I "mafiosi,, sulle colline di Edoardo Ballone

I "mafiosi,, sulle colline Monferrato: continuano ad arrivare i confinati I "mafiosi,, sulle colline La popolazione è ostile, non li vuole - Il caso limite di Cocconato che ne ospitò sette contemporaneamente - Troppi gli "indesiderati" spediti in soggiorno obbligato nell'Astigiano e in provincia di Alessandria (Dal nostro inviato speciale) Asti, 24 maggio. A Cocconato li chiamavano i « terribili sette ». Nel 1970 erano giunti in questo paese monferrino dalla lontana Calabria, loro terra d'origine dove avevano compiuto, con coltelli e lupara, una serie di omicidi in nome della mafia. Li aveva spediti quassù la magistratura di Catanzaro in base alla legge n. 406 sulla carcerazione preventiva. Condannati dalla locale corte di assise d'appello a pene varianti dai 16 ai 29 anni, i « terribili sette » avevano fatto ricorso in Cassazione; in attesa di questo giudizio definitivo erano stati inviati tutti in blocco nella tranquilla Cocconato. Si tratta di un caso-limite nella casistica del soggiorno obbligato ma è un esempio che dimostra le incongruenze di una disposizione legislativa, che nonostante le recenti modifiche, appare ancora lacunosa in alcuni punti: tra questi quello sul recupero sociale del « sorvegliato ». Attualmente i confinati in provincia d'Asti (con 120 comuni) sono sei. In quella di Alessandria (190) sono 27. Ma otto non si sono mai presentati al « soggiorno » oppure si sono allontanati senza una giustificazione ed ora sono « irreperibili ». Torniamo a Cocconato. « L'arrivo dei confinati ci fu comunicato soltanto qualche giorno prima — spiega Ennio Broda, segretario comunale —; alla notizia dei carabinieri ci mettemmo le mani nei capelli. Così, all'improvviso, dovevamo trovare alloggio e lavoro a sette persone nonché passare a ciascuna, ogni giorno, 750 lire per le spese (ora la cifra è stata aumentata a 1500 lire n.d.r.). Per noi fu uno choc. Furono inviate lettere di protesta ai ministeri competenti, alla magistratura di Catanzaro, al Questore di Asti, ma il risultato fu negativo ». Alcuni confinati arrivarono in taxi, altri sull'auto dei carabinieri. La gente, timorosa, curiosava attraverso le finestre di casa o da dietro l'uscio dei negozi. Regnava la diffidenza e fu difficile per gli amministratori comunali trovare un alloggio e il lavoro per questi immigrati forzati: nessuno voleva affittare stanze né avere come dipendenti dei « presunti mafiosi ». Ma con il passare dei giorni, il sindaco Piero Bava riusci a vincere in parte l'ostilità dei suoi concittadini ed i calabresi trovarono casa e lavoro. Due si fecero raggiungere dalle rispettive famiglie. Tutti e sette, infine, furono impiegati come manovali nelle cave di gesso della zona. Dopo circa un anno giunse la sentenza di Cassazione con la conferma delle dure pene per tutti. Ora cinque sono a Pianosa e due nelle carceri di Asti e Alessandria. Ma a Cocconato, il capitolo dei soggiorni obbligati non è terminato. Da alcuni anni c'è un altro calabrese, nato trentotto anni fa a Gioia Tauro e condannato nel '62, in assise d'appello a Catanzaro, a 28 anni di carcere e a 3 anni di casa di cura. « Non conosciamo la motivazione della sentenza — rileva il segretario comunale —, ma si tratta sicuramente di un omicida. Avrebbe violentato e ucciso una bimba ». Il confinato, L. P., arrivò a Cocconato dopo aver trascorso otto anni al manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. A Cocconato si chiedono il motivo di questo trasferimento mentre non è chiaro perché un internato al manicomio giudiziario sia stato inviato in un paese così diverso per clima e abitudini da quello nativo Giunto a Cocconato, L. P. fu inviato dal sindaco a Collegno, nel locale manicomio Dopo tre giorni fu rilasciato perché «non necessitava di ri coverò». Il sindaco di Cocconato, allora, si rivolse alla procura di Asti che decise di far nuovamente visitare il «soggiornante». L. P. fu accompagnato nella casa di cura di S. Maurizio Canavese, ma fu respinto perché non c'erano posti. Lo scomodo ospite fu allora rispedito al manicomio di Collegno che