Si allenano a posar tubi in tutti i mari del mondo di Remo Lugli

Si allenano a posar tubi in tutti i mari del mondo Gli incredibili sommozzatori della Saipem Si allenano a posar tubi in tutti i mari del mondo Presto affronteranno i 350 metri dello Stretto di Messina per piazzarvi il metanodotto (Dal nostro inviato speciale, Mar Ligure, a bordo della Saipem Ragno, giugno. La nave « Ragno » è immobile. Quattro ancore la tengono inchiodata ad un fondale di 60 metri. Sono ancore mastodontiche, adatte a una stazza cento volte più grande; ma il fatto è che lo scafo non deve proprio muoversi: qui sotto, sul fondo, appesa ad un cavo c'è una campana d'acciaio dalla quale sono usciti due uomini, che stanno passeggiando sul fango. Sono collegati alla nave attraverso una sorta di cordone ombelicale che manda loro la miscela per la respirazione, il calore, l'energia, le voci di chi è sopra, nella sala comando. Questi sommozzatori sono allievi di un corso che ha del fantascientifico. Oggi il fondale è di sessanta metri, ma domani sarà più profondo, dopodomani ancor di più. Nel Mare del Nord, sedici italiani, ex allievi della Saipem Ragno, stanno posando i tubi dell'oleodotto che dovrà collegare i giacimenti di Forties Field con la Scozia. Otto di loro presto torneranno a bordo di questa nave, per iniziare la seconda parte del corso, con alcuni degli attuali allievi. La mèta ha una dimensione che può apparire folle: 550 metri di profondità, dove l'uomo è andato fino ad oggi soltanto dentro ai batiscafi. Questi uomini invece, andranno con una muta di gomma, la maschera a tenuta ermetica e gli attrezzi per lavorare. Giù nella fossa L'obiettivo è preciso: rendere possibile la posa del metanodotto che dovrà attraversare il Canale di Sicilia, per portare in Italia il gas metano algerino. In quel tratto di mare, tra la Tunisia e la costa sicula, il fondale è costituito da un vasto pianoro, mediamente profondo cento metri, ma c'è una fossa, larga una quindicina di chilometri, che raggiunge i 550 metri. Bisogna essere in grado di arrivare laggiù, per le riparazioni, se un tubo, durante la posa, si spezza. La Saipem (gruppo Eni) ha incominciato a lavorare nel '61 sui fondali dell'Adriatico, venti-trenta metri sotto il pelo dell'acqua. Ha avviato studi, si è perfezionata, ora è all'avanguardia in campo internazionale. Gli uomini della Saipem hanno già posato tubi nei mari di tutti i continenti. In taluni settori la tecnologia Saipem è superiore a quella di qualsiasi altra società del ramo. « Nella prossima estate — dice l'ing. Francesco Lo Savio, direttore del gruppo subacquei — affronteremo i 350 metri di profondità dello Stretto di Messina. Il metanodotto non potrà attraversarlo nel punto meno profondo, di cento metri, perché quella è l'area destinata al futuro ponte, seguirà un percorso più lungo, otto chilometri anziché due, e più scomodo. A 350 metri di profondità faremo la nostra prova; alla mèta dei 550 arriveremo fra un paio d'anni, quando sarà pronta la nave posatubi, ora in costruzione». Come sarà possibile, per l'uomo, lavorare in questi abissi? « Con la tecnica della saturazione », spiega Lo Savio. Si sa quali gravissimi problemi ostacolano la permanenza dell'uomo in zona di alte pressioni, o meglio quanto sia difficile il suo ritorno in atmosfera meno compressa. A quelle profondità il gas inerte, azoto o elio, mischiato all'ossigeno che si respira (si usa questa miscela al posto dell'aria che sarebbe troppo densa e renderebbe ancor più difficili i movimenti della respirazione) si scioglie nei tessuti e ritorna restituito allo stato gassoso con il diminuire della pressione. Se si sale in fretta, i tessuti si liberano del gas in modo tumultuoso e ciò può determinare embolie, con paralisi e morte. In pratica, dopo essere stati un'ora ad una profondità di cento metri bisogna risalire a tappe per una graduale decompressione in un tempo complessivo non inferiore a 19 ore. Dai 550 metri si può risalire alla velocità di un metro all'ora, cioè in 21 giorni. E' impensabile poter tenere un uomo per tanto tempo in una campana sospesa a mezz'acqua nelle varie tappe di decompressione. Ed