I quartieri autogestiti di Liliana Madeo

I quartieri autogestiti UNA FIORITURA DI COMUNITÀ SPONTANEE I quartieri autogestiti (Nostro servizio particolare) Roma, maggio. « Magliana - dov'è l'autobus? » si legge sotto la vignetta che ritrae una coda di passeggeri alla fermata di un mezzo pubblico; di fianco, file ordinate di autobus, di taxi, i vagoni della metropolitana, e la scritta: « Eur dove sono i passeggeri? ». Il fumetto è opera di un collettivo di bambini della Magliana, che hanno confrontato il quartiere — popolare — in cui abitano con quello — elegante — dell'Eur col quale confinano. Ci sono i dati oggettivi sul verde, i servizi, le abitazioni, la salute, che raccontano due opposte condizioni di vita e denunciano una serie di gravissime inadempienze delle pubbliche autorità. Ma c'è anche, nel libretto, la protesta dei piccoli autori per una palese ingiustizia di cui si riconoscono vittime, la voglia di studiare, l'impegno a rimuovere le cause di un ambiente che li condiziona, il giudizio sulla complicità che lega chi è ricco a chi governa, richieste precise. Cemento illegale Li chiamano « i bambini di don Gerardo Lutte », il salesiano che nella borgata di Prato Rotondo fin dal '67 si schierò dalla parte dei poveri e lottò al loro fianco per la conquista della casa. Adesso il sacerdote opera alla Magliana, collaborando con le organizzazioni del quartiere, insegnanti, medici, operai, dando vita a iniziative che coprono il vuoto lasciato dall'inerzia o dall'incapacità dei pubblici poteri. Insieme han¬ no dichiarato guerra ai costruttori che hanno edificato illegalmente (ci sono palazzi con le fondamenta sotto il livello del Tevere, così che si raggiunge una densità di 1800 abitanti per ettaro) e agli amministratori comunali che lo hanno permesso. Ma non basta. Hanno promosso da anni una scuola estiva a tempo pieno i cui risultati sembrano deporre contro i meccanismi selettivi della scuola tradizionale, hanno organizzato un doposcuola e corsi serali che sono molto frequentati, si impegnano per la riduzione dei fitti, il blocco delle costruzioni, la conquista dei servizi sociali e sanitari. Molti abitanti del quartiere sono stati coinvolti: partecipano alle assemblee, escono dall'antica diffidenza degli emarginati e trovano uno sbocco alle ragioni della loro inquietudine, si misurano nel dibattito e sperimentano le possibilità della vita associativa. E' l'embrione di una società diversa. Situazioni analoghe sono sorte numerose negli ultimi anni in Italia. Le promuovono cattolici del dissenso, extraparlamentari, studenti, sindacalisti, militanti della sinistra. Hanno motivazioni che risalgono alla durezza con cui dopo il '68 s'è aperto il dibattito sulle strutture del sistema, e alla ribellione di chi più aspramente paga la tumultuosa trasformazione del Paese, mentre cresce l'impazienza di quanti non si rassegnano più a rimanere inerti spettatori; ma vogliono intervenire in prima persona per far nascere un modello nuovo di comunità, e appare sempre più intollerabile la lentezza con cui il potere centrale si muove per sanare condizioni di vita spesso drammatiche. « Se aspettiamo Roma, stiamo freschi. Le riforme dobbiamo farcele da noi », ha detto nei giorni scorsi l'assessore alla Sicurezza sociale della provincia di Parma, Mario Tornrnasini, annunziando la chiusura del brefotrofio cittadino e la sistemazione presso famiglie di tutti i piccoli ricoverati nell'istituto: un intervento a favore dell'infanzia che le amministrazioni di Bologna, Ferrara, Forlì si accingono ad imitare, scavalcando a pie pari indugi legislativi, intralci burocratici, appassionate denunce, scandalosi episodi, studi, dibattiti, nobili quanto disattese proposte. In tutta Italia Le persone che si sono impegnate per affrontare in alternativa ai sistemi tradizionali il problema della casa, della salute, della scuola, dei vecchi, degli handicappati, sono le più disparate. A Gardolo, un centro operaio alla periferia di Trento, un gruppo di madri comuniste ha fatto nascere un asilo nido popolare gestito dai genitori. L'idea ha avuto un ampio sostegno: gli operai dell'Ignis hanno aperto una sottoscrizione, i negozianti hanno offerto gratis vernici e giocattoli, un'istituzione ha concesso i locali, gli artigiani del luogo hanno prestato gratuitamente la loro opera. Adesso l'asilo funziona, con una maestra fissa e le madri che si alternano nei turni; la sera arrivano anche i padri, tornando dal lavoro, e in as¬ semblee aperte si discutono i problemi della comunità, dell'educazione, della scuola. A Capodarco e Fabriano nelle Marche, a Domodossola, a Udine, in un paesino della Sardegna, nel quartiere Appio a Roma, si sono costituite altrettante comunità di emarginati. Vivevano nella solitudine degli istituti assistenziali, ora lavorano (hanno laboratori di elettronica e ceramica), studiano, si mescolano alla gente normale, alcuni si sono sposati. Il promotore dell'iniziativa è un ex medico, don Franco Rubbianesi, al quale si sono via via affiancati studenti, psicologi, sociologi, giovani coppie coi loro bambini, sindacalisti, i quali spesso abitano nelle comunità, adoperandosi per la socializzazione dell'handicappato, interessando al problema gli organismi di quartiere, la scuola, il mondo del lavoro, le forze politiche locali. Sono due esempi appena, fra i tanti che si potrebbero citare. Sono interventi che, pur adottando strategie diverse, si pongono obbiettivi comuni, « non la pretesa di risolvere i problemi dell'oppresso e dell'emarginato, ma l'impegno a far partire da costoro la denuncia delle leggi del profitto e la proposta di una società nuova, più giusta ». Alcune di queste iniziative hanno già una storia alle spalle. Quali sono i risultati? Se ne può trarre un bilancio? Anche a questa domanda le risposte sono concordi: « E' un cammino lungo. Ci vuole pazienza » ammettono, realisticamente, i gruppi più maturi. Liliana Madeo

Persone citate: Gerardo Lutte, Magliana, Mario Tornrnasini