Lunga guerra al crimine

Lunga guerra al crimine CONTRO LE MINACCE ALL'ORDINE CIVILE Lunga guerra al crimine Alla delinquenza armata la polizia reagisce con la necessaria durezza; ma è solo una delle possibili difese Roma, maggio. Per quanto tempo palpiterà nella nostra memoria l'immagine dell'assistente sociale Graziella Vassallo col suo volto arguto e bello, il suo sorriso luminoso, con quella sua espressione così vivace e spontanea di chi crede nel bene e sempre vuole che prevalga sul male? E per quanto tempo ci ricorderemo di Roberto Gandolfi, «il medico dei poveri», anche lui ucciso nel carcere di Alessandria? E delle altre due vittime, Sebastiano Gaeta e Gennaro Cantiello, anche loro innocenti? Per quanto tempo ce ne ricorderemo in un'epoca concitata come la nostra, in una società assalita da una delinquenza così nuova e diversa da quella di una volta? E che cosa si può fare per reprimere una criminalità che adesso rapisce anche bambini e vegliardi, donne e malati; che per sollecitare il pagamento di un riscatto non si fa scrupolo di mozzare l'orecchio a un adolescente? Che fare contro criminali che pur di avere quel che vogliono non esitano a uccidere e a rischiare la loro stessa vita? A questi interrogativi ciascuno ne può aggiungere molti altri, e tutti egualmente sconvolgenti. « E' in gioco la sopravvivenza della nostra civiltà e dello Stato », ebbe a dire due anni fa il procuratore generale di Torino. E da allora la situazione è andata peggiorando rapidamente. Solo nei primi nove mesi del 1973 il numero dei reati ha avuto un balzo del 23 per cento rispetto all'analogo periodo del 1972: perciò non si esagera quando si parla di impennata verticale della criminalità. Paura e rabbia Se andiamo a sfogliare gli ultimi bollettini dell'Istituto di statistica troviamo che nel 1971 vennero denunciati meno di un milione di reati, nel 1972 circa un milione e 400 mila, e si calcola che nel 1973 saranno saliti a più di un milione e 700 mila. E senza dubbio il numero delle denunce sarebbe più alto se la paura del peggio, l'indolenza e una certa dose di sfiducia nella polizia e nella magistratura non disstiadessero molti dal presentarle. Teniamo presente che per ogni cento furti denunciati, solo di cinque si riesce a identificare chi li ha commessi e che di quel cinque per cento di imputati di furto, molti riescono a sgusciare tra le maglie della procedura penale, diventano perciò un esempio contagioso di come sia possibile vivere di delitti, e magari vivere benissimo, con tranquillità. E' uno stato d'animo preoccupante sotto tutti gli aspetti, compresi quelli politici. A giudizio di molti osservatori, anche stranieri, due sono i pericoli maggiori per il nostro sistema democratico: l'inflazione criminale e quella monetaria. Però tra i due pericoli il primo posto viene assegnato in genere alla marea criminale sempre più alta, sempre più spavalda e malvagia. E della stessa opinione sono uomini del governo, capi di partito, dirigenti dell'amministrazione statale. Tuttavia non stiamo a illuderci che un problema così grande, complesso, difficilissimo, possa essere risolto in poco tempo e con misure spicce, per esempio ripristinando la pena di morte. Più realisticamente diciamoci che l'impennata criminale non è un fenomeno contingente, ma una specie di epidemia che dove più e dove meno dilaga in tutto il mondo, alimentata principalmente da fattori connessi alle radicali trasformazioni economiche e sociali che caratterizzano l'ultimo quarto di secolo e che hanno sconvolto modi di pensare e comportamenti tradizionali. Ma in concreto che si può fare qui in Italia per circoscrivere l'epidemia criminale, possibilmente ridurne la virulenza? Nei quartieri alti della polizia a Roma si è convinti che se aumentano in maniera consistente i rischi di una impresa, molti ci riflettono su due volte, tre volte, e poi finiscono magari col rinunciarvi; e che questo sia vero anche nel campo del delitto. Di conseguenza la polizia, per quanto le compete, sta cercando di rendere più rischiosi in modo particolare ì due crimini che impressionano di più l'opinione pubblica, le rapine e i sequestri di persona. Tra l'altro ì carabinieri e gli agenti della P. S. hanno l'ordine di tenersi sempre pronti a sparare contro criminali che abbiano armi e dimostrino l'intenzione di servirsene. L'ordine è categorico e da alcuni mesi la polizia spara più di prima: lo fanno gli agenti della P. S., ma più spesso i carabinieri. Solo nel primo trimestre di queVanno i conflitti a fuoco sostenuti dalle forze dell'ordine sono stati una trentina. Alcuni malviventi sono stati feriti anche gravemente, altri ci hanno rimesso la vita. In molti casi si tratta di giovani, e scorrendo l'elenco dei conflitti a fuoco si trovano nomi di ragazzini già esperti nell'uso delle armi e che non esitano a farle ere- sufficiente pitare contro chi cerchi di fermarli, siano in divisa o no. Avviene dappertutto: nella Sicilia come nella Lombardia o nel Piemonte. Per esempio, Antonino M., 15 anni, sorpreso a Ragusa il 2 gennaio a svaligiare un negozio insieme con un compagno, prontamente sparò contro i carabinieri; e