Tito e il "non allineamelito,, di Sandro Viola

Tito e il "non allineamelito,, Una "dottrina,, confermata al X congresso della Lega dei comunisti in Jugoslavia Tito e il "non allineamelito,, L ottantaduenne leader conferma l'equidistanza del suo Paese dai due grandi blocchi orientale e occidentale - Nel suo discorso programmatico, però, si avverte un "ritorno alle origini": il partito afferma il suo diritto-dovere di ingerirsi in tutti i campi della vita sociale - Sui problemi della Zona B, Tito ha detto: "Il problema non esiste... Non possiamo più trattare su questo punto... Siamo tuttavia pronti a continuare a migliorare i rapporti con l'Italia" (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, 27 maggio. Una nuova svolta della lunga marcia titoista (che sarà poi, quasi sicuramente, l'ultima) è cominciata oggi con questo X congresso della lega dei comunisti. E' vero: niente di clamorosamente nuovo è venuto fuori dal discorso di apertura del vecchio maresciallo, niente che non fosse già apparso, in documenti e interviste, dall'ottobre 1972, quando al termine della battaglia contro i « nazionalisti » e i « liberali » Tito stilò la sua famosa « lettera » ai militanti del partito. Ma è oggi, tuttavia, che la svolta ha avuto la sua consacrazione ufficiale (il suggello formale dei grandi ritratti di Marx, Engels e Lenin, le ragazze vestite di organdis bianco che cantavano l'Internazionale) e che è possibile valutarne in modo meno approssimativo, più concreto, la portata. Quello che s'era già profilato negli ultimi due anni, quello che marcherà in futuro la prospettiva politica jugoslava, è infatti divenuto estremamente chiaro. Il partito comunista jugoslavo, la Lega — come si chiama dal VI congresso, che si tenne nel 1952 — torna alle origini. Drammatizzare i contenuti di questo « ritorno », scambiare le rettifiche intervenute nel panorama politico della Repubblica federale per un ribaltamento totale di linea, una negazione della « via titoista », sarebbe un errore. Allo stato delle cose, lo «specifico jugoslavo » mo-.tra di star subendo modifiche anche profonde, ma non un'eclissi. Il non allineamento, l'equidistanza tra i due blocchi vengono riaffermati, e chi conosce questo paese sa che non si tratta di parole bensì di una concezione (e di un sentimento) che almeno per ora non devono essere messi in discussione. Ma è certo che molte cose, nella condu- zione politica e nel clima ideologico del paese, sono ormai cambiate. Il partito, adesso, è tutto. In maniera sempre più netta, organica e ordinata (usando un linguaggio privo di accensioni, anzi di tono piuttosto pacato), esso riacquista a poco a poco i lineamenti del partito leninista. Afferma il suo diritto-dovere di ingerirsi in tutti i campi della vita sociale — dall'economia alla cultura, dalla scuola ai mezzi d'informazione — e si autodefinisce «l'elemento integrante» (il coagulo ideale, l'ossatura politica) della Jugoslavia. Se a partire dal VI Congresso, al tempo dei primi ti- midi passi del «socialismo di mercato» e delia teoria del «non allineamento», la Lega aveva rinunciato ai connotati classici dei partiti comunisti a1 potere, finendo per ricoprire negli Anni Sessanta un ruolo di puro «orientamento» (smettendo cioè il minimo controllo sull'apparato dello Stato, sui centri amministrativi ed economici), ora la sua vecchia funzione è restaurata. Le grandi decisioni, e persino il controllo della loro esecuzione, toccano da questo momento agli organi dirigenti del partito. E' quello che si ricava dai due testi fondamentali di questo congresso, vale a dire il discorso di Tito e l'insieme delle «risoluzioni» su cui saranno chiamati a votare i 1600 congressisti. Il resto dei principi su cui si basava l'«esperimento jugoslavo» non cambia: il «non allineamento» in politica estera viene ribadito in modo fermo, come rifiuto dell'imperialismo e