La città di tutti di Francesco Rosso

La città di tutti CURE PER VENEZIA MALATA La città di tutti Venezia, giugno. Le polemiche su Venezia che affonda, si sgretola perché marcia fino al midollo, non si contano; si sono scritti libri, corrispondenze a centinaia di chilometri, e la gente si domanda a che cosa è servito tutto ciò. Questa volta bisogna convenire che le parole sono servite a qualcosa, i restauri di Venezia, già realizzati o in via di realizzazione, hanno qualcosa di ciclopico. E' tutta una città che è in cura, e basta ciò per dare un'idea dell'impresa che si sono accollata una schiera di uomini che, di fronte alla grandiosità del compito, sono davvero uno sparuto manipolo. Tra qualche anno, impossibile dire quanti, l'intera città si presenterà com'era qualche secolo addietro, nuovamente bianca nei suoi marmi e sovraccarica di ori e colori negli ornamenti. A meno che, nel frattempo, i palazzi, le chiese, i monumenti già ripuliti non tornino ad annerirsi per lo smog, gli inquinamenti industriali, l'opera nefasta dei piccioni, assassini del marmo. Non c'è luogo in cui i piccioni non si siano sistemati; fanno il nido sui cornicioni, sulle architravi delle chiese, nei trafori marmorei dei palazzi, perfino entro l'incavo delle braccia delle statue. Il soprintendente prof. Francesco Valcanover mi racconta che quando staccò dal soffitto della chiesa di San Moisè le tele da mandare al restauro, trovò sotto i dipinti un buon numero di nidi di colombi. « Però, mi dice, abbiamo preso i provvedimenti necessari, ora i colombi non entrano più nelle chiese restaurate ». E' già consolante questa affermazione, ma all'esterno delle chiese, dei palazzi celebri, sui monumenti, chi assicura che i nefasti volatili, inoltre quasi tutti malati e portatori di germi coi quali possono contagiare anche l'uomo, non recheranno ulteriori danni alla città più ammirata ed amata del mondo? Tanto amata che dopo la disastrosa « acqua alta » del novembre 1966, si può dire che l'universo intero si mosse per salvare Venezia. Anche in Italia, non dobbiamo disconoscerlo, benché le pastoie burocratiche abbiano impedito finora che la « legge speciale per Venezia » diventi operante, ci sono stati gruppi di privati, e interventi del ministero della Pubblica Istruzione, che hanno consentito di compiere i restauri più urgenti. Città e centri culturali hanno adottato chi un monumento, chi una chiesa, chi un palazzo, chi un ponte, e in otto anni di lavori se ne sono fatti, tanti che sarebbe impossibile citare tutto. Prendiamo i più significativi di ogni Paese, o Associazione culturale. Gli americani vengono in testa, per il numero di adozioni e per le spese. Tra gli americani aggiungo quel benemerito ebreo, ora defunto, Samuele Kress; ha dato soldi per tutti gli interventi monumentali, persino il Palazzo Ducale di Mantova gli deve qualcosa. A Venezia la Kress Foundation ha dato milioni per restaurare chiese, affreschi, tele, ha offerto di ripulire un buon numero di statue, colonne, facciate di chiese e palazzi con l'impiego del laser, metodo realizzato da alcuni studiosi americani. ★ * I francesi, a loro volta, han no adottato un certo numero di edifici e monumenti, ma l'opera più importante è certo il restauro e il consolidamento della chiesa della Salute, tanto malandata che bastava un po' di vento a far oscillare le statue ed a farle crollare, tanto che un ignoto dotato di spirito appiccicò alla chiesa un avviso: « Attenzione, caduta di angeli». La Germa nia Federale, oltre a restaura re quattro chiese e molti metri quadrati di affreschi e tele di grande valore, ha comperato e fatto restaurare da cima a fondo il Palazzo Barbarigo sul Canal Grande, nel quale ha insediato il «Centro tedesco di studi su Venezia ». A proposito di palazzi celebri, c'è da ricordare la Ca' d'Oro, così corrosa e malandata che quando hanno avviato i restauri si sono accorti che le fondamenta quasi non esistevano più. Qui, i lavori so no stati consistenti da parte dell'Italia, ma in parte ha contribuito anche l'America. Que sto elenco ha un valore puramente indicativo, c'è chi ha dato moltissimo, chi ha dato molto, e chi un po' meno, ma ciò che conta è l'interesse di tutto il mondo per la Città Unica. L'Australia, ad esempio, ha fatto il suo regalo restaurando la chiesa di San Martino di Castello, nel rione Castello. Anche la Svizzera ha portato il suo contributo facendo restaurare la «Lunetta Cornaro», , nella Cappella Cornaro, ridotta in condizioni penose. Chi è arrivato in forze, con denari non solo destinati ai restauri diretti, ma anche per avviare tudi scientifici e di ricerca, è stata la Gran Bretagna. Ha restaurato sì la chiesa della Madonna dell'Orto, ma conta soprattutto l'attrezzatura del gabinetto di chimica istituito presso il laboratorio del restauro a San Gregorio. Qui sono stati