il 7 aprile a Garlasco nella Lomellina due banditi dimostrarono una uguale prontezza nello sparare nottetempo contro i carabinieri: uno, Daniele B., ha 15 anni, e l'altro, Piero N., ne ha 16. Gli scontri a fuoco La risonanza di sparatorie tra malviventi e guardie naturalmente non è sempre la stessa. E' grandissima come nel caso del carcere di Alessandria; è notevole se avvengono sotto gli occhi di migliaia di persone, in pieno giorno e in una grande città, mettiamo Milano, con fuggi fuggi generale, i banditi che sparano tra la folla, catturano ostaggi e se ne fanno scudo; e invece se ne parla poco o niente sui giornali o dalla tv quando le sparatorie hanno come scena la piazza o il corso di un paese piccolo come Mariotto in quel di Bari o Laureana in Calabria o Muggiò nella Lombardia. Tuttavia, anche se i paesi sono piccoli, anche se il luogo dello scontro è un uliveto o intorno a un casolare, talora dalle due parti vengono esplosi centinaia di colpi. Questa storia degli agenti di polizia che adesso inseguono tenacemente banditi armati, anche per le vie affollate di una città, e quando occorre si difendono sparando, presuppone direttive precise da parte del governo, dunque è una decisione politica dettata da uno stato di necessità. I risultati per quanto riguarda le rapine appaiono abbastanza soddisfacenti nel primo trimestre del 1974: in tutta Italia ne furono compiute 153 a gennaio, 123 a febbraio, 117 a marzo. Nella provincia di Torino il numero delle rapine è diminuito del 26 per cento tra l'ultimo trimestre del 1973 e il primo del 1974. I risultati sarebbero sicuramente migliori se ci fosse un impegno a collaborare più concorde tra coloro che dirigono gli obiettivi preferiti dai rapinatori: banche, uffici postali, supermercati, oreficerie. Il 3 maggio a Milano la polizia arrivò in tempo al piazzale Cadorna, sul luogo della rapina al Credito Italiano, solo perché era scattato il segnale di allarme collegato con la questura. Però è raro che avvenga. Sebbene oggi esistano sistemi di allarme invisibili, in¬ sospettabili, vere meravìglie dell'elettronica, le banche per lo più sono restie a vedersi coinvolte in conflitti tra banditi e carabinieri: da una parte non vogliono guai, dall'altra le compagnie di assicurazione provvedono a rimborsare le somme portate via dai rapinatori. Anche per quanto riguarda i sequestri di persona, la polizia intende scoraggiare i criminali rendendo più rischioso il loro lavoro: e coerentemente da alcuni mesi la polizia ha l'ordine di con- tinuare le indagini, costi quel che si voglia. Il ministro dell'Interno ha detto ripetutamente che con i criminali non si tratta, non si patteggia. Vanno trattati per quel che sono, possibilmente identificati e arrestati: perciò considerazioni umane o di altra natura non devono mai fermare il braccio della legge. E anche se in certi casi particolari si lascia capire ai rapitori che le indagini sono momentaneamente sospese, e in effetti cessano i vistosi rastrellamenti con elicotteri, centinaia di agenti e cani poliziotti, anche allora le indagini continuano, semmai vengono intensificate. Qui non entriamo nelle polemiche sull'opportunità del nuovo atteggiamento della polizia nei confronti di chi sequestra persone. Diciamo solo che è un crimine relativamente facile e molto redditizio: basta studiare le abitudini di una persona facoltosa o di un suo familiare, catturarlo, metterlo in un nascondiglio e contrattare poi tranquillamente la somma per il riscatto, centinaia di milioni. Sequestri e denunce Da parte della polizia si pensa che un meccanismo criminoso così semplice, così allettante, può essere inceppato solo persistendo nella nuova tattica adottata, quella per l'appunto di non interrompere mai le indagi- quali che siano le sup- ni, pliche dei familiari o le se vizie con cui i rapitori infieriscono contro la vittima. Finora i risultati sono contraddittori. I sequestri di persona continuano ad aumentare (furono otto nel 1972, sedici nel 1973, e già se ne contano una dozzina nei primi quattro mesi del 1974); ma intanto diventa sempre più lungo l'elenco degli individui denunciati dalla polizìa come ideatori o esecutori di sequestri di persona. Una polizia che spara più di prima contro criminali armati e che non sospende più le indagini quando una persona è rapita, sono direttive che possono indicare una più decisa volontà del governo nella lotta contro la delinquenza, ma nessuno si illude che bastino da sole a sgominare l'esercito sempre più numeroso, aggressivo e astuto dei malviventi di professione o occasionali. Nessuno si illude, e cercheremo di vedere in un prossimo articolo che altro si sta facendo e si dovrebbe fare per impedire che la criminalità continui a dilagare fino a sommergere le stesse istituzioni democratiche; e se addirittura sussistono spe- | ranze di vedere diminuire non solo il numero ma soprattutto la gravità di crimini che già tengono nella paura, nella collera e nello sdegno la grande maggioranza degli italiani. Nicola A del fi

Persone citate: Antonino M., Gennaro Cantiello, Graziella Vassallo, Laureana, Piero N., Roberto Gandolfi, Sebastiano Gaeta