Cos'è il capitale umano in una impresa moderna di Renzo Villare

Cos'è il capitale umano in una impresa moderna Dibattito alla Fondazione Agnelli Cos'è il capitale umano in una impresa moderna Motivo dell'incontro internazionale l'esame di un'opera sugli ultimi orientamenti nelle aziende - Interventi di economisti italiani e stranieri Raramente nella teoria eco- i nomica è possibile individuare con una certa precisione un « punto di partenza », il momento iniziale di un nuovo zione di pensiero e di ricer- \ che. Per l'« economia delle ri- 1 sorse umane », invece, la data I d'inizio è certa. Essa fu tenu- \ta a battesimo da Theodore j W. Schultz nel dicembre del j 1960, quando era presidente \ dell'» American Economie As- sociation ». In quell'occasione jintrodusse, infatti, il concetto \ di « capitale umano ». affermando die le nozioni e le « abilità » acquistate dalle persone nel corso della vita non devono intendersi come « consumo », ma come « investimento ». Disse Schultz che « molti paradossi e molti interroga- ■ tivi alla nostra economia possono essere risolti qualora si tenga conto dell'investimento in capitale umano ». Così si spiega, ad esempio, come mai certi Paesi distrutti dalla seconda guerra mondiale abbiano potuto riprendersi rapidamente. Il loro capitale umano era in gran parte intatto, anche se il loro capitale materiale era stato ridotto a ben poco. Successivamente Rensis Likert dell'Università di Michi- gan aveva esortato gli econo- misti d'azienda ad estendere alla organizzazione umana aziendale il linguaggio proprio della contabilità tradi¬ zionale. Su questi principi, Giuseppe Scifo, docente pres- direzione so la scuola di aziendale dell'Università Boc- coni di Milano, ha svolto, per conto della Fondazione Agnel li, una ricerca dalla quale è stato poi tratto il volume « Il capitale umano dell'impresa », ora pubblicato dall'Isedi. che ha dato lo spunto per il convegno tenutosi ieri organizzato dalla stessa Fondazione Agnelli. Nel coiso dei lavori sono state ascoltate relazioni di William Pyle dell'Università di Michigan sugli « Sviluppi teorici e applicativi della con¬ tabilizzazione delle risorse umane »; di Robert Woodruff, vicepresidente della Barry Co. di Columbus nell'Ohio che ha esposto i risultati dì alcune esperienze condotte nella propria azienda; di David F. Robinson, direttore di un istituto di consulenza manageriale di Londra che ha, invece, fatto il punto sulle esperienze inglesi. L'autore del volume è partito dalla constatazione che tutto diventa più difficile quando si cerca di applicare agli uomini, e più precisamente ai dipendenti di una impresa, ì concetti di investimento, costi, manutenzione, ammortamento applicati al capitale materiale; ma — ha I aggiunto — è evidente che hin'azienda che debba ricosti \ tuire il proprio personale do- vrà sostenere un costo non solo per assumerlo ma per addestrarlo e portarlo al necessario livello di competenze. In questo caso il « capitale umano » diventa quantificabile. Le relazioni dì Woodruff e Pyle si sono rifatte in parte alle tesi elaborate da Likert in termini teorici e sociologici, la prima mirando a mantenere un elevato saggio di profitto aziendale abbinato ad un elevato livello di capitale umano; la seconda riferendo l'esperienza condotta nella Barry Co. dove venne applicato, a partire dal 1968, il primo sistema contabile delle risorse umane. Se il filone americano punta, dunque, sulla « gestione del capitale umano in teri..ini di costi della produzione » quello inglese (relazione Robinson) pone, invece, l'accento sulla determinazione del « valore del capitale umano come quota-parte del capitale immateriale gestito dall'impresa ». Al dibattito seguito alle relazioni, condotto dal prof. Mario Deaglio dell'Università di Torino, sono intervenuti studiosi, esperti e consulenti di management, economisti e uomini d'azienda. In esso sono emerse le difficoltà di rifarsi, senza inventiva, a teorie ed esperienze condotte in contesti socio-economici e culturali assai diversi ed è \ stato constatato che, in questa particolare materia, non si trattava di « inventare » nulla, ma di scoprire dati nascosti, di dare significato a dati parziali, di utilizzare in- \ dicatori già in nostro possesso. Come ha detto il professor Deaglio, nel libro di Giuseppe Scifo — spunto all'incontro di ieri — l'autore ha « evitato le tentazioni di una eccessiva, e necessariamente forzata, quantificazione » riconoscendo « la presenza di vaste aree di giudizi qualitativi. Il suo libro — conclude Deaglio — potrebbe segnare l'inizio, oltreché di un nuovo dibattito tra gli economisti aziendali, anche di I un vero e proprio terremoto nella gestione del perso! naie delle imprese e nel mo1 do in cui molte decisioni imI prenditoriali vengono prese ». I Renzo Villare

Luoghi citati: Columbus, Londra, Milano, Ohio