Asturias, rivolta e magia di Angela Bianchini

Asturias, rivolta e magia LA MORTE DEL PREMIO NOBEL GUATEMALTECO Asturias, rivolta e magia Madrid, 10 giugno. Il premio Nobel per la letteratura Miguel Angel Asturias è morto ieri in seguito a una grave malattia delle vie respiratorie. Lo scrittore guatemalteco, che aveva 75 anni, era ricoverato all'ospedale madrileno «Concepción» dal 15 maggio scorso. (Ap) « Ma esiste un'altra fedeltà. La fedeltà dello scrittore. Lo scrittore fedele alle sue radici e in tal modo fedele alle sue origini. La poesia — o la prosa — che salta, che sorge, che non si fabbrica, che nasce. Sulle terre dell'America Centrale corre questa letteratura di fuoco, di acqua e di sogno. Una specie di lava vulcanica, di minerale prezioso... parola che va dalla ricerca allo splendore del verbo, dal caos alla felicità primaverile, dal poema disegnato, dipinto, colorato all'alfabeto, struttura europea che i manovali del Nuovo Mondo si sforzano non di distruggere ma di piegare con tutti gli umori dell'America. Piegare le ossa dell'alfabeto, fin dall'aurora della scoperta, è ed è stato il compito dei poeti 9 degli scrittori meticci. Nessuna timidezza. Lavorano con i materiali di lingue preziose — e lungi dall'esserne schiavi ne estraggono la libertà verbale..., l'esaltazione di quanto è in loro personale». Con questo testo inedito, intitolato Lo scrittore meticcio, Miguel Angel Asturias, ricevuto il Premio Nobel nell'ottobre 1967, si consegnò e si presentò al pubblico europeo, che appena lo conosceva. Fiorito, ripetitivo, turgido, questo testo, pure nelle tante variazioni in cui lo modulò più tardi lo scrittore, rimane come il migliore specchio di Asturias. Per chi lo osservi con attenzione, si compendiano e stratificano qui tutti gli interessi che, attraverso gli anni, alimentarono una vita agitata e appassionata, apparentemente spontanea, in realtà filtrata attraverso gli studi, la ricerca, la politica, la sofferenza. Alto, grosso, quasi piramidale nella mole, dal viso enigmatico e amaro di maschera india, dove gli occhi soltanto sembravano covare un fuoco antico e segreto, l'Asturias che conoscemmo in questi ultimi anni sembrava darsi tutto intero, quasi con eccessiva sentimentalità, alla rievocazione della sua terra, esaltando la natura, il paesaggio e gli uomini fino a farne elemento morale e inscindibile dell'America Latina. Ma si trattava, invece, di una personalità complessa, e anche dolorosa: un gentiluomo castigliano, dalle maniere cortesissime, incarnatosi, secoli prima, nel personaggio indio, un intellettuale finissimo che aveva preso l'apparenza di una forza tellurica. L'Asturias giovane era stato tutto diverso, magro, quasi famelico, con un'aria da cospiratore. Nato nel 1899 a Città del Guatemala, aveva cominciato prestissimo a conoscere le persecuzioni del dittatore Estrada Cabrerà, dirette contro il padre avvocato e la madre maestra. Aveva partecipato a ribellioni studentesche e a movimenti insurrezionali, conosciuto l'esilio, a Parigi, nel 1921. E pro¬ prio a Parigi si specializzò negli studi antropologici della civiltà maya e scrisse le Leggende del Guatemala (1930), elaborazione della magìa dei Maya con le visioni e i ricordi dell'infanzia bucolica. Ma la fama di Asturias, benché poeta da giovane, è ormai legata ai romanzi: il famoso II Signor Presidente, del 1946, Uomini di mais, raccolta di storie, del 1949, la trilogia di Vento forte, 1950, Il Papa verde, 1954, e Gli occhi che non si chiudono, del 1968. L'opera di Asturias, esaminata con interesse e anche esaltata fuor di misura al momento del conferimento del Premio Nobel, recentemente è stata trattata con degnazione, offuscata dalla fama di altri scrittori suoi conterranei, relegata, perfino, ad un antiquariato di romanzi sociali e politici degli Anni Trenta. Ma le cose stanno diversamente. Due aspetti, infatti, rimangono originali e indimenticabili in Asturias: la forza della condanna politica e il realismo magico e barocco insieme. Il Signor Presidente, infinite volte imitato e ripetuto nell'America Latina, è l'epitome della corruzione e della violenza latinoamericane. Il titolo, così ironicamente rispettoso, annuncia l'alta posizione del dittatore, che tuttavia compare nel libro soltanto sei volte. Seppure nascosto da tutti quelli che lo circondano, egli domina, però, tutti i capitoli e tutte le azioni del libro, così come Satana domina tutti i cerchi dell'Inferno. L'abile mescolanza di furore, di grottesco, di suspense, pullulante di miseria, sordidezza e brutture è, misteriosamente, lievitata in poesia, tutta trascinata in un potente flusso fantastico. Quanto al realismo magico, sempre baroccheggiante, sempre permeato da quel pulsare della natura, del paesaggio, della vita dell'uomo che Asturias considerava originali del romanzo latino-americano, sono le parole stesse del narratore a definirlo: «Attraverso le generazioni, ì poeti e gli scrittori meticci si liberano dalle catene dorate, e al canto epico, alla favola, alla cronaca in versi segue una letteratura senza limiti prefissati, che può anche essere caotica e priva dì logica... Gli scrittori dell'America di lingua spagnola e di lingua portoghese possiedono molte mani, molte braccia, innumerevoli occhi e orecchie, un odorato universale, un tatto universale, e soltanto quando rinunciano alle loro origini, alle loro radici, alla loro America, perdono tutto questo e finiscono col risultare loro stessi diminuiti». Caldo, generoso, Asturias era l'America Latina che non rinunciava a se stessa, che continuava a ritrovarsi e a sognarsi, quasi con voracità, anche se in esilio, anche da lontano. Nel 1970, coerente ai suoi antichi princìpi di libertà, Miguel Angel Asturias, all'instaurarsi di una nuova dittatura in Guatemala, diede le dimissioni da ambasciatore a Parigi, m&, continuò a scrivere degli indiani, di quegli uomini di mais che considerava come i suoi irrinunciabili personaggi. Angela Bianchini

Persone citate: La Morte, Miguel Angel, Vento