Sei ore di teatro col texano Wilson

Sei ore di teatro col texano Wilson Al Festival di Spoleto Sei ore di teatro col texano Wilson "La lettera alla regina Vittoria" in prima mondiale - I burattini del torinese Serra (Dal nostro inviato speciale) Spoleto, 15 giugno. Non è una questione di campanile, ma tra il pittore torinese Dario Serra, che con i suoi burattini e quattro amici, promette uno spettacolo di cinquanta minuti (ne abbiamo visto ieri un pezzettino nella ex chiesetta di San Lorenzo, ma poi, guastatosi qualche marchingegno, la rappresentazione è stata sospesa e il Serra è venuto alla ribalta con la sua aria triste e sofferente a scusarsi e a pregarci di ritornare oggi), e il texano Robert Wilson che minaccia di tenerci in due teatri dalle sei di sera a mezzanotte, le nostre simpatie di spettatori macerati in maratone strehleriane e ronconiane vanno al primo. D'accordo, si scherza, sappiamo benissimo che Dario Serra è, per ora, un timido e un po' confuso sperimentatore di una formula — pittura come teatro o viceversa — che continua a tentare gli artisti figurativi, mentre Wilson è già una personalità mondiale, una delle figure attualmente di maggiore spicco nel teatro d'avanguardia. E sappiamo anche di avere esagerato per amore del «colore»: in verità, non sono sei ore filate, c'è un'ora di intervallo fra «Una lettera alla regina Vittoria» in scena al Caio Melisso e il «prologo» che la precede e che si svolge in dieci «stanze», da visitare a gruppetti di dieci persone per volta, allestite nel sotterraneo «Teatrino delle sei». Non che si voglia assumere a categoria estetica la durata di uno spettacolo, ma può riuscire di qualche conforto apprendere che questa volta Robert Wilson, pur senza scendere ai 46 minuti di «A mad man» presentato recentemente a Roma, ha rinunciato non diciamo alle 168 ore, una settimana esatta, di «Ka mountain and guardenia terrace» allestito nel "72 per un festival nell'Iran, ma anche alle 24 ore di una «Ouverture» per il suddetto spettacolo offerta nello stesso anni all'Opéra-comique parigina o alle 12 ore che durava «La vita e i tempi di Giuseppe Stalin». (Del resto, il primo lavoro di Wilson presentato in Europa, «Lo sguardo del sordo», che subito assicurò la sua fama, era di una lunghezza non irragionevole). Le definizioni correnti del teatro di Wilson come «tea- tro del comportamento» o «teatro del silenzio» o «teatro dello sguardo» non sono molto illuminanti per un genere di spettacolo che è più facile descrivere, magari minuziosamente, ma di cui è difficile raccontare la trama, per altro inesistente, o compendiare i propositi e i contenuti in una formula. Certamente, non vi si parla della regina Vittoria del titolo, anche se la sovrana inglese farà una breve apparizione, ma neppure si parla di altro poiché Wilson, fedele al principio che il gesto precede la parola, rinuncia generalmente a quest'ultima se non per trattarla come suono da legare al gesto e al movimento. Anche questo suo ultimo lavoro, che egli chiama «Opera» perché la musica composta da Alan Lloyd per un quartetto d'archi accompagna continuamente le azioni o i «comportamenti», Wilson preferisce che lo si consideri, anzi lo si «guardi», come una composizione figurativa, sebbene sembri che questa volta abbia dato maggior spazio a un embrione di dialogo. E' con questa «Lettera alla regina Vittoria», in scena stasera in prima mondiale (ne riferiremo su «Stampa Sera del lunedi)) che il teatro di prosa consolida la sua temporanea supremazia al festival spoletino. Ma il maestro Keene e il regista Polanski preparano la riscossa del teatro musicale: soppressa la consueta prova generale o anteprima pubblica, il debutto di «Lulu» di Alban Berg è confermato per mercoledì 19. Alberto Blandi

Luoghi citati: Europa, Iran, Roma, Spoleto