genere dalle Puglie: intere famiglie di Bari, di Barletta, di Andria. Per gli impianti tecnici, dei termosifoni e della luce elettrica, ci vogliono invece quelli di Udine; i gelatai sono di Pordenone e per antica consuetudine chiamano il loro bar, quando riescono ad aprirne uno, con il nome di Venezia. Nell'alloggio Entriamo nella casa di Mangione Vincenzo, vediamo come vive. E' di Corato. Finito il servizio di leva, venne a Francoforte, aveva un poco di esperienza come muratore, due giorni dopo trovava già lavoro. Niente racket delle braccia, come talvolta capita in Ita Ha: funziona il contratto collettivo, e soltanto quello. Per 180 ore mensili riceve una busta paga di 1871 marchi, su cui gravano diverse trattenute: un tanto per la Kranken Kasse, che è come la nostra mutua; un tanto anche per la Kirche, la chiesa (37 marchi al mese), un tanto per le imposte. Di netto in busta restano 1200 marchi. Al cambio libero, cioè con il marco a 290, fanno 350 mila lire mensili pulite. Un alloggio come quello di Mangione Vincenzo (soggiorno e stanza da letto con moquette, bagno, cucina con frigo, cantina, ascensore), riscaldamento compreso, luce elettrica esclusa, porta via 380 marchi al mese, cioè 110 mila lire: troppo per una sola persona. Ma i nostri non temono gli affollamenti: Mangione ha trovato due paesani, che son venuti a vivere con lui, vanno d'accordo, fanno a turno la cucina e le pulizie, poi dividono le spese. Alla fine del mese ci sono sempre 130-150 mila lire a testa da mandare alla famiglia. Non hanno macchina, si recano al lavoro in bicicletta, vanno a ballare dove sanno di trovare altri italiani, giocano a football nelle loro squadrette, di rado vanno al cinema del paese, dove si proiettano soltanto vecchi film con Franchi e Ingrassia o pellicole di gladiatori. Mettono qualche soldo in banca, soprattutto per averli pronti a Natale ed a Pasqua: nessuno resiste, anche se giura che sono denari sprecati, quando vengono le feste se ne parte per l'Italia, e Dietzenbach resta spopolato per una settimana. Di matrimoni con le ragazze tedesche, non se ne parla. I pochi casi si sono rivelati fallimenti clamorosi. E la crisi? La loro grande aspirazione è di diventare «chef», qualcosa come capo-cantiere o capo-squadra: e qualcuno in effetti ci riesce, ma dev'essere realmente un tipo superiore. Allora anche i tedeschi cominciano a rispettarlo sul serio e ad ammettere che possa comandare ad altri tedeschi, il che è il vero segno di una raggiunta posizione di grande prestigio. Per tutti gli altri c'è la prospettiva di una vita di rude lavoro, ad un certo punto della quale — se uno ha messo da parte qualcosa — si potrebbe anche tornare in Italia per mettersi in proprio. Ma ora la preoccupazione si è insinuata tra i nostri uomini in Germania: qualcuno è abbonato ai giornali italiai, se li passano di mano in mano. Ed i giornali parlano di crisi economica, della lira che perde terreno. Ma che cosa succede, in Italia?, si domandano gli immigrati. Possiamo ancora pensare di tornarci, senza vedere i nostri faticati risparmi buttati al vento? Il timore è forte, ed è complicato dal fatto che anche nella Germania non tutto corre sicuro e veloce come sempre. L'inflazione striscia nella Repubblica federale, i prezzi puntano all'insù, l'edilizia non « tira » più come prima: nel solo Land dell'Assia ci sono quarantamila disoccupati nel settore dell'edilizia, e tra essi cominciano anche a trovarsi dei tedeschi, che pur godono evidentemente di un trattamento preferenziale da parte degli imprenditori. Per qualche tempo la disoccupazione può anche non essere un problema gravissimo: nei primi sei mesi chi è senza lavoro riceve una indennità netta pari a mille marchi. Ma poi la sovvenzione termina e bisogna arrangiarsi, magari accettando qualche lavoro senza contratto, come dipendente semiclandestino, dato che il racket delle braccia, prima sconosciuto, in questi ultimi tempi ha cominciato a stendere anche qui i suoi tentacoli. Chi non vuol subire deve sovente rassegnarsi a decadere, a scendere in competizione con turchi e romeni per un posto di semplice manovale. E il sogno di rientrare in Italia si allontana sempre più. Già adesso molti non ci contano: «Stiamo bene qua, ci siamo adattati, abbiamo imparato tante cose, perché cambiare di nuovo? ». E intanto guardano la cartolina con la veduta del lungomare di Bari appesa al muro, assieme al ritratto della ragazza sotto il ramo d'ulivo. E noi fingiamo di credere alle loro parole. Carlo Moriondo

Persone citate: Ingrassia, Land, Mangione, Mangione Vincenzo