La nostalgia del vescovo-principe di Stefano Reggiani

La nostalgia del vescovo-principe VIAGGIO NELLE PICCOLE CAPITALI: BRESSANONE La nostalgia del vescovo-principe Turbati per lo spostamento della diocesi a Bolzano, gli abitanti si consolano di questa ed altre frustrazioni con il turismo (Dal nostro inviato speciale) Bressanone, giugno. E' un bene che sia finito il potere temporale dei Papi, tutti sono d'accordo. Ma è altrettanto utile che sia tramontato il potere dei Vescovi? Nel resto d'Italia la domanda avrebbe il curioso suono di una nostalgia prereferendum, qui a Bressanone nasconde un problema storico. Per quasi otto secoli un vescovo-principe ha tenuto nelle sue mani le cose pubbliche e quelle religiose, con uguale fermezza. Soprattutto agli inizi la cura del governo non costituì un ostacolo alla santità. Artomanno e Alburno, Artovigo e Altovino sono consegnati alla devozione dei fedeli. Ma Brunone von Kirchberg e Matteo Konzmann si distinsero per un uso più disinvolto della spada che del pastorale; il primo s'impegnò contro potenti feudatari, il secondo consegnò in pratica il Tiralo agli Absburgo, intervenendo nella lotta fra i principi elettori (1363). Badessa litigiosa Perfino il saggio cardinale Nicolò Cusano fu coinvolto in un conflitto col duca Cigismondo e con la badessa Verena di Castelbadia, definita cautamente dagli storici « litigiosa» (1464). Per fortuna Cristoforo Andrea von Spaur, dopo la rivolta dei contadini, concesse nel 1604 uno statuto « dell'ordine e delle libertà ». Durò fino al 1803. Da allora i vescovi-principi, privati delle prerogative temporali, si rinchiusero nel palazzo della loro gloria, vicino alla piazza del Duomo, confortati dalla solidarietà devota dei sudditi. Fino a pochi anni fa, la cattedra di Bressanone era ancora coperta. C'era il vescovo Gargitter, duro d'orecchio e di carattere, figura tuttavia all'altezza dei predecessori, fiero della sua corte di canonici. Ma nel 1972 Gargitter è stato trasferito a Bolzano, sede della nuova diocesi dell'Alto Adige; ha portato con sé anche il vicario. Il palazzo è stato sprangato; le tradizioni messe da padnsappcrfpvedzsncnctscnsrdrntlasVsfcctptsammlcitv parte. Eppure sulla facciata del Duomo sta scritto: « Sancti Pontiflces, vestri gregis estote memores». Il Vaticano s'è dimenticato di quell'invito a ricordare i fedeli di Bressanone? «In stretta confidenza — dice un eminente canonico — le confesso di ritenere un vero scandalo questa insensibilità verso la storia e le tradizioni locali ». Dunque: è giusto togliere ogni segno dei vescoviprincipi? I cittadini di Bressanone, ancora turbati dalla perdita della capitale politica, temono che quest'ultimo affronto segni la completa decadenza anche delle « infrastrutture » principesche e una perdita di prestigio della città agli occhi dei turisti e degli ammiratori tedeschi. Qualche mese fa hanno raccolto le firme per una petizione: « torni il vescovo, torni la sua corte ecclesiastica». Ma non s'illudono. Gargitter resterà a Bolzano. A Bressanone resiste, dissimulata tra chiostri e seminari, ima seconda linea di canonici, disposti a testimoniare la loro fede in quella che è stata la capitale di tutto il Tirolo e che ha compreso fino a ieri nella sua diocesi anche Innsbruck. Il decano foraneo, mons. Habicher, sta in faccia al Duomo, il direttore del museo diocesano dott. Griiber abita in seminario, il sovrintendente ai monumenti della provincia, dottor Volfsgruber, fa il pendolare con Bolzano, per non abbandonare la sua trincea. II dottor Karl Volfsgruber sembra un La Pira nato in Val Pusteria, evangelico e sorridente, ma capace di profonde durezze. Dai tempi in cui faceva il precettore in collegio ha cons°rvato l'abitudine di abbracciare e di prendere per mano i suoi interlocutori, ma la complicità si ferma a quel punto. Dopo avere allestito uno splendido museo presso il Duomo (la migliore testimonianza dell'arte in Tirolo durante i secoli) ha deciso di convincere i suoi concittadini a riportare tutta Bressanone al suo volto storico. Un lavoro di eccezionale delicatezza, perché la città è apparentemente salva nella sua parte monumentale; ma il sovrintendente vuole che sia cancellata anche la minima manomissione. Ci riuscirà, senza il potere dei principi-vescovi, ma solo con quello