Il petrolio dagli scisti
Il petrolio dagli scisti Un ' alternativa valida Il petrolio dagli scisti Formazioni bituminose anche in regioni italiane- Alcuni sfruttamenti sospesi, in passato, per l'alto costo Durante la recente visita in Marocco, il ministro degli Esteri, Moro, avrebbe avuto conversazioni sull'assistenza di tecnici italiani per ricavare petrolio dagli scisti bituminosi di quel Paese. La notizia avrà fatto rammentare a più d'uno che di formazioni bituminose e asfaltifere ce n'è anche in Italia: nel Trentino, Abruzzo, Lazio, più notoriamente in Sicilia, in quel di Ragusa. Di queste ultime si era interessato fin dal 1917 l'industria privata e, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, il ministero dell'Aeronautica. Per distillazione se ne otteneva un liquido, una sorta di grezzo che poteva essere adoperato per le separazioni praticate nelle raffinerie di petrolio. In Sicilia, appunto, da ogni tonnellata di materiale roccioso (calcare) si estraevano da cinquanta a cento litri di olio (vedasi il fascicolo Energia, Disponibilità, Utilizzazione, Alternative della Fiat, 1974). Ragioni di costo fecero tralasciare quelle iniziative. Le rocce, le sabbie bituminose rappresentano nel mondo una riserva potenziale di petrolio che si valuta cinque volte maggiore delle riserve naturali di grezzo liquido. Lo sfruttamento ne è stato tentato, ma quasi sempre con imprese di breve durata. Sono rimasti in funzione alcuni impianti in Estonia, Spagna, Germania, Manciuria e, a titolo sperimentale, negli Stati Uniti, dove le formazioni di scisti bituminosi sono immense, dove sono state preconizzate estrazioni in sito, senza rimozione del materiale solido, fin con l'uso di esplosioni nucleari in profondità. Il Canada ha sabbie bituminose: se ne potrebbe ricavare un petrolio definito «difficile», anche perché la rimozione del materiale solido comporta uno sconvolgimento del terreno e perciò guasti ecologici, volendo riparare ai quali si richiede un supplemento di costi (vedasi La Exxon e l'energia alternativa, in Esso Rivista, n. 1, 1974). In generale, quando si incontrano dati e studi, relativi alle riserve del petrolio o dei bitumi impregnanti le rocce, riserve presentate come immense, si è tentati a respirare di sollievo, sperando di trovare in esse una possibile alternativa per i tempi avvenire, se questi si prospettassero anche più difficili di quelli presenti, in fatto di energia. Ma poi, ad avvicinare meglio la realtà fisica di quelle formazioni, a risalire alla scarsa fortuna delle passate imprese di separazione degli idrocarburi dalla roccia, viene da pensare che tali riserve in realtà non contano molto. Rispetto al grezzo raccolto nei giacimenti, nelle «trappole» dove il liquido è migrato o colato da sé, c'è nelle rocce (calcari, scisti, marne) più olio che le impregna come untuoso umidore o magro bitume. Ma, praticamente, calcolando i costi che bisogna affrontare per la separazione della parte utile dalla parte solida (e sia la separazione ottenuta per distillazione o con l'impiego di getti di acqua calda: comunque previa una frantumazione della roccia), calcolando l'energia termica e meccanica che si deve spendere per estrarre il sospirato liquido (ed è un conteggio da fare caso per caso, perché le formazioni sono di diversissima specie), si vedrebbe che il ritorno in energia utile (la differenza tra quella potenziale esistente e quella spesa) è quasi ovunque magro, se non negativo. Lo testimoniano appunto le molte coltivazioni minerarie, messe in opera e poi abbandonate; così come la scarsità di quelle rimaste attive. Non è insomma da farsi illusioni su quelle riserve; ma è piuttosto ragionevole puntare sulle scoperte di nuovi giacimenti di idrocarburi fluidi (e, a dir il vero, queste si seguono frequenti, e alcune di esse imponenti, come adesso avviene nel Mare del Nord). Ciò, in attesa che crescano o si perfezionino le forme alternative di energia, come un ritorno al carbone (o solido o fluidificato), o la già avanzata energia nucleare da fissione, sulla quale pure si erano nutrite speranze dimostratesi poi eccessive, o la energia da fusio-1 ne (questa di là da venire), o ' un maggior ricorso all'energia solare o delle maree, o quant'altro potrà essere inventato. Didimo
Persone citate: Moro
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