Un carcere senza più controlli di Franco Giliberto

Un carcere senza più controlli S'interroga nella notte il bandito superstite tenuto in isolamento Un carcere senza più controlli Le armi, due pistole e un centinaio di proiettili, forse introdotte durante un colloquio - Il minuzioso piano di fuga del Concu (Dal nostro inviato speciale) Alessandria, 11 maggio. E' cominciata l'anatomia del massacro, l'inchiesta giudiziaria che starà alla base del processo a Evandro Levrero, unico dei tre criminali rimasto in vita dopo la strage nel carcere. La conduce il procuratore della Repubblica di Alessandria dottor Enrico Burzio con il sostituto procuratore dottor Mario Parola. I due magistrati dovranno ricostruire nei dettagli trentadue ore d'incubo nel carcere. Rispondere a una serie di domande: chi ha dato le pistole a Cesare Concu, Domenico Di Bona, Evandro Levrero? Quale piano di fuga avevano i banditi, dove si sarebbero rifugiati se gli fosse stata data via libera e presso chi avrebbero trovato appoggio fuori del carcere? Come sono morti — uccisi da chi — il dottor Roberto Gandolfl, Graziella Vassallo, Sebastiano Gaeta, Gennaro Cantiello e gli stessi Concu e Di Bona? A Palazzo di giustizia si dice: « Non è azzardato provedere che per alcune di queste domande faticheremo a trovar risposta. Oppure troveremo più spiegazioni, m contrasto l'una con l'altra, come sta già accadendo ». Una notizia C'è per esempio una notizia giunta da Roma da controllare. Esisteva anche per Alessandria un piano denominato « Arancia meccanica » organizzato da extraparlamentari di destra e di sinistra che avrebbero dovuto far scattare la rivolta contemporaneamente nei maggiori penitenziari italiani? « Se c'era questo piano — dicono gli inquirenti — non vi rientravano azioni come quella capeggiata dal Concu. Qui tutto fa pensare a una pazzesca iniziativa individuale, non predisposta o sollecitata in grande stile dall'esterno. Ma controlleremo anche questa notizia, nei prossimi giorni saremo in grado di dire se ha consistenza ». Tre sono per ora gli atti fondamentali dell' inchiesta. Riguardano ì risultati dell'autopsia delle vittime, la perizia balistica sui proiettili estratti dai corpi, l'interrogatorio di Evandro Levrero. Questa sera alle 19 si è cominciato a sentire il bandito nel carcere giudiziario dì via Parma (« Se lo avessimo ri¬ condotto nella prigione di piazza Don Soria — affermano gli inquirenti — c'era pericolo che qualcuno lo facesse a fette, tanto è il rancore, anche degli altri detenuti, nei suoi confronti»,). Sembra che Levrero abbia deciso di « collaborare ». E' in buona salute: ha una frattura al naso, niente di più. Come un cane spaurito che striscia verso il padrone, al culmine della sparatoria di ieri si è gettato in ginocchio davanti al brigadiere Pasquale Barbato, uno degli ostaggi: « Ecco, ti consegno il mio coltello — ha piagnucolato — ma proteggimi, fa in modo che non mi sparino addosso ». Questa la sua condizione psicologica al momento della cattura. Un'ora dopo, all'ospedale, subiva il primo interrogatorio. Questa sera, dalle 19 in poi, di fronte al dottor Buzio e al dottor Parola, ha precisato gli avvenimenti. L'inchiesta giudiziaria poggerà in gran parte sulle sue dichiarazioni e sulle testimonianze dei superstiti. Vediamo finora come hanno agito i magistrati, situazione per situazione. Le armi — Concu e Di Bona avevano una « Smith & Wesson 32 » e una « Colt 38 Special » (calibro 7,65 la prima, calibro 9 la seconda), ora sequestrate dai carabinieri. Qualcuno gliele ha fornite assieme a un centinaio di proiettili. Il dottor Parola, in uno dei primi colloqui con il Concu nell'infermeria, aveva scherzato: « Ma sù Concu, che lei armi non ne ha ». Il bandito aveva tolto di tasca la « Smith & Wesson » e l'aveva esibita, prendendo dall'altra tasca una manciata di proiettili per farli vedere al magistrato. L'ipotesi