delle sovrintendenze? Perfino il carattere valligiano e severo dei brissinesi teme la sua intransigenza. Qualcosa è mutato forse nella coscienza egemonica degli abitanti; nonostante la petizione in favore del vescovo, essi nell'intimo sono sedotti dal turismo e dai traffici oennessi. L'Abbazia di Novacella rappresenta il segno ideale di separazione tra i due mondi, quello della tradizione e quello degli affari. L'abate, monsignor Giener, ha fatto costruire da poco una nuova cantina per la vinificazione accanto all'antico corpo abbaziale e dice che il rispetto per l'ambiente non deve compromettere il lavoro di tanti contadini. Novacella ha ima splendida biblioteca e una bella chiesa, ma è frequentata soprattutto per il vino prodotto dai frati. Vengono i turisti e se ne ripartono con grandi scatole di bottiglie. Non bastano le viti dei frati per accontentarli: l'Abbazia è una industria enologica che rastrella il prodotto di tutti gli agricoltori della zona (le ultime viti della vallata, prima che comincino i boschi di aghifoglie). /I vino del convento Settanta contadini sono associati al convento, sessanta impiegati vi lavorano, quaranta frati sovrintendono all'azienda. La regola dei canonici di S. Agostino non è severa, dice l'abate Giener, S. Agostino era un uomo liberale. Certo, non si scandalizzerebbe a vedere i suoi monaci trasformati in produttori e commercianti di vino pregiato e di speck sopraffino. Ma il resto? Le tradizioni di preghiera e di cultura? Il ricordo dell'antico ruolo di capitale? « Siamo su un vulcano » dice monsignor Giener, che ha studiato a Vien¬ na ed ama le cose semplici. «J frati sono in numero inferiore all'organico, alcuni debbono occuparsi delle parrocchie che dipendono da noi, altri insegnano nella scuola media annessa al convento, altri, insofferenti, se ne vanno». C'è una crisi delle vocazioni, nessun confratello ubbidisce all'abate senza chiedere perché, i dipendenti laici avanzano richieste sindacali. « No — dice Giener — non siamo più un porto di saggezza ». I frati cercano di adeguarsi alle nuove esigenze; hanno inventato tra mille difficoltà la pastorale del turismo, intesa a recuperare anche i fedeli di passo alla meditazione. Giener pensa che l'Alto Adige sia contagiato dai mali di tutta Italia per naturale disposizione della gente, troppo meridionale rispetto ai confratelli del Nord Tirolo. Siamo su un vulcano, dice, e neppure i conventi sanno offrire armi efficaci. Dobbiamo dire che questo è il vulcano più sereno e attraente che abbiamo trovato, percorrendo l'Italia sismica. Tiene chiusi lava e lapilli sotto un manto di dossi verdeggianti, contro il fondale dolomitico. Una funivia conduce ai duemila metri della Plose, l'albergo Elefante offre agli ospiti la piscina, e in piazza del Duomo, al tramonto, corre leggero un odore di alberi e di muschi che copre il sentore degli arredi vescovili. Anche il problema etnico, fino a qualche anno fa insidioso, viene celato nel magma delle restanti frustrazioni. Gli abitanti di lingua italiana (un terzo del totale) si comportano con discrezione, evitando per finezza di imparare la lingua tedesca. Tutte le attività associate avvengono per doppioni, uguali negli scopi, diversi per parlata. C'è un sindaco altoatesino di nome italiano (Giacomuzzi) ed un vicesindaco italiano di suono tedesco (Asson). Ci sono ancora gli Schutzen, comandati dall'impiegato di un'industria cittadina; sfilano al passo nelle cerimonie locali, disarmati ma non disarmanti. La gente non ne parla vo¬ lentieri. Se si deve mettere in costume preferisce, per amor di turismo, la divisa dei pompieri volontari e il folclore delle bande. Ci sono cinque bande a Bressanone, la frazione di Scaleres (350 abitanti) ne ha ima tutta per sé. Non si contano i piccoli complessi che fanno ballare i ragazzi nelle occasioni religiose e profane. Probabilmente è nella musica il segreto d'ogni civile rassegnazione al passare del tempo e della gloria: nei tromboni e nei clarini, nei tamburi e nei piatti che riempiono i boschi di marce e musiche operistiche durante le Waldfest. Come una popolazione di elfi, insieme chiassosi e prudenti, i brissinesi cantano e ballano, ritrovando almeno una libertà giocosa che i principi-vescovi, per loro conto, non avevano mai favorito. Stefano Reggiani