Peteano: erano controllati dai carabinieri i telefoni dei difensori degli imputati? di Piero Cerati

Peteano: erano controllati dai carabinieri i telefoni dei difensori degli imputati? Il processo alle assise di Trieste per i tre militi uccisi Peteano: erano controllati dai carabinieri i telefoni dei difensori degli imputati? "So di fare una affermazione grave, ha detto l'avv. Maniacco, ma sono pronto a citare i testimoni" - "Noi , ha aggiunto, non abbiamo alcun dubbio sull'innocenza dei sette imputati, ma desideriamo che il dibattimento consenta di giungere alla verità con nuove indagini" (Dal nostro corrispondente/ Trieste, 31 maggio. Due anni orsono, una «500» carica di esplosivo uccideva tre carabinieri, attirati in un agguato a Peteano, presso Gorizia: il triste anniversario è stato ricordato oggi in corte d'assise a Trieste dall'avvocato difensore Maniacco. «Noi non abbiamo dubbi sull'innocenza dei sette imputati — ha detto il legale —, ma desideriamo che il dibattimento consenta di giungere alla verità con nuove indagini: allora, per i responsabili non vi dovrà essere indulgenza». E i responsabili forse devono essere cercati tra coloro che, ancora oggi, hanno telefonato per creare il panico alla scuola, slovena (asilo, elementari, medie) di Gorizia per avvertire dell'imminente scoppio di una bomba. Quattrocento bambini sono stati fatti sgomberare. Il processo continua (si è giunti alle 129 ore di udienza) contro « povera gente di provincia», come aveva detto l'avvocato Bernot, anche se la difesa ha impugnato sin dall'inizio i verbali dell'istruttoria, in quanto gli imputati furono interrogati come testimoni senza il conforto di un avvocato, mentre le indagini proseguivano contro ignoti; ha detto l'avvocato Pedroni: «Contro questa procedura siamo ricorsi in Cassazione, ma l'istruttoria si è conclusa come in un lampo e il rinvio a giudizio ha bloccato ogni altro provvedimento». Stamane l'avvocato Maniacco ha spiegato come gli inquirenti «costruirono le posizioni degli imputati attraverso minacce, blandizie, richieste di collaborazione, promesse. Una serie di rapporti confidenziali dimostra come i testimoni e gli attuali imputati fossero tenuti sidla corda con frasi come questa: se parli ti aiutiamo, i tuoi compagni ti accusano, confessa poi ritratterai e sei a posto; in questo modo si è ottenuta la confessione di Budicin». In realtà, l'imputato Budicin ha soltanto fatto parziali e collaterali ammissioni sulla vicenda (nessuno degli accusati ha mai parlato di organizzazione e partecipazione alla strage), ma come si sia giunti a queste «ammissioni» lo ha spiegato Maniacco. «Quando vennero nominati i difensori, i carabinieri intervennero subito: controllarono i nostri telefoni, per carpire eventuali informazioni. Mi rendo conto che questa è un'affermazione grave, che potrà avere un seguito, ma sono pronto a citare i testimoni. Inoltre, gli imputati dopo l'arresto furono messi in celle di isolamento e le normali guardie carcerarie furono sostituite con carabinieri: essi avevano l'incarico di consentire lo scambio clandestino di biglietti tra gli imputati durante le ore di aria per scoprire eventuali frasi compromettenti. Ebbene, nei biglietti non compare una sola parola che possa lasciare trasparire la colpevolezza». L'udienza di stamane è stata dedicata dalla difesa «alla posizione dell'imputato Budicin — ha detto Maniacco — che è la più costruita dagli inquirenti nell'istruttoria e spiega dove si volesse arrivare», cioè a cercare i colpevoli in base «a un castello di ipotesi, costruito anche sulla fantasia», come aveva detto l'avvocato Bernot. L'alibi del Budicin (la sera dell'attentato si recò a Udine con due amici) fu adombrato di sospetti perché «si fece dire a un teste che era stato l'imputato ad insistere quella sera per recarsi ad Udine in pizzeria, come se egli avesse voluto ricostituirsi l'alibi. In aula, dallo stesso teste abbiamo saputo che invece Budicin quella sera era tranquillo, come sempre, e la richiesta di andare a Udine, dove i bar e le pizzerie chiudevano ad ora più tarda che a Gorizia, era normale », ha spiegato Maniacco. L'imputato inoltre «fu ricattato: gli dissero di firmare i verbali, altrimenti avrebbe rischiato la denuncia per assegni a vuoto — ha spiegato Maniacco —, ma se aveva violato la legge andava perseguito, non minacciato». Le parziali ammissioni sarebbero state strappate all'imputato; egli parlava senza rendersi conto di essere accusato di strage e senza disporre di un difensore; quelle ammissioni rivelano il «disegno degli inquirenti, come lo rivelano le gravi contraddizioni nei verbali, nei rapporti dei carabinieri (ai testimoni, povera gente sprovveduta, si chiedeva: conferma quanto ha detto? Essi annuivano e firmavano, senza rendersi conto delle parole scritte). Ma si doveva incastrare Budicin, il cui nome era stato fat¬ to dal superteste Di Biaggio, che il 24 marzo 1973 aveva detto: confermo la responsabilità di tutti gli imputati in ordine al fatto per cui furono arrestati». E quel superteste paventava già allora una denuncia per calunnia e non pronunciava più la parola «strage di Peteano», anticipa- i va ciò che dirà poi in aula: «Non ho mai parlato di Peteano, ho riferito ai carabinieri i punti di coerenza». Maniacco ha chiesto per Budicin l'assoluzione piena, ma su questi «punti di coerenza», il p.m. basa la sua richiesta di sei ergastoli. Piero Cerati

Persone citate: Bernot, Budicin, Pedroni

Luoghi citati: Gorizia, Trieste, Udine