Tutti improvvisatori di Giorgio Viglino

Tutti improvvisatori Tecnici di altri sport accusano quelli del calcio Tutti improvvisatori Dice il professor Anzil, "inventore" di nuovi metodi di allenamento nell'atletica: "Il campo d'azione è enorme e inesplorato" - Rubini: "Nel football contano solo i dirigenti" - Trainers impreparati e sistemi superati - Pareri di Benzi e Defilippis Lo sport proiettato verso gli Anni Duemila cammina con gli esperimenti del professor Faustino Anzil. Probabilmente lo conoscono in pochi, ma tra lui e ad esempio Mondino Fabbri, i ruoli sono rispettivamente di stregone e apprenti-sorcier. Anzil è l'inventore di Dal Forno, primatista italiano di salto in alto, atleta costruito fisicamente in funzione di un record che mai sarebbe stato alla portata dell'uomo soltanto naturalmente dotato. Anzil le ha studiate tutte per il suo atleta e tanto metodi che risultati sono d'esempio. E' il primo ad aver applicato gli elettrostimoli, un lavoro coi sovraccarichi calibrato col contagocce, il training autogeno, una pianificazione del lavoro che opera su un arco di undici mesi su dodici. Dice Anzil: « Sul calcio c'è poco nel mondo, una quindicina di libri tecnici, non di più, ma in Italia ce n'è uno solo. E poi quell'uno quanti sono ad averlo letto e capito? Gli elettrostimoli servono a rafforzare l'arco plantare e a irrobustire i fasci muscolari dei saltatori, ma i calciatori sono anch'essi saltatori, lo ha dimostrato quel polacco con il gol di testa. Il training autogeno non è una stupidaggine come si potrebbe capire da certe spiegazioni approssimative. Serve a dare una certa distensione e ad annullare fatti emozionali che nell'atleta possono essere il timore di un avversario o di una scadenza fissa, nel calciatore il peso di una responsabilità, un arbitraggio ingiusto. Il campo d'azione è enorme, soltanto che bisogna trovare chi è in grado di lavorare in questo senso. Non a caso l'Ungheria, che pure ha un passato calcistico notevole, è stata esclusa dalla finale di Coppa: anche là sono gli ex giocatori ad allenare le squadre ». Aggiungiamo noi che non sono soltanto le pedine a non aver preparazione e idee scarse. Il settore tecnico federale produce un bollettino che dovrebbe contenere aggiornamenti tecnici, novità da tutto il mondo, informazioni per gli addetti ai lavori. L'ultimo giunto agli interessati porta la data del febbraio '74. « Non c'è miracolo all'Est — dice il professor Benzi, fisiologo innamorato del suo lavoro, uomo motore della commissione studi della federatletica — c'è un rapporto continuo fra tecnici di campo e uomini di laboratorio e gli uni credono negli altri ». PIÙ oltre Benzi non vuole andare per non cadere nel pressapochismo di diagnosi affrettate, e preferirebbe allargare il discorso ad una tavola rotonda che speriamo di poter fare presto. Attorno a lui in rapporti di amicizia gravitano diversi medici. Uno è noto proprio per ragioni calcistiche anche se i suoi meriti maggiori vanno forse trovati nelle applicazioni sui fondisti sciatori. E' Angiolino Quarenghi, il viso sempre più ascetico, i capelli decisamente grigi, la voglia di fare di sempre, addirittura ancora la fiducia in quell'ambiente calcistico che lo ha tartassato in più di un'occasione. Nel '70 a Visoke Tatry. dove i fondisti italiani aprivano ufficialmente la loro crisi, Quarenghi per divagare parlava di calcio e raccontava aneddoti sui tecnici calcistici: « Ce n'è stato uno che a sentire parlare di muscoli adduttori ha introdotto subito un concetto matematico, parlando di muscoli sommati ». Nulla di male, se non fosse che di lì a poco il soggetto diventava ' mister » nell'Inter. Solo sei maestri Aneddoti a parte non è pensabile che diventino allenatori con corsi di qualche settimana calciatori che non hanno mai condotto la minima preparazione teorica, non hanno una base culturale, soprattutto non hanno coscienza nemmeno per esperienza personale di cosa possa essere necessario in quanto loro stessi hanno navigato sempre nel pressapochismo di altri. Un allenatore di atletica ha il diploma dell'Isef che equivale ad una laurea universitaria, o è maestro dello sport, la speciale scuola romana che dà indirizzi diversi ai suoi allievi orientandoli nei vari settori. Ci sono i « maestri » anche per il calcio, ma in numero infinitesimale, sei in tutto per un mercato italiano che ha almeno una sessantina di squadre a livello professionistico. L'unico inserito è Begnis, nel Varese calcio, ma nel Varese basket (cioè nell'lgnis) c'è Assi, cosi come in tutte le altre squadre di pallacanestro — un gioco di squadra dagli schemi ancora più rigorosi e complessi che non quelli del calcio, e dai fondamentali addirittura ardui da rendere automatici — c'è accanto all'allenatore un preparatore atletico. Cesare Rubini, il •• principe » della pallacanestro nazionale non si accontenta di tutto questo. Ha preso contatti con Benzi chiedendogli per la sua Innocenti una collaborazione diretta a partire da