L'odissea di un professore contestato perché spastico di Luciano Curino

L'odissea di un professore contestato perché spastico Un uomo che lotta per essere "uguale,, agli altri L'odissea di un professore contestato perché spastico Allievi e genitori, concordi, vogliono che sia sospeso dall'insegnamento - Dicono: "Quando parla non è chiaro" - "Con l'aiuto dei ragazzi avremmo potuto svolgere bene il programma" ribatte l'insegnante (Dal nostro inviato speciale) Genzano di Lucania, giugno. Il professore è spastico, gli allievi sono stati compatti contro di lui. Il professore Alfieri non riesce a controllare i movimenti della testa, delle braccia e delle gambe, insomma non coordina i movimenti dei muscoli, è inchiodato su una sedia a rotelle, parla con difficoltà. I ragazzi lo hanno rifiutato. Mi dice il professore: «Lei capisce che lo studio della matematica ha bisogno della lavagna. Lei si accorge che io non posso servirmi della lavagna, non riesco a scrivervi col gesso. Ma con la collaborazione dei ragazzi si sarebbe potuto svolgere bene il programma». Dapprima collaborazione c'è stata, poi è finita: contestazione, scioperi, ultimatum. Il caso non è chiuso. Verrà l'autunno e si riaprirà la scuola, e .già il comitato dei genitori ipotizza il ritiro dei figli dal liceo se vi sarà ancora il professore spastico. Mi dice Alfieri: «Ho quarantanni e ho lottato duramente contro l'emarginazione. Avevo appena vinto e già vogliono ricacciarmi indietro. Ma l'insegnamento per me significa indipendenza, è la vita ». Si preoccupa: « Scrive di questo mio caso? Senta, non voglio della compassione. Non farà mica una storia patetica?». No. E' semplicemente la storia di un uomo disgraziato che non si rassegna, vuol conquistare il diritto «a vivere», ma deve lottare in un mondo che è quel che è. Guglielmo Alfieri, figlio di un ingegnere e di una professoressa, nasce rovinato da una lesione cerebrale. Una condanna a vita. Ha intelligenza superiore alla media e parecchio coraggio («Sono un tipo abbastanza coraggioso» mi dice) e vince il pessimismo, non vuol restare nascosto in casa ma essere accettato dagli altri per quanto vale. Ottiene la maturità liceale con la media dell'otto, si laurea con pari successo. Si dedica alla ricerca e ottiene borse di studio dal Comitato nazionale per la ricerca, pubblica notevoli lavori scientifici. «Non mi bastava, perché mi sentivo emarginato dalla vera vita » dice. Crede di poter insegnare e prepara gli esami di abilitazione. Risulta sesto assoluto in graduatoria in una città come Milano e, per l'anno scolastico 1967, gli assegnano la cattedra di matematica e fìsica al « Liceo scientifico Einstein». E qui incominciano le umiliazioni. «Appena il preside ha saputo che era stato nominato un insegnante spastico, non ha nemmeno voluto vedermi, ma è corso al provveditorato per farmi sottoporre a visita fiscale» ricorda il prof. Alfieri. Non si sa bene perché, lo visitano in un ospedale militare, quello di Baggio, quasi si dovesse valutare l'idoneità di un paracadutista o di un guastatore. «Dopo la visita, il colonnello medico non mi ha detto nulla, ha parlato con i miei genitori e ha consigliato di lasciar perdere, che non gli sembrava il caso, gli studenti mi avrebbero messo alla berlina». Dunque, niente «Einstein». Il professore ritorna fra gli handicappati, diventa consigliere nazionale dell'Aias (Associazione nazionale per l'assistenza agli spastici), è direttore del loro giornale, «Con voi». «Una vita attiva, se vogliamo. Partecipavo a convegni anche all'estero. Ma era pur sempre un lavoro protetto, e io volevo inserirmi nella società dei normali». Ritenta con la scuola, e stavolta, per evitare pressioni ed essere assolutamente indipendente, lascia la famiglia. Presenta domanda al provveditorato di Potenza, dove si è trasferito, concorre con buoni titoli, riesce, è assegnato al liceo scientifico di Genzano. Genzano di Lucania è un grosso paese agricolo che si sporge sul Tavoliere pugliese. Un'economia molto bassa, c in cinque o sei anni l'emigrazione lo ha svuotato di un terzo degli abitanti, che ora sono 6500. E' gente molto gentile. A Genzano vi è un liceo statale che raccoglie studenti anche di altre cittadine: Palazzo, Banzi, Oppido Lucano, Acerenza. Un edifìcio con il solo piano terreno, senza gradini e quindi ideale per il professor Alfieri, che deve essere spinto in carozzella. «Ho chiesto la terza, la quarta e la quinta, le ultime tre classi, pensando che agli studenti più grandi la mia infermità avrebbe fatto meno impressione. Devo dire che per qualche tempo i ragazzi