stavolta lo tenne in osservazione per 11 giorni. Ma il referto definì il ricoverato «non pericoloso» in contrasto con l'esame clinico svolto dal medico di Cocconato. Il risultato di questa «odissea» fu che il calabrese non trovò casa ed ora vive in una misera stanza nella ex caserma adiacente il palazzo municipale. Siamo andati a trovarlo Sul ballatoio è stesa una corda per i panni mentre sulla porta è scritto in gesso «1936», la data di nascita di L. P. Dopo aver picchiato ripetutamente sull'uscio, L. P. viene ad aprire. Sorride e in stretto dialetto chiede scusa per il ritardo. L'arredo della sua unica stanza consiste in un armadio senza ante, un pagliericcio, uno sgabello ed una cucina a gas. Su una parete sono incollate decine di figurine di calciatori. «Me ne vogghiu andari da 'stu paisi» sbotta L. P. con le lacrime agli occhi. Ma dove? «Ad Asti, risponde, dove ci sono divertimenti e qualcuno con cui parlare. Qui — aggiunge — nessuno mi vuole e fanno occhiù cattivu». In questi giorni, nel cortile dell'ex caserma, hanno innalzato un ballo a palchetto; L. P. sta a letto quasi tutto il giorno, ma quando s'affaccia se lo vede sotto gli occhi. Ma non può frequentarlo perché si esprime solo in dialetto calabrese e poi è claudicante. Altro paese, altra storia. Siamo a Montechiaro d'Asti, una località che ha fatto parlare i giornali. Il sindaco e la giunta avevano minacciato le dimissioni se fosse stato inviato di nuovo in paese Martino Ferretti, un presunto mafioso siciliano in soggiorno obbligato. Qualche giorno fa, però, s'è raggiunto un compromesso. Il «soggiornante» è stato alloggiato in una cascina di Villa S. Secondo, ad un chilometro e mezzo da Montechiaro ed il sindaco, Gianmarco Rebaudengo, ha ritirato la minaccia di dimissioni. «E' una soluzione che ci soddisfa soltanto parzialmente — spiega Rebaudengo —; infatti continuiamo noi a passare la diaria di 1500 lire al Ferretti, anche se Villa S. Secondo ha un suo sindaco». Il Ferretti fu inviato nel '68 a Montechiaro dal tribunale di Palermo. Era sospettato di avere contatti con la «mafia degli agrumi» a San Giovanni Jato, suo paese natale. Arrivato a Montechiaro, alloggiò in un albergo gestito da uno scapolo che viveva con i genitori. Dopo qualche tempo, il Ferretti fu raggiunto dalla moglie. A questo punto successe il «fattaccio» che ha gettato la famiglia del maturo albergatore in un immotivato scandalo e il siciliano in carcere per due anni, sotto l'accusa di estorsione. Il Ferretti, infatti, si sarebbe fatto consegnare centomila lire dall'albergatore che l'ospitava sennò, dicono i verbali, «avrebbe detto in paese che lui se l'intendeva con la moglie». Al secondo ricatto, l'esercente di Montechiaro denunciò tutto ai carabinieri. La moglie del Ferretti sconfessò il marito ed il tribunale di Asti condannò il presunto mafioso. Scontata la pena nel carcere palermitano dell'Ucciardone, il Ferretti è stato rimandato in questi giorni a Montechiaro per finire di scontare il soggiorno obbligato di 4 anni, interrotto dal periodo di carcere. Il siciliano avrebbe dovuto tornare nello stesso albergo dove aveva compiuto l'estorsione. Ma sindaco e popolazione non lo hanno più voluto. «Io mafioso? Fesserie — si difende Martino Ferretti, incontrato a Villa S. Secondo — guardi in quale stanza vivo, senza riscaldamento e senza servizi igienici. Se ero un vero mafio¬ so non mi trovavo certamente qui. Mi creda, la mia cella all'Ucciardone era migliore». Ma perché è stato mandato al confino? «Invidia. Ero amico di don Manuele Brusca, un presunto "pezzo da novanta" di San Giuseppe Jato. Qualche volta mi hanno visto parlare con lui ed allora sono finito qui». E l'affare dell'estorsione nella vicina Montechiaro? «Fu errore. Chi mi ha denunciato aveva paura di me; per questo l'ha fatto. Ma io non ho 'mai minacciato quell'albergatore né gli ho mai chiesto soldi». Il Ferretti ha trovato lavoro presso una fornace. Tra sei mesi si trasferirà a Novi Ligure dove adesso vivono la moglie e i sei figli. Quel giorno è atteso con ansia dal confinato e dalla gente di Montechiaro e Villa S. Secondo. Edoardo Ballone