Gli ospiti di Giotto ad Assisi di Augusto Minucci
Gli ospiti di Giotto ad Assisi ARTISTI CONTEMPORANEI IN PIAZZE E CHIESE Gli ospiti di Giotto ad Assisi (Dal nostro inviato speciale) Assisi, maggio. «Credo che a San Francesco non dispiacerebbe — mi dice un frate guardando Reclining figure numero 2, un grande bronzo di Moore collocato di fianco alla basilica inferiore — e, d'accordo lui, sono d'accordo lutti gli abitanti d'Assisi. E' vero — aggiunge — non si riesce a capire cosa sia, eppure c'è forza, vita, mistero. Poi, chissà perché, lega con le strutture di queste pietre povere e potenti», e alza la testa verso la chiesa superiore. Lassù in mezzo al prato prospiciente la severa facciata gotica, due bimbi di bronzo sembrano librati nello spazio come due angeli. Sono Giulia e Mileto di Manzù. Giulia è seduta sul timone di un aratro, le braccia lunghe in cerca di un instabile equilibrio; Mileto le è di fianco, in piedi, nudo e spavaldo, e guarda la grande sottile ruota che sembra ripetere il motivo del rosone della facciata. Una scultura piena di gioiosa e viva spiritualità, che non poteva trovare collocazione migliore, e sarà un vero peccato quando l'8 settembre, terminata la mostra, verrà rimossa. Sarà un peccato togliere anche le opere di Moore (la gigantesca testa totemica, collocata in quello straordinario gioiello che è la piazza del Comune, sembra essere lì da sempre) e le opere di Greco e di Lipchitz, sistemate a Santa Maria degli Angeli. Credo che dispiacerà anche agli abitanti d'Assisi, anche a coloro, e non erano pochi, che hanno guardato con un certo sospetto l'arrivo dei «mostri». «Vede — mi diceva un antiquario — saranno dei grandi artisti, ma noi siamo abituati a Giotto, Cimabue, Lorenzetti, non so se mi spiego...». Penso che a poco a poco si renderanno conto che anche i grandi maestri della scultura contemporanea possono trovare cittadinanza in uno scenario ricco di tesori artistici e di spiritualità come le loro città. Peccato che non sia stato possibile sistemare il grande cardinale di Manzù alto 3 metri e 10, che avremmo visto volentieri davanti al portale di San Rufino o a San Pietro e che è invece esposto nei saloni del convento, insieme con altri splendidi pezzi (sono circa 180) che offre questa straordinaria rassegna. Dello scultore bergamasco, oltre a una Annunciazione di gusto primitivo, modellata nel 1929 (anno in cui Manzù tentò l'avventura parigina e, trovato svenuto per fame, venne «amorevolmente» rispedito a casa dalla polizia francese), vi sono alcuni dei suoi famosi «passi di danza», alcuni vescovi, compreso quello in marmo bianco del 1970, uno splendido ritratto di Inge, bassorilievi per me¬ daglia e alcuni bellissimi disegni. Una mostra, insomma, che riflette tutti i vari periodi, compreso quello recentissimo dei lavori in argento, di cui sono esposti alcuni esemplari, compresa la bellissima Sedia con natura morta, terminata qualche mese fa. Splendida anche la rassegna di Moore, che, dopo l'indimenticabile mostra nella cornice di Forte del Belvedere a Firenze, è ormai noto a tutti in Italia. Dell'artista inglese sono esposte una ventina di sculture che rappresentano assai bene questo straordinario inventore di forme, il quale riesce a staccarsi da ogni parvenza di reale, pur creando personaggi potenti e vivi. Di Emilio Greco sono esposte una serie di sculture fra cui la Grande figura accoccolata del 1968, un'opera che ci sembra racchiuda tutta la forza plastica e il sentimento di questo straordinario artista che, come ebbe a notare Ragghianti, «coinvolge direttamente lo spettatore in un colloquio non diaframmato o distanziato». Sculture, quelle di Greco, piene di sangue e di calore, di movimento come la Pattinatrice, o di forza compressa come il Bue, rannicchiato e potente come un pugno chiuso. Dell'artista siciliano sono anche esposti una serie di mirabili disegni. Interessantissima anche la mostra-omaggio a Jacques Lipchitz, un artista poco noto in Italia, dove ha soggiornato a lungo e dove è morto nel 1972 all'età di 81 anni. Nato in Lituania, giovanissimo si trasferì a Parigi, dove incontrò Picasso e Gris. Per qualche tempo, fece ricerche sulla scultura cubista, poi abbandonò i ritmi scanditi e la scarna severità degli impianti geometrici, per giungere a un discorso più fluido e pieno di vitalità. Le sue forme, ricche di contenuto e di idee, sembrano inventarsi a mano a mano che prendono vita nello spazio alternandosi tra realtà e invenzione, in un gioco in cui manierismo, barocco e miti arcaici si fondono, si dissolvono e si ripropongono in un ritmo di spazio e di volumi che non sembra mai avere fine. Quattro artisti completamente diversi, ma tutti degni di entrare in questa cittadella dell'arte. E non si può che lodare l'iniziativa di Luigi Bellini che, con coraggio e anche parecchie spese, ha realizzato questa idea proponendosi di continuarla nei prossimi anni per portare i maestri del presente accanto ai grandi del passato. Contemporaneamente a questa mostra, si è aperta anche la seconda rassegna dell'antiquariato che accoglie i più grossi nomi fra i mercanti d'arte con pezzi di inestimabile valore. Ne parleremo in un prossimo articolo. Augusto Minucci
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