Ciò che gl' italiani non capiranno

Ciò che gl' italiani non capiranno Ciò che gl' italiani non capiranno Gli Italiani, di fronte alla no-1 tizia che i partiti di governo | hanno raggiunto l'accordo sulla | politica economica e che pertanto la crisi ministeriale è rientrata, non sapranno se rallegrarsi o irritarsi. O forse si rallegreranno e irriteranno insieme. Il sollievo è istintivo in un momento di così grandi tensioni, con i prezzi che continuano ad aumentare a ritmo esplosivo, con la bilancia dei pagamenti che accumula deficit paurosi e il rischio evidente che ad un certo momento l'Italia non trovi più chi le fa credito e si veda costretta a drastiche, drammatiche misure di restrizione delle importazioni. Non occorre essere degli esperti per comprendere che un'economia come la nostra, di pura trasformazione, basata tutta sull'importazione di certi beni e l'esportazione di altri beni, rischia la paralisi nel momento in cui non esportiamo più quanto occorre per assicurarci quel petrolio, quelle materie prime, quei macchinari che sono necessari per far lavorare le nostre industrie. Gl'Italiani sanno anche che non abbiamo più molto tempo per riportare verso l'equilibrio i nostri conti con l'estero: tutti hanno in mente l'immagine del bilancio d'una famiglia, un bilancio dissestato, che rende necessari per un certo tempo prestiti e aiuti, ma che deve, visibilmente, avviarsi di nuovo al pareggio se si vuole che i prestiti e gli aiuti ancora necessari continuino intanto ad affluire. Dunque, se certe misure economiche severe, che costeranno molto a tutti (l'aumento delle tasse, l'aumento di molte tariffe) sono una malaugurata necessità; se occorre in questo modo ridurre, concretamente, il tenore di vita degl'Italiani, perché così importeremo di meno, e le nostre industrie saranno invece stimolate ad esportare di più, queste sono necessità che il cittadino italiano è ben in grado di comprendere. Sapere che alcune di queste misure indispensabili e urgenti potranno essere adottate, ora che abbiamo di nuovo un governo in grado di funzionare, è dunque fondamentalmente cagione di sollievo, anche se le misure stesse colpiranno ciascuno di noi in modo poco piacevole. Ma vien fatto subito di chiedersi: se oggi è stato possibile mettersi d'accordo, perché dieci giorni fa si è invece fatta una crisi? Non era, quello, un tentativo di fuga dalle responsabilità, col quale i partiti di governo, e particolarmente i due principali litiganti, democristiani e socialisti, scaricavano sull'economia nazionale, e cioè sulle spalle di tutti, le loro manchevolezze? Questo accordo del 19 giugno non dimostra forse che la crisi del 10 giugno era un clamoroso errore, riparato più in fretta del previsto solo grazie al severo intervento del Presidente della Repubblica? Sollievo, dunque, ma anche irritazione, per un'inefficienza che riesce difficile giustificare. Non credano, i partiti di governo, che gl'Italiani provino oggi nei loro confronti molta gratitudine: nessuno ha dimenticato i lunghi mesi d'ingiustificata inazione, nessuno ignora che la malattia sarebbe stata meno grave, e la medicina meno amara, se si fosse provveduto prima a qualche intervento deciso. Non ci si stupisca quindi se, con questi precedenti, vi sarà anche un'attenzione minuziosa, alquanto sospettosa, nei confronti del « pacchetto » di misure economiche ora concordato, che attendiamo di conoscere nei dettagli, per poterlo giudicare. I sacrifici riusciranno sopportabili soltanto se saranno ispirati a evidenti criteri di giustizia: lo Stato sia severo con i cittadini che mancano al loro dovere, adottando misure di ec cezionale durezza contro gli èva- sori alle tasse. Lo Stato sia severo anche con se stesso: non si discute la necessità di un più forte prelievo fiscale, ma nessuno ignora che il prelievo potrebbe essere minore se nelle amministrazioni pubbliche non ci fosse tanto spreco di risorse. Va ricordato infine che nessuna politica economica può avere successo se essa non suscita fiducia. Il governo che si è ora faticosamente ricomposto (non sappiamo quanto solida sia la nuova intesa, e se i danni della « crisi mancata » siano stati interamente riparati) ha dunque, anzitutto, un dovere dominante: presentarsi subito al Parlamento, e attraverso il Parlamento al Paese, per spiegare ciò che è accaduto, per dibattere democraticamente con le opposizioni (oltre che con le forze sociali, sindacati ed imprenditori) le misure concordate, alla ricerca appunto del più vasto consenso possibile, necessario in un'emergenza. Non sarà compito facile, dopo dieci giorni di penosi pubblici contrasti: bisogna sperare che la coscienza delle difficoltà e dei grandi pericoli che il Paese affronta serva a stimolare a nuovo attivismo uomini politici che apparivano negli ultimi tempi, in misura preoccupante, stanchi e frastornati.

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