questa estate, dalla fase di riposo degli atleti. Rubini è stato cestista e pallanuotista di valore assoluto, conosce bene questi sport di squadra, entrambi quanto mai assimilabili al calcio. Si rifa ad essi per parlare di calcio: « Alla base di ogni fatto sportivo c'è la condizione atletica. Nel nuo¬ vo gioco del calcio così come nel basket o nella pallanuoto c'è un solo uomo con ruolo e compiti limitati, da noi il centro, negli altri il portiere. Chi resta deve saper giocare e basta. Difendere e attaccare, e poi soprattutto avere chiara la esecuzione di tutti i " fondamentali ". In Italia siamo ancora legati al terzino d'ala, e allo stopper, oppure alla punta e alla mezza punta. Per non parlare poi della punta che ha soltanto il piede sinistro, o cose simili ». L'atleta è sempre più perfetto dappertutto, persino negli sport che accusano il peso di una mancanza di attualità come il ciclismo. Nino Defilippis lo ricorderanno molti torinesi nel ruolo di capitano della squadra dei ciclisti eterna rivale di quella dei giornalisti in confronti calcistici aberranti sul piano della tecnica. Eppure... « Allora non sapevamo proprio toccare un pallone — ricorda con un sorriso — ma vi battevamo qualche volta perché correvamo avanti e indietro come dei matti. Eppure mettessi in campo i ciclisti di oggi scopriresti che noi eravamo nessuno su un piano atletico, e che la differenza di allora è diventata un abisso. Sarebbero in definitiva tutti " polacchi " e vincerebbero sempre, lo quando sono tornato al ciclismo dopo otto anni di assenza totale sono piombato in un mondo nuovo. Certo la bicicletta ha due ruote, ma l'identità con i miei tempi finiva lì. Organizzazione in corsa, tattiche, modifica alla pedalata, tabelle dietetiche e un'attività di dodici mesi all'anno con l'inverno dedicato al potenziamento. Un calciatore che faccia allenamento con i pesi, io non l'ho mai visto ». // « cit » che è anche c. t. del ciclismo Italiano non resiste alla tentazione della critica, non lo ha mai fatto del resto quand'era in attività procurandosi guai ma anche tanta simpatia, figuriamoci adesso. « E poi credete che non ci siano difetti d'origine? Valcareggi ha avuto pressioni da destra e da sinistra, da sotto e da sopra. Ha preso quello che le società, il sistema federale calcistico hanno voluto dargli e non ha certo avuto la possibilità di manovrare almeno quel materiale come meglio credeva, lo ho fatto una squadra per i campionati del mondo che sembrava a tutti folle, poi però abbiamo vinto. Merito mio? No, ma nemmeno colpa. Il merito vero oltre che di un campione come Gimondi è di tutto un ambiente che cambia e produce ciclisti che per la gran maggioranza sono anche atleti ». Per formare l'atleta, per drizzare la schiena a Chinaglia, o Irrobustire Rivera, il calcio non basta. I ragazzini vengono assorbiti nel Nagc a dodici anni corricchiano, saltellano, la brutta copia di quanto fanno i calciatori professionisti. Invece sono altre le discipline propedeutiche: la ginnastica, ma non ci sono palestre, l'atletica, mancano campi e istruttori, il nuoto, e le piscine sono rare o riservatissime, il canottaggio. Forse le minori difficoltà sono proprio per questo strano sport * seduto ' che riesce ad impegnare ogni fascia muscolare del corpo. Il canottaggio è rimasto in letargo per anni e decenni, ora cerca una ripresa sotto la guida di un presidente giovane, D'Aloja. « Nello sport bisogna togliere spazio all'empirismo e portarsi verso la scienza. Noi lavoriamo in diretta collaborazione con l'Istituto di Medicina dello sport di Roma. Abbiamo macchine come il voga-ergometro che ci permettono di misurare ventilazione e capacità cardiache dell'atleta ». Fatica e razze La fatica, lo sforzo forse sono più adatti ad altre razze. E' un'Ipotesi allettante, poiché giustificherebbe molto se non tutto. « Non diciamo sciocchezze — dice D'Aloja —, il canottaggio è con pallanuoto e sci da fondo lo sport più faticoso e noi abbiamo vinto tanto in tutte tre le specialità. Sono giustificazioni di un giornalismo da terza pagina, il peggior qualunquismo ». « Noi fatichiamo più degli altri — dice Giuliano Besson campione d'Italia di discesa libera — ma siamo convinti dì doverlo fare e i risultati ci danno ragione. I calciatori sono divi coccolati. Con i quattrini i dirigenti comprano l'atleta e forse l'uomo, ma perdono ogni credibilità nei suoi confronti ». Mario Cotelli, d. t. della Nazionale di sci: « Ci vogliono del professionisti alla guida dello sport. Nelle società di calcio chi comanda è il " ducetto " locale. Il tecnico deve avere sempre le valigie pronte sull'uscio di casa ». Cesare Rubini: « Se nel basket accadesse come nel calcio che i dirigenti prevalgono sui tecnici, ci sarebbe un tecnico di meno perché io me ne andrei subito. Nel calcio bisogna voltar pagina, ci vuole il coraggio e la volontà per farlo. Non credo ci saranno né l'uno né l'altra ». Giorgio Viglino

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