Nixon è partito da Amman Raid israeliano nel Libano di Igor Man

Nixon è partito da Amman Raid israeliano nel Libano Nixon è partito da Amman Raid israeliano nel Libano Rappresaglia contro l'ultima azione terroristica di fedayn - I colloqui del Presidente americano con Hussein: aiuti alla Giordania, resta il problema dei palestinesi (Dal nostro inviato speciale) Beirut, 18 giugno. Trentotto cacciabombardieri israeliani hanno attaccato oggi pomeriggio, a ondate successive, durante mezz'ora, l'Arkoub (Libano Sud), la cosiddetta Fatahland. Il raid, cominciato un'ora e mezzo prima che Nixon lasciasse Amman, suggella drammaticamente le dichiarazioni del Presidente americano a chiusura del suo viaggio in cinque Paesi del Medio Oriente (Egitto, Arabia Saudita, Siria, Israele, Giordania): «Siamo soltanto all'inizio di un lunghissimo cammino, ci attende un lavoro enormemente difficile ». Gli Stati Uniti svolgeranno « un ruolo attivo », agendo da intermediari, com'è nei voti dei Paesi visitati, i cui dirigenti «sanno bene che la guerra non risolve alcun problema ». Ma il controterrorismo aereo israeliano può risolvere il problema palestinese? Il presidente del comitato esecutivo dell'Olp, Arafat, ha ribadito che « la rivoluzione non deporrà le armi prima di aver realizzato il suo obiettivo: la costituzione di una patria palestinese ». La resistenza, ha aggiunto Arafat, « è ormai una potenza militare e polìtica del Medio Oriente », una « potenza », come scrive Al Moharrer, che non ha mai chiesto l'autorizzazione di chicchessia per condurre le sue operazioni contro Israele. « Avete mai visto, signor Nixon, dei " mercenari " forzare le difese di Israele per una operazionesuicida al servizio della patria? ». La maggior parte dei giornali libanesi condannano Nixon e il premier israeliano Rabin per avere definito, nel comunicato congiunto diffuso a Gerusalemme ieri, i fedayn « mercenari terroristi ». L'Orient le Jour, intitola su tutta la pagina: « Nixon invita i Paesi arabi a cessare ogni appoggio alla resistenza », « Nixon dà a Israele il via per aggredire il Libano ». Certo, scrive Al Nahar, il nodo palestinese è intricato e non può essere sciolto a breve scadenza, ma non si pongono le premesse di una soluzione con bombardamenti selvaggi e indiscriminati, i quali, oltretutto, come l'esperienza insegna, non servono a scoraggiare i fedayn. Lo prova l'attacco del 13 giugno — « in reazione alla visita di Nixon al Cairo » — contro il kibbuz di Kfar Shamir. « Per guadagnarsi la fiducia degli arabi, Nixon non deve dichiarare la guerra ai palestinesi, né lasciare che siano Israele e la Giordania a dirimere la questione ». Tuttavia, conclude il giornale, non v'è, in definitiva, contraddizione tra le prese di posizione di Nixon in certi Paesi arabi e le sue dichiarazioni in Israele. «Il sottile filo che le lega è la preoccupazione degli Stati Uniti di guadagnarsi la fiducia degli arabi senza "deludere" Israele. E questa è la coiidizione primaria per giungere alla pace ». Nixon ha accuratamente evitato di prendere impegni sul problema palestinese, anche con Hussein, benché ieri sera il re avesse affermato che la questione palestinese non riguarda solo la sistemazione dei profughi, « bensì il riconoscimento del diritto di un popolo intero a ritornare nella sua patria». Il sovrano aveva aggiunto che una volta sgomberata la Cisgiordania, « solo i palestinesi potranno decidere sul loro futuro: se rimanere con la Giordania, se stabilire una forma federativa o se creare uno Stato autonomo. La scelta spetta ai palestinesi e noi l'accetteremo qualunque essa sarà ». Questa inopinata apertura ai palestinesi è stata seguita da un'intransigente dichiarazione su Gerusalemme: « Il mondo arabo e tutto l'Islam sino all'Africa e all'Estremo Oriente non permetteranno mai che la Città Santa degli arabi resti sotto il dominio di Israele ». Ma Nixon ha ottenuto che nel comunicato congiunto non si parlasse né dei palestinesi né di Gerusalemme. Il dissenso tra Hussein e Nixon è evidente, ma in ultima analisi, il sovrano sarà rimasto pago della conferma della garanzia all'esistenza della Giordania contenuta nel comunicato finale: l'assistenza economica e militare al regime di Amman continuerà perché gli Stati Uniti sono convinti che « la potenza militare della Giordania è essenziale per l'ordine e la pace nel Medio Oriente ». La protezione garantita dagli S.U. consentirà a Hussein di affrontare il prossimo minivertice con Assad e Sadat in relativa tranquillità. Resta da vedere fino a quando il « piccolo re » potrà resistere alla pressione del movimento palestinese che stasera ironizza sul suo « lealismo dell'ultima ora ». Alla partenza di Nixon da Amman si è posto riparo ad una gustosa « gaffe » diplomatica: non è stata più suonata la « marcia della Washington Post », composta al principio del secolo da John Philip Souza, in onore della nascita del giornale più detestato da Nixon dopo lo scandalo di Watergate. In realtà sono gli Stati Uniti — grazie agli sforzi di Kissinger e di Nixon — i grandi vincitori della serrata partita giocatasi nel rapido volgere di una settimana. Dalla « cavalcata » di Nixon, l'America esce come « la vera potenza del Medio Oriente », ribaltando una situazione che vedeva in primo piano l'Urss e l'Europa. Senza avere abbandonato Israele, a cui è stato assicurato per la prima volta un aiuto militare a lungo termine e un'assistenza nucleare (il tutto per due miliardi di dollari), Washington ha compiuto un vero e proprio capolavoro diplomatico accattivandosi la fiducia di dirigenti arabi (come per esempio Assad che ha abbracciato Nixon), i quai, fino a ieri, sparavano colpi infuocati contro « il principale alleato dello Stato sionista ». Israele, da parte sua, si è reso conto, e lo scrive apertamente l'ufficiosa «Jerusalem Post», come la sua sopravvivenza dipenda esclusivamente dall'America, la sola potenza che abbia voluto contrastare le pressioni dell'Urss, che fornisca armi e i denari per acquistarle, che può assicurare l'immigrazione degli ebrei dall'Unione Sovietica e forse da altri Paesi (la Siria). Israele ha compreso che c'è un prezzo da pagare per tutto questo: larghe concessioni territoriali, ancorché « dolorose ». L'Egitto entra nell'era nucleare, la Siria accetta l'aiuto americano per porre mano alla sua faticosa ricostruzione, uscendo dalla difficile condizione di « riserva di caccia » dell'Unione Sovietica. L'Arabia Saudita assicurerà i rifornimenti energetici, contribuendo al risanamento della bilancia commerciale di Washington con l'acquisto di armi sofisticate. Nixon, ha compiuto un giro trionfale, ha ottenuto uno straordinario successo senza peraltro umiliare la Russia, destinata comunque a giocare un ruolo importante per il mantenimento dell'equilibrio nel Medio Oriente. Rimane però l'incognita palestinese; il problema resta drammaticamente aperto. Igor Man