Oggi si può ancora credere ai Vangeli?

Oggi si può ancora credere ai Vangeli? Oggi si può ancora credere ai Vangeli? Il quesito, in questi termini, se lo pone padre Carlo Martini S.J. in un opuscolo intitolato I Vangeli - storia o leggenda? In testa, è un passo della Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II: «La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima che i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitanza la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita fra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza ». Ma il paragrafo dell'opuscolo, che segue immediatamente, pone appunto il quesito: «Si può ancora credere ai Vangeli? ». Una volta, le obiezioni al valore storico dei Vangeli venivano fatte da chi era fuori della Chiesa, anzi dagli avversari del Cristianesimo. E nessuno si stupiva che uomini non credenti mettessero in dubbio i fatti della vita di Gesù o l'autenticità delle sue parole. Ma, oggi, la situazione è cambiata: è all'interno della Chiesa che si sentono voci di dubbio e domande inquiete. La moderna scienza storica, i progressi della esegesi biblica, gli attuali metodi di interpretazione non hanno forse dimostrato che le posizioni difese per tanti secoli non sono più difendibili e devono essere abbandonate, se la Chiesa vuole ascoltare la voce della scienza e non restare in una posizione arretrata? Come mai, alla fiducia, che si aveva una volta nella veridicità dei Vangeli, è succeduto il dubbio o addirittura la negazione? Il motivo principale è questo. Una volta, si credeva che gli autori o, meglio, i redattori dei Vangeli fossero stati testimoni dei fatti che avevano narrati o per lo meno ne avessero avuto notizia da vicino. E, poiché non avevano alcun motivo per ingannare, ed erano per la loro santità in tutto degni di fede, si riteneva che la loro opera fosse documento storico ineccepibile. Senonché, appena si cominciò a studiare i Vangeli dal punto di vista critico, e non più da quello della fede, si constatò che, a parte il quarto, che è troppo diverso dai primi tre, questi ultimi, che sono detti « sinottici », in alcune parti concordano, in altre differiscono l'uno dall'altro più o meno profondamente. Come si spiegano le concordanze? I tre Evangelisti hanno utilizzato un testo ora perduto? O due di essi hanno utilizzato il terzo? E, dei tre, chi è il primo, che è servito come « fonte » agli altri due? E come si spiegano le divergenze? Hanno i tre Evangelisti attinto da fonti diverse? O hanno elaborato in modi diversi lo stesso materiale? Gli studi e le ricerche di più generazioni riuscirono a stabilire alcuni punti, che oggi si possono tenere per abbastanza certi. Il primo è che nessuno dei tre sinottici proviene da un discepolo di Gesù o da un appartenente alla comunità primitiva. Tutti provengono dalle comunità greche. ★ ★ Il secondo punto è che nessuno dei tre Vangeli fu scritto subito dopo la morte di Gesù: Marco fu scritto originariamente in greco, non si può stabilire se prima o subito dopo il 70 (la caduta di Gerusalemme); Matteo e Luca furono scritti fra il 70 e il 100; Giovanni verso la fine del primo secolo. Terzo punto: l'ipotesi della doppia fonte è oggi generalmente accettata. Una delle due fonti sarebbe Marco, o forse una redazione primitiva di Marco, oggi perduta: Urmarkus o Protomarcus. L'altra fonte sarebbe una raccolta di detti di Gesù, Logia, che circolava fra le comunità: si suole designarla con la lettera « Q », iniziale del vocabolo tedesco Quelle, fonte. Non si sa se Marco abbia attinto da fonti scritte o solo dalla tradizione orale. Non si sa se Matteo e Luca, oltre alle due fonti suddette, abbiano utilizzato anche altre fonti. In altri termini, c'è una parte comune a tutti e tre i Vangeli, e questa si ammette che provenga da Marco. C'è una parte comune a Matteo e a Luca, e questa probabilmente proviene da Q. Poi, ci sono pezzi esclusivi di Matteo e altri esclusivi di Luca, e questi non si sa se provengano da altre fonti (nel qual caso si dovrebbe parlare non di duplice, ma di quadruplice fonte) o dalla tradizione orale. Neppure si sa se Q circolasse fra le comunità in una unica versione o in diverse versioni, l'una registrante qualche cosa di più, l'altra qualche cosa di meno. I