hanno collaborato al massimo. E' stata una bella esperienza, che ha dimostrato la piena possibilità di collaborazione tra insegnante e allievi. Avevo finalmente conquistato la mia indipendenza, che era molto condizionata, però era un modo di vivere responsabile». La contestazione parte dalla quinta: undici ragazze e nove giovani. «Ho intuito che qualcosa non andava verso la fine del primo trimestre». Malumori e proteste arrivano al provveditorato, che invita Alfieri a sottoporsi a visita medica. «Ho rifiutato. In linea di principio non mi pareva giusto che un medico provinciale dovesse decidere se io ero idoneo o no all'insegnamento». Viene un ispettore ministeriale, assiste a tre lezioni in classe e stende un rapporto: «Pur con delle limitazioni, il professor Alfieri fa scuola. Se gli alunni stanno zitti, riescono a seguirlo perfettamente. Se fanno chiasso o se si rifiutano di seguirlo, è naturale che non riescano a combinare nulla. Ma questo capita con qualsiasi professore». L'assoluzione dell'ispettore non è accettata dagli allievi, spalleggiati dai genitori: «Signor preside, guardi, qui non si va avanti». Non vogliono Alfieri quelli della quinta, preoccupati dell'esame che si avvicina. Parlo con alcuni allievi e mi dicono: «Non lo capivamo o lo capivamo con troppa fatica. Eravamo indietro nel programma, dovevamo prendere lezioni private». Risponde il professore: «Dicono che non mi capivano? Ma al di fuori della scuola con questi ragazzi ragionavo degli argomenti più disparati, di politica, di psicologia, di sociologia, e mi capivano benissimo». Mi dice il parroco, don Peppino: «Ho assistito a qualche lezione. L'Alfieri conosceva bene la materia. Ma non scriveva alla lavagna. E un teorema, si sa, ha bisogno della lavagna. Così, lui dettava i vari passaggi e un ragazzo tracciava e scriveva col gesso. Certo, ci voleva più tempo... Il programma era un po' sacrificato...». Risponde il professore: «Se la classe mi avesse seguito con attenzione, il programma lo avremmo svolto bene». Stiamo parlando nella sua stanzetta, piena di libri: matematica, astronomia, poeti contemporanei, molto Proust, opere di filosofia. Quando sono arrivato, Alfieri leggeva «Il futuro dei sindacati». Da un po' parliamo e lo capisco, se non benissimo, almeno bene. Dice: «I ragazzi hanno scioperato. La contestazione è stata presa in mano dal comitato dei genitori, si sono tenute assemblee ma io non ero invitato». Vede la quinta svuotarsi giorno per giorno. «Dai primi di maggio non è più venuto nessuno». Vorrei dire di quel mattino quando il professore è stato spinto in carrozzella nell'aula della quinta e l'ha vista vuota, ma Alfieri chiede che questo articolo non sia patetico. «La quinta, professore, dice che aveva l'esame. Ma la quarta e la terza l'hanno accettata?». «Mica tanto. Ho capito che anche loro incominciavano ad avere qualche perplessità». «E allora: si arrende?». «No davvero. Sono stato abilitato all'insegnamento, faccio lezione come tutti i professori. Quello che i ragazzi e le loro famiglie contestano non è l'insegnamento, ma il professore spastico». A Genzano tutti mi ripetono: «Un caso umano che trova la nostra solidarietà, però...». Continua Alfieri: «Però in sostanza il loro discorso è que¬ sto: gli spastici devono essere aiutati e compresi, ma devono rimanere negli istituti, nei ghetti creati per loro, non devono venire a disturbare il nostro mondo». Dice: «No, non mi arrendo. Insegnare è molto importante perché mi dà l'indipendenza. E non mi arrendo perché sto lottando anche per gli altri spastici, tutti quelli emarginati». Parlo con il preside del liceo, professor Martiello, e capisco che la battaglia di Alfieri sarà difficile. «Preside, che cosa accadrà ora?». «Non lo so proprio. In linea di massima il professor Alfieri entrerà in ruolo, in questo caso il comitato dei genitori minaccia il ritiro dei figli dalla scuola. Il paese mi sì è messo contro, ma io cosa potevo fare? L'Alfieri è arrivato con regolare nomina e non potevo respingisrlo, avevo il dovere di aprirgli la scuola. Io non ho sbagliato, è Milano che ha sbagliato». A Genzano sanno che il preside dell'«Einstein» non ha voluto l'insegnante spastico e protestano: «Perché a Milano no e qui sì? ». Dice il preside Martiello: «Nei giovani la contestazione nasce da ragioni emotive e didattiche. Ma negli adulti c'è netto rifiuto: perché noi sì se Milano ha detto no?». Osserva il professor Alfieri: « Purtroppo la cosa è diventata una questione di principio, di puntiglio ». Luciano Curino

Luoghi citati: Acerenza, Genzano Di Lucania, Milano, Potenza