Vent'anni, in nome di Goethe
Vent'anni, in nome di Goethe Vent'anni, in nome di Goethe L'Istituto culturale tedesco: una presenza vivace e affabile a Torino Il Goethe-Institut di Torino compie vent'anni. Dice Rudolf Jockel, che da nove ne ha la direzione: «Ho cercato di farne una vetrina del mio Paese e non credo di sembrare presuntuoso pensando che forse, se oggi sparisse, mancherebbe qualcosa alla vita della città». Un giudizio sereno, largamente condiviso: «Si pensi — dice Aldo Passoni, vicedirettore dei musei civici — a quante iniziative nel campo della musica, del teatro, del cinema, della pittura l'Istituto ha realizzato, unendo indissolubilmente il pròprìo'nome a quello della vita culturale torinese, inserendosi nel suo tessuto, diventando un luogo denso di incontri e di fervore». Soltanto dieci anni fa, la sede era ancora quella modesta, quasi angusta, di via Donati: oggi occupa due interi piani di uno dei più prestigiosi palazzi di piazza San Carlo, tiene 46 corsi di lingua, frequentati da 850 studenti, offre una biblioteca di seimila volumi e 500 dischi di letteratura e musica, organizza manifestazioni che trascendono la normale «routine» dei rapporti culturali tra due Paesi. Basti ricordare, per citare soltanto le più recenti, la commemorazione di Schoenberg; l'esecuzione completa dell'Arte della Fuga sull'organo dell'Istituto Lasalle; le serate dedicate ai Lieder; i frequenti dibattiti su argomenti letterari, scientifici e sociali; la rappresentazione del «Caso Oppenheimer» di Heinar Kipphardt, con le due sere di discussioni sul teatro impegnato; le mostre che hanno fatto conoscere artisti come Jean Leppien, Hans Richter, Erich Keller, Walter Dexel, Etich Bucholz. Almeno cinque o seimila torinesi hanno finito per ruotare abitualmente nell'ambito culturale del Goethe-Institut. Non è stata un'impresa facile. Se è' riuscita, molto si deve alle doti umane di questo tedesco del Reno, pacioso e arguto, allegro buongustaio, che preferisce una bottiglia di Barbaresco a un boccale di birra e il calembour alla discussione filosofica, legge ogni giorno almeno tre giornali italiani e segue diligentemente perfino la televisione, parla con terribile accento un italiano perfetto, addirittura ricercato nella scelta dei vocaboli e dice: «Non mi sento straniero, né ospite, ma ormai completamente integrato in questo Paese». Nove anni fa, quando ha assunto l'incarico, si è trovato di fronte a ostacoli che potevano apparire insuperabili. Quale è stato il più arduo? Scoppia in una risata allegra: «Ma quello di tutti i torinesi: farmi ricevere dall'inavvicinabile direttore de "La Stampa", De Benedetti». In realtà, ha dovuto affrontare con pazienza una città non soltanto orientata, per ragioni geografiche e per lunga tradizione, verso la cultura francese, ma un ambiente umano con molte ferite ancora aperte dalla guerra. Improvvisamente serio, Rudolf Jockel dice: «Sì, all'inizio c'era soprattutto questo: strascichi dolorosi, risentimenti. Ho scelto l'unica strada possibile: essere me stesso, chiedere di essere accettato semplicemente, come creatura umana. Oggi sono orgoglioso del fatto che molti dei miei migliori amici sono comandanti partigiani o antifascisti». Forse soprattutto per questo, il «giubileo» del Goethe-Institut ha il significato di una testimonianza di pace fra uomini di buona volontà, g. mart.
Luoghi citati: Barbaresco, Torino
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