I fascisti Sam volevano rapire anche il giudice Viola a Milano di Liliana Madeo

I fascisti Sam volevano rapire anche il giudice Viola a Milano Le carte trovate in tasca al terrorista ucciso I fascisti Sam volevano rapire anche il giudice Viola a Milano II magistrato si occupò, come è noto, dell'inchiesta Feltrinelli e "Brigate rosse" - Il piano dei sequestri faceva parte delle "provocazioni" che avrebbero dovuto seguire al referendum del 12 maggio sul divorzio (Dal nostro inviato speciale) Rieti, 7 giugno. Un altro magistrato milanese — oltre a De Vincenzo, Riccardelli, D'Ambrosio, De Liguori — doveva essere rapito dai fascisti delle Sam («Squadre d'azione Mussolini»): Guido Viola, che aveva condotto le indagini sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli e sulle «Brigate rosse». Anche il piano di sequestro del dottor Riccardelli — come per il suo collega De Vincenzo — era a buon punto: lo testimonia un disegno a matita su foglio protocollo — con il tracciato di una zona assai ristretta di Milano che conduce a via Fratelli Rosselli, dove abita il giudice — trovato fra le carte di Giancarlo Esposti, il terrorista nero morto il 30 maggio sui monti reatini, nel , e m ia a i. o no in i ue a i, 0 el conflitto a fuoco con i carabinieri. Lentamente, via via che passano i giorni, spuntano nuove indicazioni sul contenuto del portafoglio che l'Esposti portava in tasca: un ritaglio di giornale con la pubblicità di un tipo di armi americane, una tessera per voli charter per studenti, un elenco di nomi tra cui quel Salvatore Francia, direttore del mensile Anno zero che apparve agli inizi del '74, annunciando con linguaggio truculento e minaccioso «lotta alla società borghese», «difesa del camerata Franco Freda, ingiustamente accusato per la strage sionista di piazza Fontana », violenta condanna della « repressione antifascista nei confronti dei camerati ». Contemporaneamente, fonti ie o eibi r n l e pnua l na nla ». ti a enn a o ua a ae Il uea, », nui) adi o or il al o li en o ri vito a. bene informate parlano di oggetti che sarebbero stati rinvenuti al campo di Rascino, ma di cui non esiste traccia nei reperti ufficiali: una pistola Derringer a quattro canne, alcune armi cecoslovacche, una parte di esplosivo di fabbricazione cecoslovacca. Al punto in cui è giunta l'inchiesta, tutto sembra congiurare per renderla ancora più complessa e difficile. E' l'impressione che circola negli ambienti giudiziari di Rieti, dove non si fa mistero di un senso di disagio per la maniera in cui è stato dato il via alle indagini. Al sostituto procuratore Lelli, ad esempio, manca il cancelliere e gli interrogatori degli imputati non possono proseguire. Il collegamento con le altre procure che indagano sulle «trame nere» è carente, quando non crea sottili conflitti e nuovi disagi. Eppure è proprio la rete delle connessioni fra il commando fascista attendatosi nel Reatino e le organizzazioni eversive che operano in tutta Italia, magari nascoste dietro etichette fuorvianti, che va adesso ricostruita, per poter risalire finalmente dagli esecutori ai mandanti, da chi aveva interesse a confondere le acque a chi poteva garantire utili coperture. Anche i quattro terroristi snidati al campo Rascino — Esposti che, a metà maggio, si mette in contatto con alcuni camerati di Ascoli Piceno per far saltare un edificio pubblico, Vivirito in libertà vigilata che scorrazza per tutta Italia, Danieletti che non ha un alibi sicuro per il giorno della strage di Brescia — possono servire per chiarire gl'interrogativi che gravano su tutte le diramazioni delle «trame nere». Alessandro D'Intino, certo, può dire molto. E' intelligente, come dicono il suo difensore, avvocato Luigi Colarieti, e il dottor Lelli. Sa parecchie cose, sul conto di «Avanguardia nazionale» e di Giancarlo Esposti, che operava per le Sam. Non ha minimizzato la sua fede in una grande rigenerazione di marca fascista dell'Italia. Era pronto a intervenire «nel piano di attentati e provocazioni che dovevano scatenarsi nel Paese dopo la vittoria del 12 maggio, per accelerare un processo rivoluzionario nero». Parla contando sulla «fine prossima delle istituzioni democratiche del l'Italia borghese». In carcere ha ottenuto un nuovo paio di occhiali, in sostituzione di quelli che gli si ruppero nella colluttazione con i carabinieri, la mattina dello scontro. Ha chiesto di riprendere i suoi studi di filo sofia, teoretica e morale. Ha voluto un codice penale (tsfgzrriulrlqEca (quello che portava con sé; trovato sotto la tenda, è sotto sequestro): prepara la sua difesa, dice, «aiutato anche dagli opuscoli che l'organizzazione fornisce a tutti gli aderenti, spiegando i vari tipi di risposta da dare ai vari tipi di interrogatori». Si considera un vero rivoluzionario. Un solo limite, come terrorista, si riconosce: non sa sparare «perché troppo miope». Liliana Madeo

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