Fondi neri Montedison: timori d'insabbiamento dell 'inchiesta di Fabrizio Carbone

Fondi neri Montedison: timori d'insabbiamento dell 'inchiesta Lo scandalo all'esame della commissione parlamentare Fondi neri Montedison: timori d'insabbiamento dell 'inchiesta Tra gli altri ostacoli esiste un dissidio tra potere legislativo e potere giudiziario (Nostro servizio particolare) Roma, 27 giugno. Sono quattro mesi che lo scandalo petrolieri-Enel-partiti è finito sul tavolo della Commissione parlamentare inquirente e tre mesi che l'istruttoria sui «fondi neri» della Montedison è stata tolta (prima «in visione» poi «avocata») al giudice romano Renato Squillante. Per ultimi sono arrivati altri due processi: quello contro l'Unione consumatori di Vincenzo Dona e quello per il caso dell'olio di colza della «Chiari e Forti». Comunicati stampa, sempre più laconici, danno notizia, in poche righe, del calendario delle sedute con accenno agli argomenti trattati. Ma davanti all'ingresso di via della Missione non c'è più la consueta attesa dei giornalisti. «Perché non venite a cercare notizie?», chiede un commissario. «Perché non succede nulla», è la risposta. E il commissario, d'accordo, scrolla la testa: «Andiamo verso l'estate — conclude — e sta calando il sipario ». Il vicepresidente della Commissione, Ugo Spagnolli, comunista, dice: «Per il fatto del petrolio non ci sarebbe bisogno di continuare. Abbiamo ascoltato quasi tutti i maggiori imputati; abbiamo un materiale enorme a disposizione; cifre, fatti, nomi. Per me l'istruttoria è finita. Mancano le conclusioni e invece continuiamo a riunirci senza fare nulla o quasi». Spagnolli ricorda come ci furono diversi tentativi per mettere tutto a tacere. «Ad un certo punto si pensò a un'amnistia. La cosa era vera; se non ci fosse stata una dura presa di posizione dei giornali — dice — non so come sarebbe andata a finire». Dubbi e timori di un'«iresabbiatura» generale ci sono, e paiono fondati. A queste accuse si risponde dicendo che l'inchiesta continua e continuerà, solo si vuole approofndire l'indagine, allargarla il più possibile. Il primo marzo il presidente della Commissione, l'onorevole Francesco Cattanei (de), aveva assicurato: «Si andrà fino in fondo». Sette giorni dopo la Commissione decise di aprire un'istruttoria a carico degli ex ministri Valsecchi (de) e Ferri (psdi); il 13 ci fu l'apertura formale dell'inchiesta: 100 imputati e un «dossier» vastissimo raccolto in pochi giorni dai pretori genovesi, Almerighi, Sansa e Brusco. L'inchiesta giudiziaria era arrivata a Roma, spedita sotto scorta della Guardia di Finanza, perché si voleva impedire un primo insabbifimento. A Roma un'equipe di magistrati aveva lavorato sul materiale sequestrato finché non si ipotizzarono reati da parte di ministri o ex ministri: il processo passò in Parlamento. Nel primo mese la Commissione lavorò di gran lena. Un rallentamento lo si ebbe il 28 marzo quando, all'improvviso, fu chiesta in «visione» l'indagine della magistratura ordinaria sui «fondi neri» che Valerio elargì ai partiti (circa 10 miliardi). Anche allora si parlò chiaramente di tentativo di bloccare un'inchiesta scottante. La Commissione si trovò a dover discutere di due grossi casi insieme: sorsero problemi giuridici complicati come quello della scelta dei commissari (ce n'erano alcuni che potevano essere interessati direttamente all'inchiesta). Poi la seconda frenata, all'inizio della campagna elettorale per il referendum sul divorzio, mentre correvano voci allarmanti su un progetto di amnistia per reati in cui rientravano quelli ipotizzati sia per il caso petrolieri, sia per quello sui «fondi» Montedison. Venne, quindi, il varo della legge sul finanziamento dei partiti, che includeva un emendamento definito «Montedison» dal liberale Bozzi. Ricordiamo il contrasto, netto, all'interno della Commissione quando le decisioni se avocare l'inchiesta «fondi neri» o restituirla al giudice istruttore slittavano da una seduta all'altra; ricordiamo la minaccia di dimissioni che Cattanei lanciò al termine di una burrascosa seduta che nulla aveva concluso. Ora, su questo argomento, si è aperto un dissidio tra potere legislativo e potere giudiziario: i giudici romani chiedono indietro tutti i fascicoli e si sono rivolti alla Corte Costituzionale perché decida. Il sostituto procuratore della Repubblica, Enrico Di Nicola, ha detto che non ci sono elementi che giustifichino l'avocazione disposta dal Parlamento. Nella vicenda, perciò, non risulterebbero implicati ministri o ex ministri, mentre è abbastanza sicuro che sono coinvolti uomini politici ad alto livello. Se il caso Montedison è arrivato al punto dello stallo, l'inchiesta sulla corruzione dei petrolieri dovrebbe porta re a una qualche conclusione. | Parliamo di corruzione dei i petrolieri perché lo stesso presidente Cattanei, in una sua relazione, disse che «era provata»; quelli che non si riuscivano a trovare erano i corrotti. Dal punto' di vista strettamente giuridico la commissione parlamentare ha gli stessi poteri di un magistrato. Anzi non si ferma neppure di fronte ai «segreti» di Stato. I venti commissari che formano il tribunale parlamentare potevano quindi, in base agli accertamenti, indiziare di reato, spiccare mandati di cattura. L'unica cosa fatta, invece, è stata la revoca dell'ordine di cattura contro Vincenzo Cazzaniga, ex presidente della Esso e dell'Unione petrolifera. Cazzaniga, latitante fino alla revoca, si presentò davanti ai «giudici» per essere ascoltato. A questo punto non si capisce perché, dal momento che erano stati «trovati i corruttori », la Commissione non ha inteso procedere penalmente nei loro confronti. Invece si prosegue, in sordina, con «ulteriori» indagini: alla Commissione sono arrivati tutti i decreti e le leggi che riguardano la delicata materia delle agevolazioni fiscali, concesse e rinnovate da anni alle società petrolifere. Fabrizio Carbone

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