ecco la tecnica della saturazione. L'uomo scende, incomincia il suo turno di lavoro alla pressione che c'è sul fondo; quando è stanco rientra nella campana, che è piena di miscela (la pressione, un po' più alta di quella esterna, impedisce che l'acqua entri attraverso il portello aperto), poi la campana viene tirata in superficie, rapidamente, e fatta combaciare, attraverso una flangia, con una camera che ha una pressione uguale. Qui il sommozzatore trascorre il suo turno di riposo, poi viene di nuovo calato sul fondo, senza che la sua pressione ambiente sia mai mutata. Riposo nella campana Gli uomini lavorano sempre a coppie, per maggior sicurezza, un'ora per uno: mentre il primo è fuori, nell'acqua, l'altro è nella campana, all'asciutto, tiene i contatti con la superficie, controlla che il cordone ombelicale del collega non venga danneggiato nei movimenti. Dopo due ore di lavoro, una per uno, i due uomini salgono per quattro ore di riposo nella camera in pressione. In questo modo, con sei uomini che si alternano, è possibile averne uno in continuazione nel fondo intento al lavoro. Dopo dodici ore di respirazione della miscela il corpo umano si satura di gas, ma la permanenza in queste condizioni, spiegano i tecnici, non determina danni fisici, a parte i possibili effetti psicologici. «In un tempo massimo di dieci giorni e con sei uomini — spiega l'ing. Lo Savio — si compie qualsiasi lavoro connesso con la posa di un metanodotto. Quando l'opera è conclusa s'inizia la fase di decompressione che avviene mentre i sommozzatori sono nell'apposita camera, sopra la nave. Teoricamente sarebbero sufficienti 21 giorni, ma noi prolungheremo il tempo a 27 giorni perché quando l'uomo dorme il ritmo fisiologico rallenta e la restituzione del gas dai tessuti è più lenta, quin¬ di anche la decompressione deve essere interrotta ». Questi giorni saranno, per i sommozzatori in saturazione, infinitamente lunghi, soprattutto per l'effetto psicologico della consapevolezza di non poter uscire, qualsiasi cosa avvenga. Nella camera i «sub» possono mangiare regolarmente; guardare il paesaggio marino attraverso le finestre a vetri; leggere, ascoltare musica, guardare la tv, ma non fumare. « Bisogna avere non solo un fisico perfetto, ma anche nervi d'acciaio — afferma il dott. Alessandro Marroni, medico della Saipem, che segue continuamente gli allievi nelle loro esercitazioni —. E soprattutto devono essere uomini che amano il mare in modo assoluto, solo così si riescono a vincere le molte ansie e i molti terrori che possono incombere su chi deve affrontare compiti così difficili ». Un sommozzatore guadagna in media circa 350 mila lire al mese. Può arrivare a 550, con i premi di immersione; per le grandi profondità la paga scatta notevolmente: ogni giorno in saturazione, compresi quelli per la decompressione, è pagato cento mila lire. Altre due o tre società, in campo internazionale, stanno preparandosi per raggiungere fondali dell'ordine dei 550 metri, ma solo gli specialisti della Saipem hanno saputo mettere a punto una tecnica perfetta e raffinatissima per la fase della decompressione. Anziché a tappe, la risalita è continua e lenta nella misura strettamente necessaria, grazie a un controllo elettronico che via via cambia la miscela e la pressione con misure micrometriche. Ogni metro in più nella profondità porta con sé problemi di mole sempre crescente. Tuttavia tecnicamente c'è la certezza di poterli risolvere. Il fisico umano è in grado di sopportare quelle enormi pressioni. A 500 metri la forza esercitata dall'acqua sulla superficie del corpo umano che è di quasi due metri quadrati, è di circa mille tonnellate. Ma il nostro corpo è per la maggior parte costituito da liquido che è incomprimibile e quindi resiste; la miscela respirabile, con la sua pressione, protegge le cavità polmonari. «Il corso — conclude l'ing. Lo Savio — serve per affinare la tecnica, ma soprattutto per preparare psicologicamente l'uomo a vincere la barriera dell'abissale». Remo Lugli

Persone citate: Alessandro Marroni, Field, Francesco Lo Savio, Lo Savio

Luoghi citati: Italia, Messina, Scozia, Sicilia, Tunisia