studiati gli accorgimenti tecnici per ripulire il marmo e per conservarlo. I risultati sono sorprendenti. La « Loggetta del Sansovino », ai piedi del Campanile di San Marco, ne è la riprova. Il restauro sarà completato entro la fine di agosto, in tempo per la Regata Storica. I lavori sono durati due anni esatti, e l'autrice è una donna piccolina, esile, dagli occhi vivacissimi e dalle mani miracolose. Si chiama Giulia Musomeci, « e per fortuna », dice il prof. Valcanover, non è laureata. Dov'è possibile, il marmo viene lavato con getti d'acqua nebulizzata, dove non è possibile si usa un sistema studiato apposta nei gabinetti del « Victoria and Albert Museum »; uno speciale apparecchio lancia contro il marmo un getto di palline di vetro perfettamente sferiche, del diametro di quaranta millesimi di millimetro. E' una polvere finissima che stacca la sporcizia senza intaccare la pietra. Ma l'invenzione più rivoluzionaria è il restauro conservativo. Quando i fregi e i bassorilievi sono tornati puliti, la restauratrice signorina Musomeci (talvolta l'aiuta il signor Hempell Kenneth, del celebre museo londinese) li spalma con una speciale vernice trasparente, a base di resine al silicone. Gli effetti sono sorprendenti, la pietra che sembrava sfarinarsi come zucchero ritorna durissima. ★ ★ I risultati sono già controllabili, la Loggetta è nuovamente bianchissima coi giochi policromi dei marmi rossi che splendono nel sole. Fate il confronto con la « Porta della Carta » del Palazzo Ducale, che le sorge proprio di fronte, costruita con lo stesso materiale; proverete un senso di pena per quel povero doge che prega dinanzi al leone di San Marco, entrambi neri come spalmati di pece. Ho lasciato l'Italia per ultima, per dovere di ospitalità, ma non è ultima negli interventi. I restauri effettuati dal Comitato Italiano per Venezia, di cui è presidente il prof. Bruno Visentini, sono imponenti; Santo Stefano, San Giorgio degli Schiavoni, la palladiana chiesa del Redentore, il chiostro dei Frari sono solo i più appariscenti. Italia Nostra non si è limitata a grandi monumenti, come la base della statua equestre del Colleoni, ma si è dedicata anche a monumenti minori, come le Casette Lanza, che sono un aspetto dell'urbanistica non sontuosa di Venezia. La Fondazione Ercole Varzi ha speso sessanta milioni solo per la restaurazione della chiesa di San Sebastiano, con gli affreschi del Veronese. La « Dante Alighieri », per ricordare che nell'Inferno Dante cita « l'arzanà dei viniziani », ha adottato proprio l'arsenale. Una citazione merita il comitato « Venezia Nostra », di cui è presidente il comm. Gino Caselli. Questo comitato ha una storia particolare, è nato con poco ed ha cercato i fondi un po' ovunque, ma soprattutto negli Stati Uniti. Anna Moffo ha inciso un LP col titolo « La mia voce per Venezia », e la vendita ha procurato buoni incassi. Poi è venuta l'idea di mettere sul mercato numismatico una serie di quattro medaglie d'oro. Di iniziative questo comitato ne ha, ma il grosso dei quattrini, finora, li ha sborsati il comm. Caselli, che si è assunto l'impegno di restaurare il Ponte di Rialto che non era in pericolo di crollare, ma perdeva i pezzi delle balaustre, delle cornici, dei fregi. Ora i lavori sono fermi, perché i commercianti che hanno bottega sul celebre ponte si oppongono; è l'estate, e chiudere bottega per i restauri sarebbe per loro un danno. Ma il ponte si sbriciola, gli dicono, e loro: « Crolli pure, tanto non è nostro ». Il ponte è di proprietà del comune, mi sembra, ma le botteghe sono tutte di proprietà privata, per far soldi gli austriaci le hanno alienate vendendole al miglior offerente. Oggi queste botteghe appartengono a persone che vivono chi sa dove, persino in Francia; ricevono gli affitti dagli attuali gestori, affitti non cospicui, dato il blocco. Così i proprietari, per lo scarso reddito, non fanno i necessari lavori di manutenzione, ed i gestori li imitano con la scusa che non sono i proprietari dei muri. Ma Venezia intera è in que¬ ste condizioni, un problema enorme, che tenterò di spiegare in una prossima corrispondenza. Ma sono soltanto i privati che si preoccupano di salvare Venezia, e tra quelli citati aggiungo il Comitato Ebraico, le Assicurazioni Generali, il Banco di San Marco? Risponde il prof. Valcanover. « I privali hanno contribuito per un quarto; i tre quarti se li è accollati lo Stalo italiano ». Ed è la parte meno vistosa, perché si tratta soprattutto di restauri di affreschi e di dipinti su tela. Quanti chilometri quadrati di dipinti ha restaurato, prof. Valcanover? Il soprintendente sorride e non risponde. Certo sono molti. E se una volta i restauri venivano eseguiti soprattutto a San Gregorio, ora c'è un laboratorio mobile che li esegue sul luogo. Ed anche questa è una impresa da ricordare. Francesco Rosso