degli inquirenti, per ora, è questa: « Concu o Di Bona, in uno dei colloqui nel parlatorio del carcere, possono aver ricevuto le armi da un conoscente che aveva ottenuto di visitarli ». Nel registro dei colloqui sono iscritti i nomi dei visitatori: una per una queste persone sono state interrogate dai carabinieri. Non si sa con quali risultati. Levrero nega di aver ricevuto le armi, dice che quel capitolo riguarda solo Concu e Di Bona. « Io avevo soltanto un coltello, ma molti altri detenuti lo hanno, è un oggetto che ci si può procurare senza grandi difficoltà. Niente pistole invece, non ne ho mai maneggiate ». Nel parlatorio del carcere di Alessandria, da mesi ormai la severità dei regolamenti era soltanto un ricordo. Niente più grate fra visitatori e detenuti, solo un lungo tavolo, con i carcerati seduti di qua e i parenti o amici dall'altra parte. « C'è chi va a trovare il figlio o il padre con P "eskimo" addosso — commenta una guardia carceraria —, sotto potrebbe nascondere un arsenale d'armi, nessun controllo. E poi si lascia che i colloqui durino ore e ore. Il momento buono per porgere di soppiatto qualcosa al detenuto lo possono trovare sempre ». Durante le feste di Pasqua un secondino ha voluto vedere la « sorpresa » di un grosso uovo di cioccolato regalato a un detenuto. Ha trovato una pistola scacciacani. La « Smith & Wesson » e la « Colt » erano anch'esse in due uova di Pasqua sfuggite a qualsiasi verifica? « Cerchiamo di veder chiaro in ogni ipotesi — dice il dottor Parola —, abbiamo un lavoro enorme da svolgere ». Il piano di fuga. Levrero ha raccontato agli inquirenti come il suo complice Concu aveva organizzato il piano d'evasione. Afferma: « Ha voluto i pantaloni e le scarpe di uno degli ostaggi, l'appuntato Caporaso. Di Bona invece ha preso da Caporaso il giubbotto militare. Io ho preferito rimanere con i miei vestiti. Lo scopo dei miei compagni era di ingannare i tiratori scelti che ci aspettavano all'uscita del carcere. Concu diceva: « Se mi vedono con pantaloni e scarpe militari addosso non mi spareranno alle gambe ». « Dovevamo legare gli ostaggi a gruppetti — continua Levrero — e uscire all'aperto verso il pulmino con sul capo un lenzuolo tenuto sollevato da ciascuno di noi, ma che ci coprisse fino alla cintola almeno. Avremmo fatto più viaggi, dall'infermeria al pulmino, finché tutti non fossero saliti a bordo». Piano di fuga Ed ecco il resto del piano, così come è stato appreso dal magistrato. Saliti sul pulmino, banditi e ostaggi, scortati da due poliziotti in moto, avrebbero percorso poche centinaia di metri e avrebbero liberato i cinque detenuti che avevano in ostaggio. Avrebbero quindi proseguito con gli altri verso Spinetta Marengo, in direzione di Tortona. Qui a pochi chilometri da Alessandria avrebbero dettato le altre condizioni. 1) Un elicottero con pilota e autonomia di volo fino in Sardegna 2) Una somma pari a cen-1 tocinquanta-duecento milioni di lire in biglietti di piccolo taglio. 3) La garanzia che il trasbordo dal pulmino all'elicottero avvenisse sema la presenza nella zona di alcun poliziotto o carabiniere. Dove voleva atterrare Concu? Nato a Marrubiu, in provincia di Cagliari, diceva di conoscere come le sue tasche la zona a Nord di Punta Serpeddi, un centinaio di chilometri lontano dal capoluogo sardo. Era lì che voleva atterrare per poi darsi alla macchia? « Ci fidavamo di lui, era il capo, io e Di Bona li avremmo seguiti », confessa Levrero Quanto agli ostaggi — secondo il bandito superstite — avrebbero dovuto rimanere nell'elicottero fino alla meta. « Poi Concu avrebbe deciso la loro sorte, io non volevo che morisse nessuno ». Chi ha ucciso. Le dichiarazioni di Levrero sul piano di fuga possono avvicinarsi alla verità. Ma la sua testimonianza sulle uccisioni e i ferimenti nell'infermeria del carcere — con il suo costante tentativo di proclamarsi estraneo a ogni