Il ritorno alla pace nelle terre del Sudan segnato dal ponte di Wau sul fiume Jur

Il ritorno alla pace nelle terre del Sudan segnato dal ponte di Wau sul fiume Jur Un'opera essenziale per lo sviluppo delle regioni meridionali Il ritorno alla pace nelle terre del Sudan segnato dal ponte di Wau sul fiume Jur Realizzato da imprese italiane in un tempo record e in difficili condizioni ambientali - La presenza di Numeiri (Dal nostro inviato speciale) Khartum, 1 giugno. Sono passati due anni dal ritorno della pace nelle province meridionali del Sudan: Bar el Gazai, Alto Nilo ed Equatoria. I segni della guerra più o meno ignorata che dal 1955 al 1972 mise a sanguinoso confronto il Nord del paese (9 milioni di arabi e negri islamizzati) e il Sud (5 milioni di africani animisti o convertiti al cattolicesimo) sono ormai scomparsi. I villaggi vanno risorgendo, la maggior parte dei 700 mila « sudisti » rifugiatisi nella giungla o negli Stati vicini hanno fatto ritorno nelle loro terre. Gli « anya-nya » (i «serpenti velenosi»), ossia i guerriglieri del Sud, sono integrati nell'esercito sudanese. A Juba, divenuta la capitale della zona meridionale, ha cominciato a funzionare un'amministrazione autonoma. In questi due anni di pace e di collaborazione il governo di Khartum del generale Gaafar Numeiri e l'ammini- strazione del Sud del vice presidente Abel Alier non sono rimasti inoperosi, grazie anche ai finanziamenti soprattutto di paesi come Kuwait, Arabia Saudita e Abu Dhabi, e all'intervento di esperti di altre nazioni. Ma il prezzo della guerra fu alto (a parte le distruzioni, si parla di un milione di morti e di due milioni di senzatetto) e molto resta ancora da fare per il rilancio di questo territorio e della sua popolazione. « Il Sud è in grado di produrre con abbondanza tè, caffè, riso, frutta tropicale, tabacco, bestiame e legno — dice Ahmed Omar Khalafalla, capo dell'azienda di Stato per le strade e i ponti — ma senza vie dì comunicazioni rapide ed economiche non ci sarà esportazione neppure nell'ambito del paese e la regione non potrà progredire ». I trasporti fluviali sono precari e limitati dalla stagione secca. La ferrovia che viene dal Mar Rosso passando per Khartum, antiquata e lenta, non penetra nel Sud, ma si ferma a Wau, distante mille chilometri da Juba, la capitale meridionale. Il futuro di questa come di altre parti dell'Africa dipende perciò dalle piste camionabili, tagliate nella savana, ai margini di vaste paludi, fra un intrico di fiumi che si gettano nel maestoso Nilo. Tuttavia anche per le rotabili, la cui rete è abbastanza estesa, esistono dei problemi: le strozzature costituite dai fiumi, privi di ponti o quasi. Da maggio a ottobre, quando le piogge fanno salire il loro livello, guadare i corsi d'acqua diventa impossibile. Si ripiega allora sui traghetti, piccoli, pericolosi, generalmente spinti a braccia, e gli autocarri devono spesso aspettare in coda parecchi giorni prima di raggiungere la riva opposta. II più importante di questi ostacoli nelle comunicazioni terrestri fra le due parti del Sudan era a Wau, capolinea della ferrovia, dove un secolo fa Romolo Gessi giunse durante l'esplorazione dell'alto Nilo, rimanendovi a lun¬ go, prima per reprimere la tratta degli schiavi, poi per organizzare l'amministrazione della provincia. Il « collo di bottiglia » non esiste più grazie al ponte che 35 tecnici italiani dell'impresa Recchi di Torino e un centinaio di operai indigeni hanno gettato sul fiume Jur: un lavoro compiuto a tempo di record (16 mesi, mentre in zone come questa occorrono per una realizzazione del genere, non meno di 2 anni) in condizioni particolarmente diffìcili, per il clima torrido e umido, la minaccia della malaria e le molte altre insidie che cela questo remoto lembo di « continente nero », a cominciare dai serpenti di cui brulicano le sponde dei corsi d'acqua. A Khartum l'impresa torinese costruì negli anni scorsi due ponti sul Nilo, uno dei quali è per dimensioni e tecnica un'opera eccezionale. Quello di Wau, lungo 230 metri, non ha caratteristiche altrettanto spettacolari. E' tuttavia una realizzazione ugualmente significativa. L'inaugurazione del ponte, progettato dalla Stipe-Italconsult di Roma, era prevista per luglio. Aderendo a un invito di Numeiri le maestranze dirette dal geom. Emilio Rosiello di Piacenza hanno stretto i tempi e ultimato i lavori con 2 mesi di anticipo. Il dott. Giuseppe Recchi giunto in volo dall'Italia con la moglie e accompagnato dal nostro ambasciatore a Khartum, Giulio Bilancioni, ha potuto così « consegnarlo al popolo sudanese » in occasione della festa nazionale di fine maggio, quando le prime piogge già rendono impraticabili i guadi. Più che di una cerimonia si è trattato di una festa, con tutto l'entusiasmo e il colore caratteristici dell'Africa nera. Nonostante il caldo quasi insopportabile, il cielo era incredibilmente azzurro. Più che smaglianti erano così i verdi di ogni tonalità della savana, dei baobab, degli arbusti dilavati dalle piogge torrenziali dei giorni prima e che sarebbero riprese poche ore più tardi. Vivissimi anche gli altri colori che esplodevano ovunque intorno: i fiori delle buganvillee e di altre cento piante tropicali, i pennacchi di struzzo dei soldati, le vesti dei Dinka, i nerissimi e flessuosi abitanti di questa zona, secondi per statura soltanto ai Watussi. L'aereo di Numeiri e del vice presidente Alier non si è fatto attendere e subito il generale ha raggiunto il cantiere. Parecchi i discorsi ma stringati, soprattutto quello del dott. Recchi, perché il j pcnte davanti a lui bastava j per mettere in evidenza l'impegno e gli sforzi per realizzarlo. Poi il rais ha lasciato la tribuna, è saltato con piglio d'atleta al di là del toro appena sgozzato secondo l'usanza propiziatrice sudanese j ed ha attraversato il ponte. E dietro di lui migliaia di Dinka festanti che gendarmi e soldati non hanno neppure cercato di trattenere, benché una bomba scoppiata qualche giorno prima in un caffè arabo di Wau, provocando alcune vittime, avesse preoccupato non poco i servizi di sicurezza. Nella « passeggiata inaugurale » Numeiri ha voluto con sé il nostro ambasciatore, i Recchi e il vescovo africano Erineo Dut. Raggiunta l'altra sponda ha scompigliato il programma: è sceso fra i tucul della riva ed entusia- j smando ancor di più la folla ha riattraversato il fiume con l'ultima corsa del traghetto dei tempi coloniali soppiantato dalla nuova prestigiosa affermazione dell' operosità italiana in Africa. Aldo Vite