dell'«egemonismo» (il termine che si usa qui per indicare la tendenza dell'Urss a egemonizzare le scelte dei Paesi socialisti) e l'autogestione è sempre la base dell'organizzazione politico-sociale all'interno. Di nuovo c'è appunto l'accentuazione marxista-leninista del ruolo del AiDia-iciuuiaLct uei i uuiu ue. partito: il rilancio dei conte nuti di classe e dei principi del centralismo democratico («Non c'è democrazia — dice Tito nel suo discorso — per i nemici della rivoluzione... Quando la maggioranza ha adottato una decisione, la minoranza deve accettarla...») e dunque la rinuncia ai caratteri di sperimentalismo e, in una certa misura, pluralistici che aveva avuto il «modello jugoslavo». Tito non ha letto tutte le 93 cartelle di cui si componeva il suo discorso. Benché fosse in ottima forma (stretto nel suo doppiopetto blu dimostrava dieci anni di meno, il passo era sicuro, la voce ferma e all'occorrenza imperiosa), una lettura così lunga sarebbe stata uno sforzo inutile per un uomo di vigoria eccezionale, certo, ma che avantieri ha compiuto 82 anni. Egli si è limitato perciò a leggere per intero la prima parte — la situazione internazionale e le direttrici della politica estera jugoslava —, riassumendo tutto il resto, e cioè il rafforzamento del partito e i problemi della politica interna, che sono stati poi ripresi dagli altri oratori (da Stane Dolane in particolare, segretario esecutivo della Lega) e saranno oggetto delle discussioni dei prossimi giorni. Nella sua rassegna dei problemi internazionali cui la Jugoslavia si trova di fronte, il maresciallo (che leggeva senza mai un'esitazione, ogni tanto bevendo un sorso d'acqua) ha anche affrontato il problema dei rapporti con l'Italia e la questione della Zona B. Tra i battimani dei congressisti (questo è stato l'unico passo del discorso che ha suscitato per tre volte un applauso), Tito ha parlato in modo insieme moderato e perentorio. Il linguaggio suonava infatti più conciliante che nella risoluzione del congresso dedicata all'argomento (e che sarà discussa nei prossimi giorni dalla commissione per la politica internazionale), ma la sostanza dell'intervento è stata estremamente netta. «Il governo italiano — ha detto il grande vecchio — ... ha compiuto un attacco diretto contro la sovranità e l'integrità nazionale del nostro Paese. Noi consideriamo che il problema della Zona B non esiste (che, cioè, non sia più neppure da negoziare, come vorrebbe il governo italiano, n.d.rj. Non possiamo più trattare su questo punto... sia¬ mo tuttavia pronti a continuare e a migliorare i rapporti con l'Italia... ma tutti devono sapere che, con l'integrità delle nostre frontiere, noi siamo pronti a difendere la libertà e l'indipendenza della Jugoslavia». Accenno, come si è detto, abbastanza moderato, che lascia in piedi però (se intanto non si modificherà la posizione della nostra diplomazia) il problema dei rapporti italojugoslavi, che in quasi un ventennio non erano mai stati tanto difficili, o per meglio dire inesistenti. Non si vede come la questione possa essere ancora rinviata dai dirigenti italiani, i quali pure sanno che Belgrado è dispostissima a concedere le piccole rettifiche di frontiera e a risolvere il problema delle acque territoriali che sono, dopotutto, quel che realmente ci importa. L'attesa, qui, è che da parte nostra venga un segno della volontà di sbloccare la situazione, un'iniziativa che rinunciando al fondamento giuridico — sia pure ineccepibile — del nostro atteggiamento mostri che quel che ci preme sono i piccoli (ma non inutili, anzi) vantaggi territoriali che possono venire da un accordo, e la prosecuzione di quei rapporti di buon vicinato che erano stati per tanto tempo, in tutta Europa, addirittura esemplari. Sandro Viola Belgrado. Il presidente Tito all'inaugurazione del congresso della lega comunista (Ap)

Persone citate: Engels, Lenin, Marx