Condannata ad essere zitella

Condannata ad essere zitella RISPONDE GIULIETTA MASINA Condannata ad essere zitella « Siamo in tre, padre, madre e io, una ragazza di ventisei anni, e mi creda, signora Masina, da ventisei anni vivo in una specie di carcere dorato dal quale ormai non spero più di evadere : « lo ritengo che l'amore sia più nefasto dell'odio, che le sue catene siano più torti. L odio degli altri mi darebbe la lorza di reagire, di resistere, mentre l'amore degli altri mi pone tanti di quel problemi, tante di quelle rinunce, commozioni, tenerezze, paure, che mi lascio prendere dall'ingorgo dei sentimenti, mi arrendo, riliuto quanto sento che mi è necessario, indispensabile >. « Lei penserà che non so ciò che voglio. Invece lo so benissimo. Vorrei vivere senza che la mia vita disturbasse quella del miei genitori, i quali senza saperlo hanno riposto nel mio sacrificio la sicurezza di essere soddisfatti nel loro amore ». » Senza che lo vogliano, io sono la larva che li nutre, e paghi di quanto prendono da me, e credendo di restituire, pensano che il circolo sia chiù- so: tutti e tre felici k contenti. Ma io sono disperata ». La lettera svolge il tema fino alle conclusioni estreme, lucidissime: un'anticipata vecchiaia senza calore e luce, un lento intristire, la macerazione di istinti fondamentali, l'impossibilità di costituire una famiglia propria, la condanna al perpetuo zitellaggio. «Alla mia età — scrive Elvira — io non conosco nulla dell'altro amore, quello fra uomo e donna ». Elvira vive in una città del Sud, la sua istruzione si è compiuta in un monastero; ma il momento è così grave che forse per la prima volta nella vita riesce a strapparsi dalla pelle consuetudini, ipocrisie, compunzioni; e nel poscritto, grida: •• Voglio un bambino ». Come sempre, o spesso, in simili casi, la rassegnazione sceglie una via di fuga accidentata, un espediente fine a sé. Chiamata a dar consigli, io non ne vedo che uno: netto, pulito, chiaro, senza ombre: partire, per cominciare da capo, pagando di persona, vivendo la propria giornata terrena con la dignità che ogni essere umano, anche il più conculcato, sente in sé, allora che scioglie I i nodi che altri gli saldarono addosso. Partire non vuol dire naturalmente, infliggere dolce inutile a chi, colpevole di amarci di un amore cieco, sordo, muto, tuttavia di questo amore vive. Qual¬ che volta avviene che tali amori siano fomentati da noi stessi, che inavvertitamente noi si pretenda di sopravvivere in un bozzolo che ci protegga oltre ogni ragione. E' lecito dunque chiedersi se la signorina Elvira, in una certa misura non sia corresponsabile di quanto le avviene, se inconsciamente non abbia chiesto a suo padre e a sua madre di elevarle intorno uno steccato tanto alto. Non sono eccezioni, ie creature che rimangono lungamente in stadi infantili; fino a che altri bisogni, altre forze vitali maturatesi con l'avanzare della giovinezza, non impongano trasformazioni decisive. Domande lecite, ma che non mutano la situazione. Oggi, Elvira è diversa dall'altra Elvira, quella di ieri. Quindi, fermamente, ma dolcemente, proponga un nuovo equilibrio famigliare, chieda garanzie per la sua vita di donna oltre che di figlia. Se non potesse ottenere, negoziando, quanto le occorre, lo ottenga comunque sia. Ma non oltraggi quell'amore che così strettamente l'avvolge, anche se ingiustamente, con la lacerazione » di un bambino rimediato dal primo uomo che trovo » — e cito letteralmente. Non sarebbe giustizia, ma vendetta. Un figlio, nato con tale intenzione, non la farebbe felice Giulietta Masina

Persone citate: Giulietta Masina, Masina