Einaudi più volte maestro di Piero Gobetti
Einaudi più volte maestro A TORINO NEL CENTENARIO DELLA NASCITA Einaudi più volte maestro Amici e allievi hanno ricordato in lui l'economista, il Presidente e l'agricoltore « L'uomo, appena conosciuto, ispira una istintiva fiducia», scrisse Piero Gobetti del « maestro » Luigi Einaudi nel lontano '22, su uno dei primi numeri della Rivoluzione liberale. La grandezza dell'economista, dello studioso appassionato e intransigente, del cittadino esemplare, del futuro primo Presidente della Repubblica italiana nei giorni della ricostruzione nazionale, appariva ai suoi allievi dell'ateneo torinese in una veste familiare, fatta di comunicazione immediata, di quella grande virtù che è la comprensione. « Da lui si apprendeva una morale antica, espressione delle maggiori nostre virtù patrie », ricorda ora Passerin d'Entrèves, riandando con la mente e non senza commozione agli incontri del giovedì sera, nella casa di via Lamarmora, dove non mancava mai un buon bicchiere di vino langarolo. I discepoli — fra essi, oltre a Gobetti, Togliatti, e Gramsci, che pur iscritto a un'altra facoltà seguiva i suoi corsi, e ancora Carlo Rosselli, Raffaele Mattioli — riconoscevano a Luigi Einaudi una qualità senza pari: riuscire a rendere facili le cose difficili, per una naturale predisposizione alla concretezza, per un legame mai disciolto con la realtà. Il politico, il giornalista, l'accademico, lo statista, ogni aspetto della sua personalità, si illuminava della modestia e della semplicità dell'uomo. Nell'anno centenario della sua nascita, l'Accademia delle Scienze di Torino ha voluto commemorare Einaudi ricordando alcune particolarità significative del suo « essere uomo », maestro di vita al di là della ricchezza del suo sapere. Tenace nel portare avanti un decennio dopo l'altro la sua fatica, testimoniata da circa quattromila scritti, frutto di esperienze e di un approfondimento costante, prevalse in lui certamente l'uomo di scienza. Ma l'« esempio del vivere » comunicato al prossimo non è stato da meno, segnalandosi per doti perspicue di dirittura morale. La commemorazione si è aperta con un saluto del presidente dell'Accademia prof. Tricomi, che ha ricordato l'Einaudi socio, dal 1910, del prestigioso consesso, e soprattutto l'Einaudi tesoriere ed amministratore fin dal 1931. « Maggiormente — ha aggiunto — Einaudi ha inciso nella vita dell'Accademia, alla sua ricostituzione dopo il '45». Il prof. Federico Caffè ha quindi tratteggiato l'influenza avuta dallo studioso in vari campi, « ognuno dei quali avrebbe bisogno di uno specialista per analizzarlo ». L'attività pubblicistica e l'insegnamento universitario, la sua posizione di « anticipatore » del ruolo dell'Europa, contengono moniti validissimi per l'epoca presente. Che dire dell'austerità, predicata da Einaudi, come dovere civico? Il prof. Francesco Repaci, che successe alla cattedra di Einaudi, ha ricordato come 10 conobbe nel 1910: « Frequentavo le sue lezioni, poi ebbi bisogno di lui per la tesi. Non trovavo libri, riviste. Mi disse: " Venga a casa mia" ». Nel '19 tornato dalla guerra « sbandato, in cerca di occupazione », Repaci seppe che il « maestro » aveva urgenza di uno stenografo: « Ci andai subito, cominciò una lunga dimestichezza, a casa e nella redazione di Riforma sociale ». Aggiunge: « Per me Einaudi è stato tutto, mi ispirò persino l'amore alla montagna ». Ricordi che affiorano da lontano, altri più recenti. Manlio Brosio parla del «presidente», del suo interesse per 11 lavoro dei diplomatici. Cita un aneddoto: « Un ambasciatore un giorno, parlando di uno Stato che non nomino, disse che era "un Paese di grande forza e soprattutto dì contrabbandieri". Einaudi uscì in una delle sue tipiche battute: "Lei voleva dire Paese di liberi scambisti"». Einaudi agricoltore. Il senatore Giuseppe Medici ne ha tracciato un profilo appassionato: « Il mondo dell'agricoltura, la coltivazione della buona terra erano come un piacere per lui. Non era un agricoltore della domenica, "sentiva" le piante, le viti. La campagna come un oziare operando, secondo il precetto leonardesco che "riposo è mutar fatica"». Sull'argomento è tornato Passerin d'Entrèves: «Einau¬ di coltivò il mito della terra, ricordò l'opera tacita che la terra compie da sé, rifiutando i suoi frutti a chi non li merita. In lui fu sempre una vena schiettamente paesana; l'uomo che pareva ed era tutto ragione fu anche un grande sentimentale». E che dire dell'Einaudi collezionista? Il prof. Vittorio Viale, sul filo dei ricordi, si è soffermato sull'attenzione che il Presidente e donna Ida hanno dedicato alle «cose d'arte» piemontesi e torinesi: mobili bellissimi, le meravigliose « porcellane di Vinovo », loro gioia ed orgoglio. La commemorazione si è chiusa con un ritratto di Einaudi « bibliofilo », « savio, avveduto, lungimirante », come ha detto il prof. Luigi Firpo. Mille e mille cimeli preziosi fanno fede dell'«amor di libro» einaudiano: storia piemontese e sabauda, una sterminata raccolta di economia, innumerevoli « edizioni originali ». Anche da quelle scelte, e dall'infinita pazienza profusa in tutta la vita, emerge una caratteristica qualità dell'uomo Einaudi, la sua lezione circa il « senso del farsi della storia ». La celebrazione del centenario della nascita proseguirà oggi, alla Fondazione Einaudi, con due tavole rotonde sui temi del « reddito imponibile » (comunicazioni di Francesco Forte e Sergio Steve) e « sul modo di scrivere la storia delle idee e delle istituzioni economiche » (comunicazione introduttiva di Rosario Romeo). Antonio De Vito
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