Vangeli, dunque, ebbero tutti una preistoria, e cioè per un periodo di vari decenni non ci fu che la tradizione orale. E si sa che la tradizione orale altera o modifica il materiale che trasmette. C'è di più. I redattori dei Vangeli non furono testimoni o storici imparziali, né si proposero di fare opera storica obiettiva e imparziale. Sono credenti, che vogliono persuadere e convertire altri alla loro fede. Perciò i Vangeli sono opera di fede, non opera di storia. Stabilita l'ipotesi delle due fonti — Me e Q —, si senti il bisogno di indagare la preistoria dei Vangeli, ossia il periodo della tradizione orale, la predicazione missionaria, la controversia con i giudei, il culto, la catechesi dei convertiti, ecc. Un grande contributo a questo studio ha dato la Vormgeschichliche Methode. Si può fissare la data di nascita di questo metodo fra il '19 e il '21, quando quasi contemporaneamente vennero fuori tre opere — l'una di K. L. Schmidt, l'altra di M. Dibelius, la terza di R. Bultmann. Come ho detto, esso cerca di fare la storia del materiale evangelico nel periodo della trasmissione orale dal momento in cui si formò la tradizione fino alla fissazione in iscritto nei Vangeli sinottici, di riconoscere se i singoli passi presentino i tratti di una tradizione primaria o di una secondaria, e del lavoro redazionale degli Evangelisti. ★ ★ I Vangeli hanno i caratteri della letteratura popolare, mancano di unità organica, sono formati da piccoli frammenti, originariamente isolati, poi riuniti in cicli. Le piccole forme letterarie sono frutto della tradizione orale collettiva, creata e trasformata dalla comunità primitiva. I narratori non fanno grandi descrizioni, ma piccoli quadri, piccole scene. I racconti si stendono sempre su un breve spazio di tempo, due o tre giorni al massimo, eccettuato il racconto della Passione. Generalmente parlano due, al più tre persone, perché il narratore, data la sua semplicità, non sa riferire eventi complicati (Bultmann). I singoli frammenti non hanno il loro Sitz im Leben, la loro sede nella vita, nella vita di Gesù, ossia le narrazioni e sentenze evangeliche non corri¬ spondono alle condizioni in cui dovette svolgersi la vita di Gesù. La « sede vitale » sono le condizioni della vita religiosa della comunità primitiva, in particolare la stessa primitiva predicazione (quella missionaria, la liturgica e parenetica, e la istruzione catechetica, apologetica, polemica) e la disciplina della comunità. (P. Zedda -1 Vangeli e la critica oggi, voi. II - Editrice Trevigiana, Treviso). Il materiale evangelico è raccolto in forme di generi letterari determinati. Dibelius distingueva sei « forme », tre nella predicazione dei « ministri della parola », ossia il racconto della Passione, i paradigmi (racconti molto brevi) e i detti sapienziali di Gesù; e tre nei narratori: le novelle (racconti circostanziati di miracoli), le leggende (racconti di altri fatti, p. es. le tentazioni, la trasfigurazione) e le parenesi, raccolte di sentenze. Bultmann distingue: (a) racconti di prodigi; (b) apoftegmi, detti di Gesù con una piccola scena (corrispondenti ai paradigmi di Dibelius); (c) detti di Gesù che ricevono il loro significato dal contesto in cui si trovano (a volte l'Evangelista ha cambiato o taciuto il contesto e il detto è diventato incomprensibile); (d) parole di Gesù; (e) detti profetici e apocalittici; (f) parole di Gesù sulla legge; (g) parole di Gesù su argomenti vari. Il valore storico (l'autenticità) è diverso secondo le varie forme. Secondo Dibelius, è possibile che i paradigmi, data la loro brevità, siano stati conservati nella loro integrità primitiva: ma anche di essi ci può essere stata «interpretazione»; poco valore storico hanno le « novelle », e ancora meno ne hanno le « leggende ». Bultmann è molto più radicale e scettico di Dibelius. Egli attribuisce tutto o quasi tutto alla « comunità creatrice »: « Non c'è detto di Gesù della cui autenticità si possa essere certi ». Queste le posizioni iniziali. Poi, Bultmann è arrivato a dichiarare che non gli importa del Gesù « secondo la carne ». « Ciò che Gesù è stato io non posso e non voglio saperlo ». Che è quasi la negazione del Gesù storico. Non c'è che il Cristo della fede. Augusto Guerriero

Luoghi citati: Gerusalemme, Treviso