violenza — lasciano perplessi i magistrati che conducono l'inchiesta. Chi ha ucciso il dottor Roberto Gandolfl, prima vittima dei banditi? Le perizie balistiche toglieranno ogni dubbio. Per ora, in attesa del responso, l'inchiesta è a questo punto. L'esame necroscopico compiuto oggi dai professori Fornari, Pierucci e Garibaldi dell'Istituto di medicina legale di Pavia ha trovato i segni di quattro colpi mortali al capo del medico: alla nuca, dall'alto al basso. La testimonianza di un ostaggio, il professore di musica Felice Demanuelli, confermerebbe il tipo di lesioni: « Ero a un metro dal dottor Gandolfl — ricorda l'insegnante —. Lui aveva un panino in mano, stava per addentarlo quando un proiettile dall'esterno ha fracassato il vetro di una finestra. Contemporaneamente, dal corridoio che arriva nell'infermeria sono giunti i rumori di una porta a vetri infranta dai carabinieri che avanzavano. Ho avuto l'impressione che Gandolfl si accasciasse come per un malore. Io mi sono nascosto sotto una branda, a due passi da lui. Ho chiuso gli occhi, era l'inferno. Colpi di pistola, grida, imprecazioni ». Gli inquirenti pensano che a que- sto punto uno dei banditi, forse il Di Bona, abbia sparato al dottor Gandolfl appiattito sul pavimento a faccia in su. Il professor Pierluigi Campi, un altro degli ostaggi, in quel pandemonio è stato visto da più testimoni avvicinarsi come inebetito all'uscita per andare inconiro ai carabinieri. Pare che il Levrero abbia confermato il particolare dicendo: « Vedendolo fuggire gli hanno sparato alla nuca, non so però dire se il Concu o il Di Bona». L'epilogo Tutto questo accadeva giovedì. Per il giorno successivo, epilogo del massacro, Levrero addossa la responsabilità delle uccisioni ancora una volta a Di Bona e a Concu. « Quando il primo candelotto lacrimogeno è stato lanciato a mano dove eravamo asserragliati, non ho capito più nulla. Forse è stato Concu ad avvicinarsi all'appuntato Sebastiano Gaeta e al brigadiere Gennaro Cantiello, per ammazzarli. Io ero piegato in un angolo con la testa bassa, con occhi e polmoni che mi bruciavano per il gas ». L'esame necroscopico ha dato questi risultati: le vittime sono state colpite ognuna da due colpi di pistola alla nuca, a bruciapelo. Difficile che regga l'ipotesi della « pallottola vagante ». Quanto a Graziella Vassallo, Levrero dice di non averla più vista dall'attimo in cui il primo lacrimogeno ha cominciato a sprigionare una nube di gas. Ma ì magistrati hanno raccolto una testimonianza fondamentale: « Era stretta a me — ricorda il professor Demanuelli — assieme a tanti altri ostaggi, ormai rintanati in uno sgabuzzino di due metri e mezzo per due. Cercavo di farle coraggio, parlavo come un automa, forse per fare coraggio anche a me stesso. C'era un crepitìo di esplosioni, un odore insopportabile. Ho visto il braccio di un bandito, giurerei che era il Concu, afferrare Graziella e tra¬ scinarla via dallo stanzino dove eravamo ». I periti settori hanno trovato la pallottola che ha ucciso l'assistente sociale: un solo colpo alla tempia sinistra. Il sangue che le era sceso sulla gola, in un primo tempo, aveva fatto pensare a un accoltellamento. Ma la voce è stata smentita categoricamente dagli inquirenti, come quelle sulle sevizie che Graziella avrebbe subito prima di morire. Levrero avrebbe detto, dopo la cattura: « Concu e Di Bona erano decisi a tutto, hanno sempre sostenuto di voler uscire da questa storia o vivi o morti. "Se andasse male all'ultimo istante io miro a te e tu fai altrettanto. Non aver paura a premere il grilletto", aveva detto Cesare ». A tarda ora il bandito, mentre scriviamo, risponde ancora alle domande dei magistrati. Si prevede che l'interrogatorio continuerà fino alle ore piccole. « So che ho l'ergastolo sulla testa — piagnucola Levrero — ma non voglio passare alla storia come una belva sanguinaria ». Franco Giliberto